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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza dell’Orologio (R. VI - Parione; R. V - Ponte) (vi convergono: via degli Orsini, via dei Filippini,  vicolo Sforza Cesarini)

Il nome della piazza fu  “Piazza dei Rigattieri”,  per essere la località abitata da loro, ma anche platea Monti Jordani, in Campo Torre ecc.

La chiesa di Santa Cecilia, che dava sulla piazza e stava nella zona dell’ala del Convento Filippino che fa angolo sull’ultimo tratto di via del Governo Vecchio (circa sotto la torre dell’orologio), si chiamò “de turre campi”; “in campo torre”; “a domo Stephani de Pietro”;  "de Monte Giordano"; “de Lupo Pacho”; “de Saxo”.

Demolita nel 1629, era stata consacrata nel 1123 da Callisto II (Gui de Bourgogne - 1119-1124), come si poteva rilevare da un’iscrizione che si conservava nel porticato del grande cortile del convento dei Filippini [1].
Nell’anno 1394 è indicata in un documento “Domus cum signo mulieris [2] de parochia sanctae Ceciliae de turre campi”.

Abbattuta dunque la chiesa per ingrandire la fabbrica dei Filippini, il quadro dell’altare maggiore fu portato nell’oratorio, dove si trova tuttora [3].

L’attributo della chiesa “de Turre Campi” veniva da una torre che le sorgeva dappresso, appartenente a Ser Stefano di Pietro, prefetto urbano, padre di quel Cencio che trascinò Gregorio VII (Ildebrando Aldobrandeschi - 1073-1085) per i capelli, fuori di Santa Maria Maggiore, nella notte di Natale del 1075.

É strana la spiegazione del nome “in campo” o “de saxo” che ne dà il Torrigio ed altri scrittori del XVI sec.: “in campo” o “de saxo” "perché qui vi era un campo o piazza dove Santa Cecilia alle volte soleva predicare, salendo sopra un sasso o colonna”.

La torre [4], per la sua ubicazione sulla via papale, sosteneva spesso parti di primo piano, così per la distribuzione annuale di uno dei più solenni presbiteri [5], nel secondo giorno di Pasqua, in cui aveva luogo la “festa degli archi e dei turibolii” (lunedì in Albis).

All’alba di quel giorno (lunedì in Albis), il Papa, ai piedi del portico Vaticano, era solito trovare un cavallo “non faleratum[6] sul quale entrava all’interno della basilica, da dove, dopo la solenne celebrazione della messa, ritornava al Laterano accompagnato dalla corte.

Per agevolare la strada al corteo, il siniscalco gettava fra la moltitudine manciate di monete [7] e dalla torre di Ser Stefano di Pietro [8], un curiale del Papa gettava sulla folla, al sopraggiungere del corteo, altra moneta. Gesto che si ripeteva “ad palatinum Centii  Musca in Punga in via de Papa”  ed ancora davanti alla chiesa di S. Martino in tribus foris (circa del XVI sec.).

Giunto il pontefice al Laterano, dopo esser passato avanti ai “clerici omnes romani” che si presentavano a lui con gli incensatori fumanti ricevendone in compenso 13 libbre e mezza di provvisini (moneta pontificia) [9] (ai nobili laici ne andavano invece 35 libbre e mezza), il Papa dunque “deposito regno” entrava nel palazzo e, recatosi nel triclinio leoniano, procedeva al convito; dopo il quale, nella prossima basilica celebrava i tre vespri e infine “propinato clareto” (era un vino pregiato) “ad propria revertebatur“.

Nel prendere possesso del Laterano ogni nuovo pontefice “finita la messa, vien coronato avanti la basilica di San Pietro nel luogo ove monta a cavallo, e coronato ritorna con la sacra pompa al palagio (Laterano) per questa via sacra. Per la portica, cioè e pel suttocato (citato sopra) ponte (ponte Sant’Angelo) entrando sotto l'arco trionfale degli imperatori Teodosio, Valentiniano e Graziano, e va accanto al Palazzo Cromazio ove dan lode i Giudei” (il palazzo era appunto quello che aveva attaccata la torre Stephani de Petro). “In questo luogo un rabbino, alla testa della sinagoga presentava il rotolo del Pentateuco misteriosamente velato ed il Papa, restituendoglielo a rovescio, gli diceva che onorava la legge di Mosè, ma nel tempo stesso, rimproverava l'intelletto e la caparbietà degli ebrei, che aspettavano il futuro Messia; dopo di che il camerlengo donava al rabbino 20 soldi provvisini” (Pasquale Adinolfi).
Fin dall’incoronazione di Eugenio III (Bernardo dei Paganelli - 1145-1153), si trova riferita la suddetta cerimonia che non sempre avvenne “in turre campi” e poiché il popolo si serviva di questa occasione per maltrattare gli ebrei, Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo - 1484-1492) [10] stabilì che l’omaggio fosse presentato “in angulo castri Sancti Angeli[11], dopo il quale, il nuovo pontefice proseguiva verso il Laterano, sotto archi di trionfo che gli abitanti e i negozianti frontisti elevavano in suo onore, anche con intendimenti artistici e con molti inneggiamenti al neo eletto: “Caesare magna fuit, nunc Roma est maxima; Sextus regnat Alexander; ille vir, iste Deus” e questo per Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503).

