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Piazza Santa Maria Maggiore (XV - Esquilino) (vi convergono: via Liberiana, via dell’Olmata, via di Santa Prassede, via Merulana, via Carlo Alberto, via Gioberti, via dell'Esquilino)
La piazza prende il nome dalla basilica, chiamata cronologicamente: basilica Liberii, basilica Sicinini, basilica Maior, basilica S. Mariae ad presepe e dopo il X Sec. anche S. Maria ad nives, a ricordo della sua origine che sarebbe stata la conseguenza di un sogno avuto dal patrizio Giovanni, il quale avrebbe visto la Madonna che gli diceva di far sorgere un tempio nel posto dove al mattino avrebbe trovato la neve; sogno avvenuto in quella stessa notte nella quale papa Liberio (352-366) aveva anch’egli sognato la Vergine. ”Quando (5 agosto 352) eadem nocte apparuit Ioanni Patricio idem dicens nonis augusti”.
Ed il mattino seguente: “Qui Iohannes Patricius fuit ad papam Liberium pro visione quam viderat”. (5 agosto festum dedicationis Sancta Maria ad Nives). Trovata infatti la neve sul monte Esquilino, detto "Monte Superagio" [1], papa Liberio vi costruì un tempio [2] (352-66)
Il patrizio Giovanni, si vuole sia stato sepolto nella basilica (per una lapide rinvenuta presso la tomba di Clemente IX (Giulio Rospigliosi - 1667-1669), l’iscrizione, non certo dell'epoca ma che potrebbe essere un rifacimento, dice: “Ioannis Patritii – Huius Basilicae fundatoris – sepulcrum” [3].
Della Basilica Liberiana non è rimasta traccia [4], giacché l'attuale è quella che innalzò Sisto III (432-440) a ricordo del Concilio Efesino (431), in cui fu condannata l'eresia di Nestorio (+451) e proclamata la divina maternità di Maria.
L'antica iscrizione posta dal pontefice sulla porta maggiore della basilica diceva:
”Virgo Maria tibi Xistus nova tecta dicavit Digna salutifero munera ventre tuo Tu genetrix ignara viri; te denique feta Visceribus salvis edita nostra salus. Ecce tui testes uteri sibi praemia portant Sub Pedibus jacet passio cuique sua Ferrum, flamma, ferae, fluvius, saevumque venenum Tot tamen has mortes una corona manet”.
E sulla cima dell'arco trionfale: “Xistus episcopus sanctae plebi Dei”.
Sulle colonne [5] della basilica, possono ancora riconoscersi i fori dei chiodi ai quali erano fissati i veli [6] che separavano, come d'uso, le differenti parti delle antiche basiliche [7].
Alla morte di Papa Liberio, la basilica era stata invasa per lo scisma di Ursicino contro Damaso (366-384), ma un rescritto di Valentiniano (364-375), al prefetto di Roma, ne ordinò la restituzione al legittimo pontefice, ed il cardinale Ursino nel 367 fu esiliato. Da allora la Basilica Liberii fu anche detta Basilica Sicinini [8]
Da Sisto III (432-440) ad Eugenio III (Bernardo dei Paganelli - 1145-1153) essa non subì forti modificazioni; da quest'ultimo fu invece rifatto l'intero portico e l'iscrizione commemorativa da lui postavi dice (oggi nell'andito della sacrestia):
“Tertius Eugenius Romanus Papa benignus Obtulit hoc munus Virgo Maria tibi Que Mater XPI fieri merito meruisti Salva perpetua virginitate tibi Es via, vita, salus, totius gloria mundi Da veniam culpis, virginitatis honor...”.
La liturgia delle tre messe natalizie fu iniziata da San Gregorio Magno (590-604): La prima a mezza notte era celebrata a Santa Maria Maggiore. Durante la prima messa, il coro non rispondeva al primo “Dominus vobiscum” del pontefice, a ricordo del miracolo accaduto a San Gregorio Magno (590-604) cui, secondo la tradizione, fu risposto dagli angeli.
La seconda "in aurora" era celebrata alle prime luci dell'alba a Santa Anastasia [9], (dove è sepolta e dove abitava, nei pressi, la martire), e:
la terza (che fu poi detta in Vaticano) in Santa Maria Maggiore, nella cappella delle reliquie del Santo Presepio, che conteneva tre tavole fatte venire dalla Palestina da Teodoro I (642-649) o da Gregorio III (731-741). Si sa che la reliquia ebbe la sua consacrazione nel 1517, allorché, nella notte di Natale, apparve a San Gaetano, che pregava dinanzi ad essa, il divino Infante [10]).
Memorabile fu la messa nella notte di Natale del 1075, quando Cencio, figlio del prefetto Stefano, si impadronì del celebrante Gregorio VII (Ildebrando di Soana - 1073-1085) “qui captus fuit et perductus in domum praedicti Cencii (Crescenzio?), quae domus posita erat in loco, qui vocatur Parrioni". Ma liberato dal popolo, fu riportato trionfante a Santa Maria ad Praesaepe dove riprese a dire la messa interrotta.
Nel medioevo il Papa, giunto per la seconda volta nella basilica, con una candela accesa, dava fuoco [11] a dei fiocchi di stoppa pendenti dagli intercolunni, per ricordare ai fedeli che la seconda venuta di Cristo sarebbe avvenuta non nella quiete di un presepe, ma fra i cataclismi e l'incendio della natura.
Fu nel secolo XVI che il rito papale natalizio mutò di luogo e di forme. La sera della vigilia, procedeva il Vespro pontificale in San Pietro ed i Cardinali ed i Principi Assistenti al Soglio erano poi trattenuti, in attesa del Mattutino, con musica e cena dal Monsignor Maggiordomo, nella sala Borgia. Il Papa non partecipava al banchetto, (visitava solo i commensali) contrariamente ad una tradizione in uso fin dal secolo XII, allorché il Papa a Santa Maria Maggiore era all’uopo servito dal cardinale di Albano. Da Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni - 1198-1216) questa mensa fu a spese della Camera Apostolica; fu sospesa nel 1573 ed abolita nel 1741.
Il Mattutino e la Messa seguivano nella Sistina o nella Paolina al Quirinale dopo che il Papa aveva benedetto uno stocco ed un berrettone ducale che dal 1385 (Urbano VI) si dava in dono a Sovrani e Principi cattolici.
