Via di Santo Stefano Rotondo (R. I - Monti) (da Largo della Sanità Militare a via di San Giovanni in Laterano)
Indagini recenti hanno stabilito che la fabbrica di questa chiesa (Titolo cardinalizio), che formerebbe eccezione come rotonda, perché Roma non conosce che edifizi battesimali o mausolei così costruiti, non è una creazione cristiana.
Essa, com’era stato congetturato da tempo, risale a un monumento profano dell’epoca classica il “Macellum magnum” [1]. Il grande edificio nel periodo pagano serviva da aula del mercato sul Celio [2]. L’entrata era dal lato della città, cioè dalla via che passava davanti S. Maria in Domnica (il vicus Capitis Africae).
É ammesso che sullo scorcio del IV sec. abbia avuto luogo una ricostruzione. L’aula pare continuasse a servire da mercato, finché nel secolo seguente fu distrutta; forse da Alarico (410), come il palazzo dei Valeri, e da allora non venne più ristabilita ad uso profano, ma concessa al pontefice Simplicio (468-483) che: “hic dedicavit basilicam sancti Sthefani in Celio monte” Giovanni I (523-526) e Felice IV (526-539) portarono a compimento i lavori di Papa Simplicio (468-483).
Innocenzo II (Gregorio Papareschi 1130-1143) raccorciò la chiesa, eliminando la terza navata esterna.
All’inizio del XV secolo, la chiesa era priva di tetto per quanto ancora avesse "... da torno, uno andito con tetto serrato (sorretto) di mattoni, con una cappella antica, dallata (pavimentata), con musaici et con tavolette et tondi di porfido et serpentino et fogliami di nacchere et grappoli d’uva et tarsie et altre gentilezze".
Da notare le "tarsie" [3] come nella basilica di Giunio Basso dedicata a Sant'Andrea dal papa Simplicio (Sant'Andrea Cata Barbara Patricia - vedi via delle Quattro Fontane - Monti).
Niccolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-1455) restaurò la basilica (1453), ma a Santo Stefano Rotondo, come dice un testimone, "fu orratissimo rafacionollo (lo restaurò con grande magnificenza) papa Nicola, ma molto pur lo guastò".
Risulta che in antico la chiesa era preceduta da una magnifica piazza o foro, con portici adorni di musaico.
Niccolò V chiuse anche gli archi del secondo ordine circolare [4], impostati, come nelle basiliche ravennati sui dadi, o guanciali, sovrapposti com’era uso negli edifici della metà del secolo V al VI. Epoca che è chiaramente attribuibile alle quattro colonne più alte d’ordine corinzio fronteggianti la cappella principale, dove erano custoditi i corpi dei santi Primo e Feliciano, trasferiti dalle catacombe della via Nomentana da papa Teodoro (642-649).
Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) l'affidò ai padri Gesuiti del Collegio Germanico-Ungarico [5], togliendola ad alcuni frati dalmati ed ungheresi che la custodivano.
In questa Chiesa, da forse 300 anni, si è sempre fatta la funzione dello “abbruciamento dei memoriali"; vi si sono cioè bruciate le suppliche che, il giorno di San Luigi, i giovani e le giovani presentavano all’altare del Santo, nella chiesa di Sant'Ignazio (vedi piazza di Sant’Ignazio - Pigna) [6].
Per la strada di Santo Stefano v'era la villa Casali [7], quasi di faccia alla chiesa omonima. La palazzina era modesta, edificata nel XVII secolo, ma custodiva una cospicua collezione di antichità, specialmente in busti, andata poi dispersa. La villa si era in parte ingrandita incorporando una parte di quella che fu dei Teofili ed alla fine del XV secolo appartenne al cardinale Salviati. Ora la villa Casali è stata occupata dall’Ospedale Militare. Il terreno della villa fu pagato 10 lire il metro quadro e l'ospedale costò 3 milioni, cifra assurda per quei tempi.
