Piazza dei Santi Giovanni e Paolo (R. I - Monti) (vi convergono: il Clivi di Scauro, via di San Paolo della Croce)
La chiesa, l’antico “Titulus Bizantis sive Pammachii”, dà il nome alla piazza.
Alla fine del IV secolo si riporta la trasformazione di abitazione in chiesa, ad opera di Bisanzio e Pammachio suo figlio; da questo il nome del “titulus”.
Fu poi frequentatissima, dai romei, nei secoli V e VII e da un’epigrafe “ad catacumbas” si rileva che il titolo era già in essere sotto Innocenzo I (401-417). Recentemente la chiesa è stata restaurata, e la facciata riportata all’antico, dal titolare cardinale Spellman arcivescovo di New-York (1953). La via dei SS.Giovanni e Paolo è il clivus Scauri, dalla “Domus” di M. Emilio Scauro.
Pammachio fece trasformare in una chiesa la sua grande casa romana (S.S. Giovanni e Paolo); si chiamava "Titulus Pammachii", ed un’iscrizione, incisa sulla porta diceva : “Quis tantas Christo venerandas condidit aedes, si quaeris, cultor Pammochius fidei”.
Giù per il clivo di Scauro, in prosecuzione al fianco della chiesa di S. Giovanni e Paolo, che ha ancora intatta l’antica muratura della facciata dell’antica casa romana sul clivo, è forse la Bibliotheca Agapeti (535-536), iniziata da questo Papa (Agapito) ma non ultimata. Fu coadiuvato, nel radunare la collezione dei libri attinenti la letteratura e la storia del primo cristianesimo, da Cassiodoro (480-573), il dotto primo ministro di Teodorico.
L’altura, dov’è il giardino dei padri Passionisti di S. Giovanni e Paolo, ha le sostruzioni della platea del tempio di Claudio, eretto da Agrippina giovane [1] (quarta ed ultima moglie di Claudio [2]), in onore di suo marito, morto nel 54.
È questa la sommità del Celio, sul quale campeggia il Tempio di Claudio limitato tutt’intorno da poderose mura che restano scoperte per tre lati: da via Claudia (lato est), dalla parte del Colosseo (lato nord) e al di sotto del convento dei Passionisti (lato ovest).
La fronte principale del tempio era a nord e, per salire dal piano alla sommità, esisteva un'ampia scalea, aggiunta da Domiziano (81-96) quando da ninfeo, cui era stato ridotto da Nerone (54-68), ritornò ad essere il tempio del divo Claudio. Nerone, infatti, allorché pose mano alla costruzione della sua "domus aurea" ne abbatté gran parte ed il rimanente tramutò in un grande ninfeo, cui destinò un braccio appositamente derivato dall’acqua Claudia, con ardito acquedotto (Arcus Coelemontani).
Quest’ala della domus aurea giungeva fino ai portici di cui era circondata tutta l'area del tempio e attorno ai quali si estendevano ombrosi giardini.
Marziale, nel cantare la munificenza dei Flavi e specialmente di Domiziano, dice con versi pieni di entusiasmo (epigrafe due):
"Qui dove l'eccelso colosso vede più da vicino le stelle e nel mezzo della via sorgono i monumentali trofei, splendeva l'atrio superbo del tiranno e una sola casa occupava tutta la città [3]. Qui dove si erge la mole venerabile dell'imponente anfiteatro, era lo stagno di Nerone. Qui dove ammiriamo le terme, opera rapidamente condotta, un magnifico parco aveva usurpato un tetto alla povera gente. Dove il portico di Claudio espande la sua vasta ombra, era l'ultima costruzione della reggia, nell'estremo suo limite. Ad oggi è la delizia del popolo, quella che fu già del tiranno".
I muri che sostengono per via Claudia il lato est, devono essere del tempo di Nerone, per la destinazione a ninfeo: infatti nella lunga parete, fra il terrapieno e il muro si trova una stretta intercapedine destinata al passaggio dell'acqua che alimentava le varie fontane.
É da questa parte che nel Medioevo furono stabiliti due oratori cristiani. Di uno si vedono ancora i residui delle pitture in una delle grandi absidi. Dedicato a San Paolo primo eremita, faceva parte di un convento, del quale si ha notizia in un documento del 1407.
L'altro, detto di S. Lorenzo super S. Clementem [4], fu restaurato da Stefano II (752-757): "hic restauravit basilicam S. Laurentii super S. Clementem sitam, regione tertia, quae a diuturnis temporibus diruta manebat". Forse qualche memoria del martire aveva promosso la costruzione di questo tempio, dalla cui abside è completamente scomparsa la pittura del catino, ch’è però conservata da un acquarello del Codice Vaticano.
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[1] ) A lei, con decreto del Senato, furono assegnati due littori e la carica di sacerdotessa del divo Claudio ed a questi furono decretate pubbliche onoranze funebri e più tardi l'apoteosi. In quel giorno Nerone pronunziò l'elogio funebre scritto da Seneca.
[2] ) Iulia Agrippina (Iunior), poi Iulia Augusta, morta nel 59 d.C., già moglie di Cn. Domitius Ahenobarbus, e di C. Crispus Passienus.
[3] ) Satira cittadina, riportata da Svetonio: "Roma domus fiet. Vejos migrate quirites, Si non est Vejos occupat ista Domus” La composero i Romani durante la costruzione della Domus Aurea.
[4] ) Fu anche detto oratorio di Papa Formoso (891-896).
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