Se il Principe era presente, doveva vestire l'armatura ed indossare il piviale bianco con l'apertura sul braccio destro (stocco, cinto e berrettone in testa). Se si trattava dell'Imperatore portava invece la sacra veste con l’apertura sul petto in episcopio e toccata tre volte la terra e tre volte vibrata in aria l’arma, col capo scoperto, cantava la quinta lezione del Mattutino: "In qua conflictu".
Sotto Niccolò IV (Girolamo Masci - 1288-1292) furono eseguiti degli importanti lavori, fra i quali il rinnovo dell'antica abside che, sostenuta da pilastri ed archi aperti, comunicanti con un posteriore ambulacro (che era servito da "matroneo"), fu incorporata al presbiterio ed al coro.
Fu da questo momento che la basilica cominciò a cambiare la forma primitiva [12]. Sotto di lui furono pure fatti, per ordine del cardinale Iacopo Colonna (1278-1318), i mosaici [13] della tribuna [14] come ricorda l'iscrizione posta sotto il mosaico:
“Quartus Papa fuit Nicolaus, Virginis aedem Hanc lapsam refecit, fitque vetusta nova Petrus apostolicus socium Franciscus alumnum Protegat Omnipotens Matre rogante beet”.
Nella seconda metà del XV sec., il cardinale Guglielmo d´Estouteville (m.1484) aprì due porte ai lati della tribuna, edificò altre cappelle, fece le volte della crociera e delle navate minori ed ornò l'altare papale con un ciborio fatto erigere da Mino del Regno.
Da Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) fu completato il soffitto della navata centrale, iniziato da lui quando era ancora cardinale arciprete della basilica, e dorato col prezioso metallo donato da Ferdinando IV (dichiarato re Cristianissimo da Innocenzo VIII [Giovanni Battista Cybo - 1484-1492]); oro portato dall'America da Cristoforo Colombo.
Dopo il sacco di Roma, che spogliò la basilica di molti tesori, Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) fece un breve “pro capitula et ecclesia S. Mariae M. De Urbe”, concedendo al capitolo di costruire dei censi “pro reparanda ecclesia” e Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) edificava la cappella del Sacramento detta poi Sistina, nel 1586, ponendovi nel mezzo l'antica cappelletta della sacra culla, che egli, con macchine adatte, levò tutta intera dalle sue fondamenta dal posto dov'era prima. La cappelletta fu iniziata da Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni - 1198-1216) e terminata da Onofrio III (Cencio Savelli - 1216-1227) con l'architettura di Arnolfo di Lapo (o di Cambio) (c.1212-c.1302), il quale vi costruì la tomba del suddetto Papa. Nella Cappella Sistina vi fu poi inumato Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) e di fronte a lui San Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572).
Lo stesso Sisto V fece di Santa Maria Maggiore un centro da cui si irradiavano cinque strade: per S. Lorenzo extra muros; San Giovanni in Laterano; Trinità dei Monti; Panisperna e Santa Croce in Gerusalemme [15]. Una sesta strada per lo stradone di S. Giovanni, attraverso il Colosseo (da abbattersi come già era stato abbattuto il Settizonio [16]) avrebbe dovuto raggiungere S. Pietro, ma rimase nel progetto del Fontana per l'opposizione cardinalizia e per la morte del Pontefice, la quale scongiurò anche l'altro progetto: "Volea Sisto V ridurre il Colosseo ad abitazione e stabilimento dell'arte della lana [17] e ne commise il disegno al suo architetto Domenico Fontana il quale ideò di restituire all'edificio l'antica periferia con l'ingresso di quattro porte ed altre scale. Nel mezzo doveva esservi una fonte e le logge di fuori restavano aperte per comodo dei lavoranti: nell'altro si volevano adottare stanze e botteghe. Però quando si era incominciato a spianare la terra al di fuori, morì Sisto V e l'impresa non ebbe più seguito" (D. Fontana 1590).
È forse per questo che fra i decreti del Consiglio Comunale, ce n'è uno nell’archivio capitolino (credenza I tomo XXIX) che dice: "23 agosto 1590 - Oggi il Santo padre Sisto V, alle ore XXII circa, al monte Quirinale, nel palazzo detto di Montecavallo, è morto felicitandosene ognuno e con la massima letizia di tutti"(omnibus congratulantibus et maxima omnium laetitia.) [18]
Tornando a Santa Maria Maggiore, c’è da notare fuori della basilica, ma sempre nel recinto della stessa, una colonna a forma di cannone cui sovrasta una croce col tronco della stessa forma che ha scritto sotto “In hoc signo vinces” [19]. Questa croce, con la colonna, fino al 1870 era dinanzi alla chiesa di Sant'Antonio del Fuoco, sotto un elegante tabernacolo a quattro colonne, ma rovinato dal tempo fu smontato e la croce, per ragioni di viabilità fu trasferita dove è ora. Essa fu eretta da Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini - 1592-605), dopo la conversione di Enrico IV (1553-1610), che fu detto, per la prima volta, "Re di Francia Cristianissimo", in S. Pietro, il 17 settembre 1595. Ciò che fece dire a Pasquino:
"Enrico era acattolico E per amor del Regno, eccolo pronto [20] A diventar cattolico apostolico, Se glie ne torna il conto Clemente, che è pontefice romano, Domani si fa turco o luterano”.
Collocata da Paolo V (Camillo Borghese - 1605-1621) [21] è pure una colonna, (1614), l'unica superstite della basilica di Costantino (Massenzio) al Foro, sormontata da una Madonna col Bambino [22]. Nell'interno di Santa Maria Maggiore il pontefice fece riedificare da Flaminio Ponzio (1575-1621) la cappella dell'Assunta e della Madonna della Neve [23].
Vi si venera "L’immago B. V. Mariae, est in quadam...depinxit S. Lucas evangelista" [24]. Chiamata "Salus populi romani” venne sempre portata in processione per la città per scongiurare flagelli e pestilenza, in quella del 590, fu trasportata da San Gregorio Magno che ebbe l'apparizione dell’Angelo che rinfodera la spada sul maschio di Castello che, chiamato allora "Castello di Crescenzio”, fu poi detto Castel Sant'Angelo.