Agostino Chigi, per Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521) [12], elevò un arco che sorpassò in magnificenza tutti quelli alzati in quell’occasione dai singoli banchieri fiorentini. Era adorno di statue di Apollo, Mercurio, Pallade, Centauri, Ninfe e da altre divinità; sul fronte, a caratteri d’oro, si leggeva “a Leone X  [13], fortunato restauratore della pace” e sotto, satireggiando gli ultimi due pontefici (Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) [14] e Giulio II (Giuliano Della Rovere - 1503-1513) [15]  era scritto: “Olim  habuit Cyprìs sua tempora, tempora Mavors olim habuit; sua nunc tempora Pallas habet” (vi fu il tempo di Venere, poi quello di Marte ed ora quello di Pallade).

E l’orefice Antonio di S. Marco, avanti alla sua bottega, variava così la precedente iscrizione: “Mars fuit; est Pallas; Cypria semper ero” (fu Marte, ora è Pallade, Venere sempre sarà) e non si può dire che poi abbia avuto tanto torto [16].

I pontefici ebbero dunque sempre addobbi, iscrizioni e fiori   ed a quelli dei cristiani, si aggiunsero anche quelli ebraici. Quando Gregorio XIV (Niccolò Sfondrati - 1590-1591) dispensò gli ebrei dalla cerimonia del Pentateuco, la comunità ebraica si prodigò, nell’occasione del possesso, nell’addobbare quella strada “che  seguita  la  muraglia  dell'orto  dei  p.p.  Olivetani,  passato  l'arco di Tito”.
Era all'angolo che gli ebrei, in attesa del passaggio, restavano pigiati “perché era loro vietato di varcare la soglia dell'arco che rammenta la distruzione di Gerusalemme” (arco di Tito).

Sulla Piazza “in campo Torre”, la torre fu abbattuta per la venuta a Roma di Carlo V (1519-1558), nel 1536, per agevolare il passaggio del corteo imperiale.
Esiste un rendiconto di 200 ducati per detta demolizione, di Marco Macarone, sotto maestro di strada).

Nella piazza, oggi chiamata dell’Orologio, non avendo i Filippini “abitazione sufficiente, per essere cresciuti essi di numero sì dei Padri come dei Fratelli, che aumentarono a 130 soggetti, essendo vicino alle case loro un piccolo monastero detto di Sant'Elisabetta [17] lo comprarono per munificenza del cardinale Pierdonato Cesi che ha fatto sborsare 5000 scudi et quelle monache andarono a stare a Montecavallo”. Nel 1588 i Filippini, avuta licenza di fabbricare verso Monte Giordano, iniziarono quei lavori che portarono, nel 1629, anche all’abbattimento di Santa  Cecilia  de  Turre  Campi,  completando  così  il grande  blocco  del monastero.

Sull’angolo dell’edificio, Francesco Borromini (1599-1567) pose la torre dell’orologio coronata “dalla originalissima gabbia da cui pendono le campane”. L’orologio, che dette poi  il  nome  alla piazza, fu fatto fabbricare da Pier Tommaso e Giuseppe Campani [19], quelli stessi che in un bando del 1657 si legge: “Privilegio per due anni a P. Tommaso e Giuseppe Campani, da Spoleto, orologiai nell'alma città di Roma, di fare sfere materiali con i moti delli pianeti senza che s’abbia mai a caricare e orologi muti, cioè senza strepito di moto o rumore di tempo, con nuova maniera ancora di mostrare successivamente le hore” (Biblioteca Vaticana, Bandi, anno 1657) [18].

La gabbia dell’orologio, dopo tre progetti dello stesso Borromini, il 7 agosto 1648, fu eseguita dal fabbro Andrea Macinetti e furono impiegati 10.225 libbre di ferro e la spesa montò a 1517 scudi e 25 bajocchi.

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[1]               Vincenzo Federici, Archivio della Regia Società Romana di Studi - 1902.

[2]               Il “signum mulieris” era l’indicazione dell’edificio; indicazione che, seguendo l’antico uso Romano, nel medioevo, sostituiva la mancante numerazione civica e nomenclatura stradale, con delle insegne che servivano specialmente per gli usi censuari. Come, nell’antica Roma, “ad ursum pileatum”; “a quinque pernis”; “a septem Caesaribus” ecc. indicavano una precisa località così nel primo medioevo il “signum mulieris” rivelava l’ubicazione di un edificio. Dal diario Pila della biblioteca Casanatese: “ 1803 – “ fu ordinata la numerazione di tutte le porte delle case di Roma”.