Nell'area dell'ospedale, nel 1889, fu trovato un Mitreo ed un tempio, sacro al culto frigio di Cibele e di Attis (originario della regione nord-occid. dell’altopiano anatolico).
Seguiva sulla via, la villa dei Fonseca, che si estendeva fino all'attuale via Amba Aradam. La villa, costruita nel ‘700, è adesso di proprietà del Ministero della Guerra.
La via di Santo Stefano [8] termina con quella parte della strada che era chiamata via papalis e che, attraverso l'arco di Basile, sfociava nel “Campus Lateranensis".
Essendo Santo Stefano in “Coelio monte" basilica stazionale, il pontefice regnante si recava annualmente. Dice una cronaca: “Il Papa, insieme con i cardinali e con la corte, rivestita tutta di sfarzosi abiti, vi si recava a cavallo dal Laterano. La gualdrappa del destriero era di prezioso scarlatto, ed il Pontefice, cinto il capo dalla tiara, indossava la bianca penula (mantello), l'abito viatario (da viaggio) degli antichi romani”. “A Santo Stefano Rotondo deponeva la corona e le vesti candide, per rivestirsi delle rosse, con la quali celebrava la messa; al termine di questa, risaliva a cavallo, ed il corteo faceva ritorno al Patriarchio, ove avevano luogo la consueta distribuzione delle mance (presbyterium) e il convito rituale nel triclinio".
Santo Stefano, protomartire veneratissimo nel medioevo, aveva in Roma, dedicate a lui, almeno 35 chiese, tra cui parecchi monasteri, così latini come orientali.
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[1] Recenti scavi archeologici anno appurato che, sotto la chiesa di Santo Stefano Rotondo, erano situati i “Castra Peregrina”, piuttosto che il “Macellum Magnum”
[2] ) « Macellum Magnum » Tra questo e la casa Laterani esisteva una regione occupata dai « Lupanaria » postriboli popolari che infestavano le pendici meridionali del Caelimontinus ed erano tenuti sotto il controllo dello Stato. Il “Macellum magnum” si crede pure fosse stata una “coenatio rotunda” della domus aurea di Nerone.
[3] ) L'intarsio o tarsia lignea è un tipo di decorazione che si realizza accostando minuti pezzi di legni o altri materiali (madreperla) di colori diversi.
[4] ) Così fu creato il muro dell'odierna circonferenza esteriore. L'antico muro di cinta è del I secolo con la porta profilata del V. Pure del V le due file di colonnati ionici trabeati.
[5] ) Nella chiesa le memorie di Ungheria, risalgono alla metà del secolo XV, ma ve ne sono pure di epoche posteriori come la pietra tombale del canonico Giovanni Laszar, morto nel 1523. Vi è pure una cappella costruita per volere di Pio VI, nel 1778, dall'architetto Camporesi, dedicata a Santo Stefano d’Ungheria, a ricordo della Chiesa demolita presso S. Pietro, per edificare la nuova sacrestia vaticana. Le pitture del Pomarancio e di altri artisti, descriventi i più atroci martirii, furono ordinate dal primo rettore del Collegio Germanico-Ungarico.
[6] ) Negli anni 1960 si faceva a Santa Saba sull'Aventino (vedi via di San Saba - Ripa).
[7] ) Si crede vi sia stata la domus di Sant'Aurelio Aviano, ivi la così detta “ara Casali”, ora nei Musei Vaticani. È del II-III secolo d.C., rappresenta, in una delle facce: Marte e Rea Silvia, Rea Silvia con i due gemelli, Romolo e Remo esposti nel Tevere e i medesimi allattati dalla lupa.
[8] ) Entro la proprietà dell'Ospedale dell’Addolorata un’arcuazione in laterizio dell’acquedotto di Claudio; così arcuazioni ora cieche nella clinica delle suore inglesi ed altre arcuazioni, sempre del detto acquedotto, spesso incluse in un muro moderno nell'Ospedale Militare del Celio.
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