Dalla cupola della cappella di S. Maria Salus populi romani, il 5 agosto vengono fatti cadere dei bianchi gelsomini sul popolo a ricordo del miracolo avvenuto in quel giorno al patrizio Giovanni.
Nella basilica, restauri importanti furono fatti da Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758) che restaurò la facciata posteriore sulla Piazza dell’Esquilino terminata da Clemente X (Emilio Altieri - 1670-1676) ed iniziata da Clemente IX (Giulio Rospigliosi - 1667-1669). Su questa piazza Sisto V aveva posto uno dei due obelischi (l'altro al Quirinale), senza geroglifici, che fiancheggiavano l'ingresso del mausoleo di Augusto [25].
Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758) [26] abbatté il portico anteriore della basilica, costruito da Eugenio III (Bernardo dei Paganelli - 1145-53) e costruì l'altro che v'è attualmente, e poiché l'antico aveva nella parete elevata un ricco mosaico, lo mutilò e lo chiuse dentro le arcate della loggia delle benedizioni (Ferdinando Fuga), che fu terminata nel 1743 e dalla quale il papa dette la prima benedizione il giorno dell'Assunta di quello stesso anno.
La festa solennissima dell'Assunta, che ebbe inizio dopo il concilio di Efeso del 431 e di cui parla Sergio I (687-701) nel 687, stabilendo che la processione [27], in cui si cantavano le litanie, uscisse da Santo Adriano per recarsi a Santa Maria Maggiore [28].
Fissata, per richiesta dell'imperatore Maurizio (582-602), la solennità ai 15 di agosto, abolendosi così la sua data primitiva che era ai 18 di gennaio, conservò il digiuno della Vigilia, in vigore così nell’Oriente come nell’Occidente e per istituzione di Leone IV (847-855) ebbe anche l'ottava.
La processione s'ordinava e partiva la vigilia. Il Papa con i Cardinali apriva nella “Sancta Sanctorum” [29] (dice l’epigrafe: “Non est in toto sanctior orbe locus”) la massiccia grata di ferro battuto che custodiva l'immagine acheropita [30] del Salvatore in trono e le scopriva il sacro volto, con le sette genuflessioni ed il bacio di rito intonava il "Te Deum", secondo le prescrizioni Leoniane dell'847. I Cardinali diaconi portavano l'immagine intorno al “Campo Laterano” seguiti da tutta la Curia salmodiante. Il prefetto dell’Urbe e dodici uomini del popolo romano, rappresentanti del senato, procedevano con gli Ostiarii recando le torce. La processione proseguiva per San Gregorio, a Santa Maria Minore (Santa Maria Nuova) al Foro e di qua, dopo lavati i piedi al Salvatore, con erbe aromatiche, mentre nel tempio si cantava il "mattutino", riprendeva la via per S. Adriano, ove seguiva la seconda lavanda e saliva finalmente [31] a Santa Maria Maggiore, dove il Papa cantava la Messa. La processione continuò così, fino al 1566, anno in cui il Pio V (Antonio Gabriele Ghislieri - 1566-1572) l’aboliva, soprattutto perché la Cappella Papale [32], istituita nel 1509 da Giulio II (Giuliano Della Rovere - 1503-1513), era andata richiamando su di sé, le maggiori espressioni della venerazione del Clero e del popolo, e la Cappella Papale si celebrò o in Santa Maria Maggiore od al Quirinale.
Ma da Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) in poi la funzione riebbe luogo nella Basilica Mariana, o nella Cappella degli Sforza Cesarini o in quella che diventò poi la Borghesiana (cappella paolina), finché Leone XII (Annibale Clemente della Genga - 1823-1829) volle che si celebrasse all’altare papale.
I Cardinali vi si recavano con due carrozze di gala, con i valletti in livrea e cappe rosse; il Papa, con “il treno di città” [33].
Il Pontefice in sedia gestatoria andava all’altare ed il Vangelo, fino al 1828, lo recitava (per concessione di Clemente XI [Giovanni Francesco Albani - 1700-1721] nel 1718) il procuratore generale dell'Ordine della Mercede, ma da Leone XII fu invece incaricato un convittore del Collegio dei Nobili, che per l'occasione indossava berretto e cappa paonazza. La cappella papale, fu, come detto sopra, sostituita da Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758) [34] con la benedizione papale.
Un altro restauro della Basilica si deve al pontefice Pio XI (Achille Ratti - 1922-1939) che nel 1931, nella celebrazione del quindicesimo centenario del Concilio di Efeso, fece risarcire i mosaici dell'arco trionfale ed altri mosaici minori e ripristinò l'antico transetto abbattendo quelle volte che ne precludevano la vista.
La torre campanaria, la più alta di Roma, s’ignora da chi sia stata costruita, essendone stato scalpellato lo stemma papale dai francesi, nel 1798. Fu riedificata da Gregorio XI (Pierre Roger de Beaufort - 1370-1378) dopo il ritorno a Roma della Sede Apostolica [35] e restaurata poi da Paolo V (Camillo Borghese - 1605-1621).
Nel 1885, con altra donata da Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci - 1878-1903), fu cambiata la campana più antica (è conservata nel museo lateranense) che rimontava al 1289. Vi si legge l'epigrafe: “Ad honorem Dei et Beate Marie Virginis ista campana facta fuit per Alfanum postmodum in Anno Domini MCCLXXXIX renovata est per dominum Pandulphum de’ Sabello [36] pro redemptione anime suae. Guidoctus [37] pisanus et Andrea eius filius me fecerunt”.
La campana maggiore fu rifatta da Paolo V; ve ne sono altre di Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585), delle quali si legge: "27 gennaio 1582 - Lunedì furono condotte a Santa Maria Maggiore le nuove campane per il campanile fatto nuovamente in quella chiesa, e la prima è di XII mila libbre e l'altra di X mila, bellissime, quali presto saranno poste al loro luogo". Erano state donate a suo tempo dal cardinale d’Estouteville (+1484) e fuse da fra’ Roberto. Il porporato "campanas, opera atque labore fratris Roberti sonoras, gratas, suaves, confici iussit”. Fra esse si trova la “Sperduta" che ha suonato, suona e suonerà nei secoli.