[3]             La pala dell’altare della chiesa demolita, raffigurante l’Assunta con S. Cecilia, è ora la pala dell’altare dell’oratorio dei padri Filippini.

[4])            Nel XIII secolo fu acquistata dagli Orsini per la difesa del loro Monte Giordano. Sulla torre era scritto: “Junia Sillani et ossa Neronis Caesaris”.

[5] )           Presbiterium - Si chiamava così un’elargizione di denaro che Roma papale soleva fare più volte all’anno, nelle feste religiose, alle quali, qualche volta, si aggiungeva la distribuzione di viveri.
Così, per esempio, a tutti gli addetti alla Corte pontificia, fino al pontificato di Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti - 1800-1823) toccava più volte all’anno la "parte di palazzo", la quale più anticamente comprendeva o l’intero vitto, o parte di quello; uso che deve aver avuto origine dal costume romano della distribuzione delle "sportule" osservata anche dai cristiani nelle loro agapi come quella dell’offerta delle primizie al clero.
Nelle liste delle spese giornaliere della corte pontificia, si trovano fino a tutto il secolo XVI, le note dei provvisionati i familiari di palazzo, ai quali, oltre la paga in denaro, si dava "tutto il vitto" ovvero "tutto il companatico". Ad altri si distribuiva questo ogni mese, uso che si teneva anche con tutti i corpi morali della città, come al collegio universitario (cui si forniva perfino la legna), membri dei sodalizi religiosi, confraternite, ecc.
Un catalogo di alcune chiese di Roma alle quali Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521) concesse la elargizione gratuita del sale, s’inizia così: "Raphael episcopus Ostiensis Card. S. Georgii D. Papae Camerarius. Spectabilibus viris D. Iacobo de Oricello et Luce Archangeli de Aretio et sociis conductoribus salis ad grossum alme urbis salutem in domino auctoritate nostri camerariatus officii vobis per presentes mandamus quatenus de dicto sale detis et consignetis infrascriptis personis infrascriptas salis quantitates pro annua subventione et eleemosina eis dari solitas et primo:  Fratribus et Conventui Marie de Araceli.......ecc".

[6] )            "non faleratum" = senza finimenti

[7] )            Dopo che, sotto Paolo IV (Gian Pietro Carafa - 1555-1559), morirono soffocate nella ressa 40 persone, la distribuzione venne fatta nel cortile di Belvedere. Un grosso (piccola moneta d’argento) a persona, il doppio alle gravide.

[8])            “Item cum pervenit ad turrim Stephani Petri, qui est Parionis, et hodie dicitur turris de Campo, unus de familia Papae facit ibi alium iactum (pecuniae)”.

[9] )            Provisini : moneta in circolazione fino al 1800.

[10])           Pasquino dice di Innocenzo VIII: “Octo nocens pueros genuit totidemque puellas. Hunc merito poterit dicere Roma patrem!

[11] )            La comunità israelitica offriva al Pontefice una libra di pepe e 2 candele di cera vergine.

[12])           Pasquino dice di Leone X: “Colui che applaude e ammira il rapace Leone - Della belva dimentica il terribile unghione”.

[13] )           In morte di Leone X, Pasquino: “Gli ultimi istanti per Leone son venuti - Egli non poté avere i sacramenti - Perché da tempo già li avea venduti”.

[14] )           In morte di Alessandro VI, Pasquino: "Furie, perché del sangue e dell'eccidio l'orgia - cessò d'un tratto e pace e gioia oggi ne arride? - É morto Borgia!”.

[15] )           In morte di Giulio II, Pasquino: “Qui Giulio II pastor giace - Noto all'Italia e al mondo per furore - volse, fece, mostrò, per farsi onore, - e’l spirito è in ciel, non so se in guerra o pace”.

[16] )           Borgia coltivava gli amori (Cìpride nata a Cipro, variante per Cipria), Giulio la guerra (Mavors forma arcaica per Mars), Leone le arti. Ma l’astuto orefice insinua che il culto di Venere è perenne e permane anche col Medici...

[17] )           Una cisterna, prossima ad un palazzo di Urbano Fieschi, conte di Lavagna, protonotario di Sisto IV (Francesco della Rovere - 1471-1484), dette il nome alla località (oggi Via della Chiesa Nuova) ed ha una chiesuola con annesso monastero di Clarisse, detta Santa Elisabetta a Pozzo Bianco. Dal Cardinale Vicario il posto fu messo in vendita ed acquistato dal Cardinale Pierdonato Cesi, che lo donò al vivente San Filippo Neri per la casa della sua Congregazione.

[18] )           Con successivo editto del 1º settembre 1659, il cardinale camerlengo notificava “Il monopolio concesso per 10 anni a Giuseppe Campani di costruire orologi col nuovo artifitio a ruote dentate”. (Archivio Vaticano, armadio IV, tomo 27, pagina 451). Vedi "via dei Filippini" (Parione).

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Piazza dell´Orologio

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