Via di Santa Bibiana (R. XV – Esquilino) (da via Giovanni Giolitti a piazza di porta San Lorenzo)
La via prende il nome dall’omonima chiesetta edificata da Olimpina Flaviana, matrona cristiana del IV sec.[1], presso la villa e il così detto ninfeo di Licinio [2].
Il vicus ove fu eretta, era chiamato “Ursus pileatus” (una statua dell’orso col cappello, si conservava nell’orticello attiguo) ed il papa Simplicio (468-83) la consacrò nel 470.
Leone II (682-683) vi trasferì dal cimitero di Generosa “ad sextum Philippi” (Magliana) i corpi dei martiri Simplicio, Faustino e Viatrice. Onorio III (Cencio Savelli - 1216-1227) la fece restaurare.
Nel monastero annesso [3], dal nome dei martiri sepolti, le monache vi dimorano dal sec. XIII al XV. Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644) la rinnovò totalmente e commise al Bernini di rifare la facciata.
Il monastero fu demolito per consentire l’impianto dei binari della Stazione Termini. Le suore Domenicane vi dimorarono dal XIII al XIV secolo. Attualmente, la chiesa è officiata dai religiosi della Congregazione dei “Figli della Sacra Famiglia”, fondata da San Giuseppe Manyanet, nel 1864, in Catalogna (Spagna).
Presso S. Bibiana v'era un’antica chiesa dedicata a S. Paolo da Leone II (682-683); ne restano tracce a ridosso di quella di S. Bibiana (S. Paolo iuxta S. Bibiana).
L'arco di Santa Bibiana è chiamato il sovrappasso ferroviario sopra la strada omonima.
"A un centinaio di metri dall'arco, son venute in luce, insieme con altri resti di costruzioni, due tombe, di cui una con ipogeo. La prima, ch'era la più importante, è stata conservata. In cortina di mattoni, misura metri 1,74 x 1,55 e metri 2,60 di altezza. La volta, crollata, era a cassettoni in stucco ed il pavimento a mosaico policromo" chiuso da una treccia pure a colori, rappresentante inferiormente un toro che si avventa contro un leone e sopra un cantaro, dai piedi del quale partono a destra e a sinistra due volute alla cui estremità sono poggiate due colombe che con il becco sorreggono una collana. Maschere, caprioli, pavoni, ecc. decorano le pareti. Il sepolcro è riferibile all'età adrianea. (Bull. Arch. Com. 1938, pag.249).
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[1] É tradizione vi fosse sepolta la santa eponima.
[2] Da una recente indagine sull’età dei mattoni che costituiscono il complesso (IV sec.), si esclude l’attribuzione di “Ninfeo” e di “Villa dei Licinii” a questo edificio e si ipotizza piuttosto una appartenenza di questa sala ottagona, coperta da una cupola di 25 m di diametro, all’epoca Costantiniana. L’edificio dovrebbe appartenere alla residenza imperiale serviana, ricostituita da Costantino “ad spem veterem” il complesso di cui fa parte oggi la basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
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