Questa campana, “Sperduta”, si chiama così perché, quando l’Esquilino era quasi deserto: "una pellegrina la quale veniva a piedi a Roma, fattasi notte, verso i Cessati Spiriti, località fuori porta S. Giovanni, si raccontò smarrisse la strada e che, mentre si raccomandava alla Vergine, sentì ad un tratto un lontano suono di campana, e seguendo questo suono, a poco a poco si trovò a Piazza Santa Maria Maggiore”. “Era la campana di questa chiesa che quella sera, a causa di una funzione religiosa, suonava verso le due di notte. La pellegrina, sempre secondo tradizione, nel ringraziamento, avrebbe lasciata una rendita con l'obbligo di suonare a festa tutte le sere alla stessa ora”.
Il 17 gennaio, per la festa di Sant’Antonio [38], la piazza rigurgitava di animali di ogni specie che, guidati dai proprietari, venivano benedetti dal sacerdote. Per non ingombrare eccessivamente tutto lo spazio erano stabiliti dei turni. “La mattina la piazza era piena di porci, somari, pecore e cavalli che s’ammassavano tutti in una turma, piena di fiocchi bianchi, rossi e gialli. Solo a mezzanotte venivano i postiglioni pontifici vestiti di gran gala. Precedeva la carrozza a quattro gabbie [39] del principe Massimo, sopraintendente delle poste pontificie. E dopo quest’attaccata veniva il famoso Sebasti, impresario del servizio della diligenza Roma-Civitavecchia, che cavalcava alla testa dei suoi belli cavalli. Nel pomeriggio erano ammirate le carrozze dipinte e dorate che servivano al Papa. Le mule bianche che le precedevano, ma soprattutto le carrozze del treno di gala e di mezzagala. Erano tirate da sei cavalli dalla lunga coda, come quelli morelli dei Cardinali le cui carrozze, alle grandi cerimonie, erano tre per cardinale [40] mentre sulla parte posteriore si tenevano in piedi, in gran livrea stemmata, tre servitori, uno dei quali teneva “l'ombrellino”. Il treno e la cassa di queste carrozze erano sempre dipinte in rosso o oro. Veniva poi la cavalleria pontificia in alta uniforme, ed infine i pompieri, dai cimieri ornati dalle altissime creste arancioni".
Le "attaccate", dopo la benedizione, sfilavano per il Corso ed in piazza Colonna ed il popolo faceva ressa per vedere la rientrata di Gaetano Ragazzini, il cocchiere famoso del principe di Piombino (Luigi Boncompagni Ludovisi). Gaetanino, con un attacco di 16 cavalli, doveva girare fra la fontana e il portone del palazzo, che risultava all'altezza del marciapiede dell'attuale galleria. Era applauditissimo. Nel pomeriggio, sostituendosi ai cocchieri, i patrizi si recavano con i loro cavalli trottatori alla passeggiata del Pincio [41], che corse il pericolo, sotto Napoleone, di esser chiamata “Villa di Cesare”. Fu per questo che fu decorata di colonne rostrate, trofei d’armi, re prigionieri ecc., ma la caduta dell' “uom fatale”, gli risparmiò quel titolo... pomposo e Châteaubriand poté così, affacciandosi al Pincio, pensare pacificamente che: "... a volte le belle nuvole, portate con l'insuperabile grazia dal vento della sera, fan comprendere all’apparizione degli abitanti dell’Olimpo sotto questo cielo mitologico; a volte l'antica Roma sembra aver disteso nell’Occidente, tutta la porpora dei suoi Consoli e dei suoi Cesari sotto gli ultimi passi del Dio della Luce".
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[1] ) “Superagio” corruzione di super aggerem=l’aggere di Servio Tullio)
[2] ) "hic Liberius fecit basilicam nomini suo iuxta macellum Libiae” (Liber Pontificalis). “Allora il Papa insieme con Giovanni e la moglie di lui si recò processionalmente sull´Esquilino, seguito dal clero, e presa una zappa, cominciò a rompere la neve, la quale appena toccata si divise, lasciando libero uno spazio (Terra confodebat, ut per gyrum nix iacebat, Terra se aperuit).
[3] ) Nel 1746 fu fatto esaminare il sepolcro e vi furono rinvenute alcune ossa maschili e femminili, residui di aromi e di stoffa.
[4] ) Alcuni la collocano addirittura “apud macellum Liviae”.
[5] ) Il pavimento della basilica è stato rialzato parecchio, cosicché le colonne hanno nuove basi che coprono le antiche, giacenti in basso. Sono di marmo Pario e provengono da un edificio classico, forse dal portico Sicinino (altro nome della Basilica Liberiana). La basilica, come quella di S. Sabina, aveva un ampio atrio.
[6] ) Restano sulle colonne le tracce del “nartece” e delle cortine come pure dei lampadari e dei doni votivi. Gli accenni del “nartece” consistono in buchi profondi (in parte otturati) che si trovano in due colonne, nella 3a colonna a S. Sabina, nella 2a a S. Maria Maggiore, era incastrato in quei buchi profondi il cancello che divideva i catecumeni ed i penitenti dalla comunità cristiana. Gli altri incavi nelle colonne della navata principale, più bassi dei precedenti e quelli sotto la metà degli architravi delle navate laterali, erano per appendervi lumi, doni votivi o cortinaggi (addobbi) festivi o per separare i fedeli (vela alexandrina) come quelli in vicinanza dell’altare servivano per l’impostazione del cancello del presbiterio o degli spazi laterali. Gli spazi da adornarsi con cortine sono, come si può ancora vedere, a S. Maria Maggiore, 42 e dice il “Liber pontificalis” che Adriano I (772-795) dona 42 veli lavorati di “pallia quadropola”. Vengono poi come dono di Pasquale I (817-824) 14 “vela de fundato”, 14 “vela de quadrapulo” e 14 “vela de imizilo”, in tutto cioè 42, e così pure Leone III (795-816) con veli bianchi di tutta seta nello stesso numero, tra cui 11 “vela rosata”.
[7] ) La basilica più antica, in onore della SS. Vergine, sarebbe quella di Trastevere.
[8] ) “Sicinini” sembra essere il nome della regione dove si trova la Basilica.
[9] ) L'illustre matrona romana, di cui si commemorava il Natale (martirio) il 25 dicembre fu arsa viva, poco prima dell'editto di Costantino (313)
[10] ) Reliquia della Santa Culla - La reliquia della culla di Gesù è formata da alcune assicelle che nella grotta di Betlemme facevano parte della mangiatoia, nella quale fu adagiato Gesù "Praesepi iacenti cuna fuit” come dice Prudenzio (348-410). Queste reliquie vengono molte volte ricordate, attraverso i secoli, da più scrittori, così Origene (185-254); San Gregorio Nazianzeno (328-390); San Girolamo (331-420); Sant'Ambrogio (340-397); San Leone Magno (390-461); il Damasceno (670-745) ed altri. É risaputo che a Roma nel VI secolo v’era, nella basilica Liberiana e proprio dove è adesso la Cappella Sistina, una riproduzione della grotta di Betlemme costruita con alcuni pezzi di tufo, tratti dalla stessa grotta della Natività, e poiché tali costruzioni diventarono usuali da quel secolo, l'ebbero pure le basiliche di Santa Croce, del Vaticano sotto Giovanni VII (705-712) e di Santa Maria in Trastevere, per ordine di Gregorio IV (828-844), del quale dice il "Liber Pontificalis ": "Sanctum fecit praesepium ad similitudinem praesepii sanctae Dei Genetricis quae appellatur maior”. La data della venuta in Roma della culla è però incerta. Molto probabilmente risale al pontificato di Teodoro I (642-649) giacché è in quell'epoca che il "Liber Pontificalis" chiama, per la prima volta, "Santa Maria ad Praesepium” la basilica Liberiana ed è anche questo pontefice che, per gli stretti rapporti che ebbe col Patriarca di Costantinopoli, riuscì a far trasportare nell'Urbe le reliquie della Redenzione, salvandole dalle mani dei Turchi. Anastasia, bibliotecario della Vaticana, è il primo che ci parla della culla (IX sec.) riferendo del dono di lamine d'oro fatto da Adriano II (867-872) all'altare della Santa Reliquia. Questa che anticamente si trovava in un Oratorio, conservata in una cassa di piombo, ne fu tolta nel 1289, quando Arnaldo di Cambio vi costruì un magnifico presepio, del quale oggi residuano soltanto poche figurette e la culla fu accolta in un prezioso reliquiario che fu sottratto nel sacco di Roma del 1527. E simile sorte ebbe pure un'altra artistica urna donata da Filippo III e da sua moglie Margherita d’Austria, urna che scomparve nell'invasione francese (1798). É davanti alla culla che San Gaetano da Thiene celebrò nel 1516 la sua prima messa e che ebbe, in estasi, la visione del Santo Bambino, il quale, secondo la tradizione, si rifugiò poi fra le sue braccia. Anche Sant'Ignazio di Loyola consumò sull’altare della Santa Reliquia il suo primo sacrificio, mentre San Filippo Neri ne ottenne da Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) una scheggia per il reliquiario della sua Congregazione. I Pontefici a gara arricchirono di marmi, di pietre e di metalli preziosi l'oratorio dove erano conservate le venerate tavolette e davanti ad esse celebrarono solenni riti natalizi non sempre tranquilli, come ad esempio la drammatica messa celebrata da Gregorio VII nella notte di Natale del 1075, quando, dopo il rapimento ivi sofferto da parte di Cencio, il Santo Pontefice, di ritorno dopo poche ore, perché liberato dal popolo, terminò la messa nella piccola cappella sotterranea. Ora la Santa Reliquia è custodita in una piccola culla, disegno del Valadier (1762-1839), donata dalla duchessa di villa Hermosa e suggellata, nel 1802, da Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaromonti - 1800-1823). Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti - 1846-1878) le fece erigere una piccola cappella dal Vespignani (1818-1899) nella cripta sotto l'altare papale, e con Breve del 25 maggio 1864, si riservò il diritto di farla esporre. Ciò che adesso avviene il 25 di ogni mese per concessione di Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci - 1878-1903).
[11] ) Vi era anche l’uso di bruciare solennemente sui gradini della Basilica, i libri eretici.
[12] ) Il Prof. Carlo Cecchelli è riuscito a dimostrare che la basilica è tutta quanta opera di Sisto III (vedi il suo studio sui “Mosaici della Basilica di S. Maria Maggiore ILTE-Roma 1956).
[13] ) I mosaici dell´arco trionfale della Basilica di S. Maria Maggiore, tolti dalla storia del Vecchio Testamento, sono più antichi di quelli dell’arco trionfale, ed in generale tutta la parte centrale della chiesa, ad eccezione dell’abside, si crede più antica del pontificato di Sisto III (435-440) e precisamente di Liberio (352-366), del quale il “Liber Pontificalis” dice che, presso il macello di Livia “fecit basilicam nomen suo, etc.”. Fin dai tempi costantiniani, ed anche prima, opere che si presentano come storiche, sono invece parto della fantasia e decadenza che crea, con tutta libertà, avvenimenti e fatti così come si desiderava fossero avvenuti. Le storie bibliche furono particolarmente alterate e inventate, un decreto gelosiano (492-96) enumera nove evangeli inventati: di Mattia, Pietro, Giacomo minore, Barnaba, Tommaso, Andrea e due altri che sarebbero stati compilati da Luciano e Esichio. Di “Atti degli Apostoli” ne cita cinque ed un “Itinerarium” sotto il nome dell’apostolo Pietro. Mentre durante i primi tre secoli e mezzo gli artisti cristiani non rappresentano scene tolte dagli apocrifi scritti, in seguito attinsero anche a queste fonti. Un esempio di una scena, attinta dagli apocrifi, sta nell’arco trionfale della basilica “S. Maria Maggiore” i cui mosaici sono posteriori al concilio di Efeso (431). Infatti fra i diversi quadri musivi dell’infanzia di Gesù se ne vede uno che riproduce un episodio riferito solo nell’Evangelo dello pseudo-Matteo. Vi si vede, presso il Nilo , la città da dove il principe (Afrodisio nello pseudo-Matteo) con la scorta ed un filosofo, va incontro al Divino Infante che con i suoi genitori si rifugia in Egitto, e secondo il suddetto evangelo, esclama: “Se questi non fosse un Dio superiore ai nostri dei, i simulacri dei nostri numi non sarebbero rovinati a terra al suo appressarsi”. Altri due ricordi di quei libri vi si notano: La Vergine nella sua annunziazione è occupata a filare (protoevangelo di Giacomo), e S. Giuseppe che, raffigurato su tutte le più antiche immagini in età giovanile ed imberbe, viene in seguito agli apocrifi che raccontano come egli avesse sposato Maria, da vedovo ed in età avanzata, ritratto anziano e con la barba. Ed è da queste fonti che la nuova rappresentazione passò prima nel mosaico di Sisto III (432-440) poi anch’essa, come quella di Maria divenne sempre più universale.
[14] ) Anche Benedetto XI (Nicola Boccassino - 1303-1304) restaurò la basilica in modo da quasi riedificarla, ma ne restò deturpata la facciata. Nel musaico della tribuna, che mostra il trionfo del Redentore e della Madonna, vi figurano ai lati, oltre Apostoli e Santi, il papa Niccolò IV (Girolamo Masci - 1288-1292) ed il cardinale Giacomo Colonna che commissionò l’opera stessa al Torriti nel XIII sec.).
[15] ) 2 settembre 1692 – “Domenica si fece, per la strada che va da S. Maria Maggiore a S. Croce in Gerusalemme, una nobile corsa di Barberi di vari Principi. Vinse il barbero di Rospigliosi”.
[16] ) Il Settizonium di Settimio Severo (193-211), di fronte alla via Appia, sembra fosse in origine di 7 piani, donde il nome (7 zone). Aveva colonne di giallo antico, di granito africano per ogni ripiano, e, tra le colonne, esedre con fontane e statue. Quando fu abbattuta era a 3 piani e furono spesi 905 scudi. Se ne ricavarono 33 blocchi enormi di travertino dal basamento, che servirono per quello dell’obelisco vaticano; 104 di marmo per riparazione colonna Antonina e base di S. Paolo; 15 per la tomba di Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) e 15 per quella di Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572); le colonne disperse, segate e rilavorate secondo l’uso rinascimentale.
[17] ) Sisto V voleva che vi si installassero i confratelli della “Statuta mercatorum Artis pannorum lanae in Urbe Roma”, che risaliva al principio del XIV sec. ed era presieduta da 4 nobili romani ed un console. Comprendeva lavoratori della lana, gli sgrassatori, i tessitori cardari. In seguito, ciascuno di questi ultimi due appartennero a una corporazione distinta.
[18] ) Pasquino disse:
“Fu Nerone cruel maligno e tristo ma molto più di lui fu papa Sisto”.
E poiché nato di mercoledì morto di mercoledì:
“Il mercoledì fu sempre rispettato E fu esente dal solito impiccato Poiché il destino avea già previsto Di impiccare quel giorno Papa Sisto”.
[19] ) In questo caso, chi vince la Croce o il cannone?
[20] ) “Parigi vale bene una messa”
[21] ) "16 aprile 1614 - Lunedì mattina si cominciò ad alzare la colonna sopra la quale si deve collocare una statua della Madonna di metallo dorato avanti la chiesa di Santa Maria Maggiore e il popolo vi accorse numeroso per vedere porre in opera le macchine et l’argani preparati per quest'effetto, et essendo sulle 18 hore stata posta a luogo felicemente, senz'altro impedimento che dalla caduta di un soldato svizzero della guardia pontificia, che, sendo salito in cima all'armatura di travi ne cadde senza farsi male. Finita di innalzare la colonna sulla sua base di marmo e posatasi, furono per l'allegrezza dell'opera compita felicemente, donate mance a tutti i lavoratori". La colonna fu trainata da 60 cavalli.
[22] ) Alla base una fontana in travertino di Carlo Maderno.
[23] ) La cappella della Madonna di Santa Maria (Cappella Paolina), "salus populi romani”, è ricordata fin dal 1566 ed è forse assai più antica. Flaminio Ponzio terminò i lavori nel 1611. Vi sono sepolti,, oltre a Paolina Borghese, sepolta nel sottosuolo della cappella, v’è nella stessa cappella la tomba di Paolo V (Camillo Borghese - 1605-1621), di Flaminio Ponzio, ed in un bassorilievo del monumento sono raffigurate le milizie messe da quel Papa a disposizione di Rodolfo Imperatore "Hungariam bellum gerentem” contro i nemici del nome cristiano. Sulla sepoltura di Clemente VIII (Anche questa di Flaminio Ponzio), che fronteggia la suddetta tomba, Camillo Mariani scolpì la liberazione di Strigonia dai turchi, avvenuta nel 1595, sotto il comando di Gian Francesco Aldobrandini, nipote del Papa, statua del quale Francesco si vede nel palazzo dei Conservatori in Campidoglio, mentre il suo corpo è inumato in Santa Maria in Aracoeli in prossimità della tomba di Flaminio Delfini "magnis expeditionibus pro sede apostolica strenue defuncto”. Vi ha celebrato la prima messa Pio XII (Eugenio Pacelli - 1939-1958) il 3 aprile 1899 e il 50° il 3 aprile 1939. il 1 novembre 1954, a conclusione dell'anno Mariano e ad istituzione della festa della regalità di Maria S.S (Enciclica « Ad Coeli Reginam » dell'11 ottobre 1954.), che sarà celebrata dal 1955, ogni anno, il 31 maggio, Pio XII ha incoronato "Immago B.V. Mariae; est in quondam grossa tabula, cum imagine filii brachio sinistro, quam depinaxit Sanctus Lucas Evangelista”. Chiamata “Salus Populi Romani”. L'immagine è stata trasportata in San Pietro, da Santa Maria Maggiore, e le due corone, per la Vergine e per il Bambino, sono state imposte con solenne rito. Secondo il desiderio espresso dal Pontefice, la corona della Madonna doveva esprimere la calda purezza dell'Immacolata e tale concetto viene simbolicamente reso dai gigli stupendi che sorgono dalla fascia di base, in tre gruppi e reggono i contorni delicati della corona regale. Identica, sebbene in dimensioni ridotte, la corona che cinge il capo del Bambino Gesù. Tutte e due le corone - di cui quella della Madonna pesa 587 g e quella del Bambino Gesù 206 g - sono di oro massiccio e tempestate di gemme provenienti da quasi tutte le parti della terra. Nel centro della grande corona vi è il topazio che appartenne ai re di Francia e che fu donato da Luigi XVI all'episcopato francese, perché ne fosse ornato un anello vescovile. Ultimo a portarlo è stato il vescovo di Chartres, che lo ha offerto, prima di morire, insieme ad altri doni. La corona contiene inoltre un arco di 18 brillanti con al centro un diamante grande, otto topazi, quattro acque marine ed altre pietre preziose. La parte inferiore della fascia basale della corona reca la scritta: “Pius 12° P.M. Deiparae Reginae Kal. Nov. 1954 A Mar.”. La corona del bambino è ornata da un brillante centrale allineato a sette tormaline e a tre acquemarine; la fascia contiene 12 brillanti, 14 rubini di cui quattro maggiori e tre topazi. L'apertura della corona della Madonna è di 32 cm e quella del bambino Gesù di 21,6. Le preziose corone sono state offerte al Papa da tutti i fedeli del mondo cattolico.
[24] ) La legenda di San Luca evangelista pittore delle immagini sacre, riproducenti i personaggi della Sacra Famiglia, nasce nel periodo iconoclasta (730-843) per contrastarne la credenza.
[25] ) Il marzo 1587 – “Si fanno i fondamenti alla falda dell’Esquilino per innalzarvi quell’obelisco che dal Mausoleo di Augusto a S. Rocco, fu condotto là per questo, et sarà di rimpetto alla basilica si S. Maria Maggiore et in eterno durerà".
[26] ) Una delle tante che Pasquino gli aveva dedicato:
“Ecco il papa che a Roma si conviene: Di fede ne possiede quanto basta Manda avanti gli affari della Casta E sa pigliare il mondo come viene".
[27] ) La processione fu la trasformazione dei Ludi Augustali la quale snodandosi dall’antica cappella del “Sancta Santorum” [Dalla Sancta Sanctorum, un’immagine della Vergine ivi custodita, fu nel 1281 traslata processionalmente a S. Maria del Popolo, da Gregorio IX] ed entrando poi nel Foro ravvivava l’antico ludo augustale, seguendo esattamente l’itinerario percorso dal corteo trionfale. Una lapide incastrata nella parete del vestibolo del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio, dice essere tale funzione “Triunphalis – Gentilium – Pompa – Aug. – C – Honori – Reddi – Solita – ad – Redacta – etc.”. Mentre le Ferie Augustali cadevano nelle Kalendae Augusti (1 agosto) i ludi invece si celebravano nella notte del 15 di agosto.
[28] ) S. Adriano in Tribus Fatis, chiesa abbattuta, negli anni trenta, per il ripristino dell'aula della curia Iulia nel Foro Romano) .
[29] ) Su Marcantonio Altieri, per molti anni guardiano della Confraternita del Sancta Santorum, (vedi pag.32-52 della Roma di Leone X di D. Gnoli (1938) e nell’archivio di Stato n.3 il volume dell’archivio Sancta Sanctorum (catasto 1515) segnato col n.15).
[30] ) Acheropita o achiropita: parola di origine greca, il cui significato è "non fatto da mano umana".
[31] ) Avanti alla chiesa di S. Giuliano (distrutta dopo il 1870), vicino all’arco di Gallieno, si faceva l’ultima lavata dell’immagine. L’origine di questa chiesa risalirebbe al 1220 e fu il primo luogo abitato in Roma dai Carmelitani. Fu distrutta nel 1874 ed era detta « ai trofei di Mario » per essere quasi di fronte a S. Eusebio. (piazza Vittorio Emanuele).
[32] ) « Cappella papale » - Le origini della "Cappella Pontificia" risalgono ai primissimi tempi della libertà della Chiesa, quando cominciarono a sorgere le prime Basiliche. Pittoresche sono le descrizioni dei cortei papali da Laterano alle diverse chiese. Fu però ad Avignone che si iniziarono le Cappelle Pontificie propriamente dette. Per mancanza di chiese adatte, Clemente V (Bertrand de Gouth - 1305-1314) stabilì che le funzioni si celebrassero nella Cappella del palazzo Apostolico, ed i suoi successori, nell'ampliare il palazzo, ebbero cura di arricchirlo di spaziose cappelle adatte. Ritornati a Roma, per lo stato in cui erano ridotte le Chiese, per tutto il secolo XV continuarono nella consuetudine di celebrare in Palazzo le diverse funzioni, e sorsero così le Cappelle: Sistina, Paolina in Vaticano e Paolina al Quirinale finché Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590), nel 1586, con la Costituzione "Egregia" volle ripristinare l'uso di celebrare le funzioni papali nelle sette Basiliche, ed anche per questo trasformò la rete stradale per rendere agevole e decoroso lo svolgimento dei sacri cortei. Ma più tardi la consuetudine delle Cappelle di palazzo fu ripristinata per molte ragioni, ed anche per la lontananza di molte Basiliche dalla residenza del Pontefice. Prima del 1870, le Cappelle Papali, fra maggiori, minori e private, erano 50, altre le straordinarie. Una delle cerimonie più caratteristiche cui partecipava personalmente il Pontefice nel Giovedì Santo (Dies lucis o in Coena Domini) era la "lavanda" dei 13 pellegrini o apostoli (il 13º alcuni lo ritengono San Paolo, altri il padron di casa, altri San Mattia che sostituì Giuda), e la "tavola" imbandita ai medesimi, servita dallo stesso Sommo Pontefice. La prima delle due cerimonie si svolgeva nella Sala Ducale del Palazzo Apostolico o nell'aula della Benedizione o , per il gran concorso di persone, nel grande braccio dei Santi Processo e Martiniano nella Basilica di San Pietro. Anticamente le lavande erano due una a dodici diaconi o suddiaconi per significare l'episodio di Maria Maddalena, che lavò ed unse i piedi del Signore, la seconda a tredici poveri. Più tardi le lavande si ridussero ad una, stabilendosi che i "tredici" fossero ecclesiastici in sacris. Il Papa, senza il piviale, cinto di un grembiule bianco, faceva la lavanda del piede destro che asciugava e baciava. Due Camerieri Segreti sostenevano i lembi della falda e due bussolanti, in cappe rosse, lo seguivano con due bacili d'argento contenenti tredici asciugamani e tredici mazzi di fiori freschi che dal Pontefici venivano donati ad ognuno insieme ad una medaglia d'oro o d'argento su cui era incisa da una parte l'immagine del Pontefice e sull'altra quella del Redentore che lava i piedi di San Pietro, con la scritta "Ego dominus et Magister exemplum dedi vobis". Alla lavanda seguiva il pranzo degli stessi tredici "apostoli" che avveniva nella sala Clementina o nell'aula della Benedizione. (13 e non 12 per una tradizione secondo la quale Gregorio X (Tebaldo Visconti - 1271-1276), procedendo alla cerimonia, contò 13 poveri invece di 12 essendovisi aggiunto un angelo). Oggi, per le mutate condizioni, il numero delle solenni funzioni alle quali presiede il Pontefice, è molto diminuito, e attualmente nella processione che precede le sacre funzioni i personaggi che partecipano alla Cappella Papale precedono in ordine ascendente, il Predicatore Apostolico e il Confessore della Famiglia Pontificia, i Procuratori degli Ordini Religiosi, i Bussolanti, i Cappellani d'Onore e Segreti, i Prelati Votanti della Segnatura Apostolica, i Chierici di Camera, il Padre Maestro del Sacro Palazzo Apostolico, i Prelati Uditori di Rota, sua Eminenza il Maestro del Santo Ospizio. Viene poi la Croce Papale, portata da un Uditore di Rota, accompagnato da un Maestro Ostiario di "Virga Rubea" (carica abolita da un motu proprio di Paolo VI) e circondata da Mazzieri. Quindi procedono i Cardinali, Diaconi, Preti e Vescovi. Subito dopo vengono il Principe Assistente al Soglio (sono due che si alternano: Colonna e Orsini) due Cardinali Diaconi; due Protonotari Apostolici Partecipanti, Monsignor Prefetto delle Cerimonie accompagnato da un Maestro delle Cerimonie, e da ultimo il Santo Padre sulla Sedia Gestatoria, levato in alto dai suoi Sediari, in mezzo ai flabelli, e scortata dalle Guardie Nobili. Circondano la Sedia Gestatoria gli Svizzeri con gli spadoni rappresentanti i Cantoni Elvetici, la fiancheggiano i Comandanti della Guardia Nobile, della Guardia Svizzera, della Guardia Palatina d'Onore, della Gendarmeria, il Forier Maggiore dei Santi Palazzi Apostolici, il Cavallerizzo Maggiore di Sua Santità, i Camerieri Segreti e i Camerieri d'Onore di Spada e Cappa. Seguono la Sedia Gestatoria l'aiutante di Camera con i Familiari Segreti, i Camerieri Segreti partecipanti che devono reggere lo strascico della Falda e con essi, il Decano degli Uditori di Rota per la Mitra, i Patriarchi, gli Arcivescovi e Vescovi assistenti al Soglio, il vice Camerlengo di Santa Romana Chiesa, l'Uditore Generale della Reverenda Camera Apostolica, il Maestro di Camera di Sua Santità, l'Elemosiniere Segreto, il Sacrista, con i Protonotari Apostolici partecipanti, Soprannumerari e "ad instar", gli Abati Generali e i Generali degli Ordini Religiosi (canonici regolari, monaci e ordini mendicanti).
[33] “Il treno di campagna che direbbesi il giornaliero, per la passeggiata, è il seguente: Due dragoni con la sciabola sguainata vanno almeno un cento metri avanti la carrozza pontificia, e fanno arrestare allo sbocco delle vie i carri e le vetture, acciò non entrino nella via che deve percorrere Sua Santità. Circa un cinquanta metri dopo, viene il battistrada, il quale ordina alle carrozze che si trovano sulla via di fermarsi, ed alle persone che sono dentro di scendere. Dieci metri appresso, vengono due guardie nobili con sciabola sguainata. Segue la carrozza papale tirata da sei cavalli, due cocchieri, uno a cavallo, l'altro in cassetta, ambedue vestiti con calzoni e casacca di damasco di seta rosso. Il papa è seduto in un seggiolone, e di fronte gli stanno due prelati. Sopra il cielo della carrozza all'interno vi è in ricamo in oro rilevato una colomba rappresentante lo Spirito Santo. Il papa è vestito in sottana bianca di seta o di finissima lana, secondo la stagione; sopra di essa vi è una mozzetta rossa di seta o di velluto, secondo la stagione; nell'inverno è di velluto ornata di ermellino; sopra la mozzetta ha una stola rossa tutta ricamata in oro. Ha sopra il capo un cappello rosso a tegola con gran fiocco d'oro. La carrozza è circondata dalle guardie nobili a cavallo, ed i palafrenieri vestiti di damasco rosso sono montati dietro ad essa. Un picchetto di guardie nobili segue la carrozza papale. Due altre carrozze, in una delle quali è l'elemosiniere, nell'altra i camerieri, seguono la carrozza papale, ed il corteggio è chiuso da un picchetto di dragoni. Dovunque il papa passa, suonano a festa le campane delle chiese. Quando il papa entra in palazzo, o in qualche altro luogo i dragoni non entrano, ma restano sulla porta. Questo è il treno ordinario delle passeggiate quotidiane”. (da: Nota 9. alla lettera settima di Roma Papale 1882)
[34] ) Alla sua morte Pasquino disse :
In vita e in morte egl’ebbe questa sorte Che di lui non si disse bene in vita E di lui mal dir non puossi in morte.
E ne compose così l’epitaffio :
« Qui giace Lambertini di Bologna Che visse e scrisse più che non bisogna ».
[35] ) Lo spostamento della Sede Apostolica in Francia inizia con Clemente V (Bertrand de Gouth - 1305-1314) che dopo Bodeaux la fissa a Poiters (1309-1313) per passare, nel 1313 stabilmente ad Avignone e prende fine nel 1377 con il ritorno a Roma di papa Gregorio XI (Pierre Roger de Beaufort - 1370-1378.).
[36] ) Fratello di Onorio IV (Giacomo Savelli - 1285-1287) combatté a Tagliacozzo (1268) contro Corradino, fu senatore di Roma nel 1279.
[37] ) Guidotto fuse anche una delle campane della basilica vaticana.
[38] ) L’ospedale, annesso alla chiesa di S. Andrea de Piscinula o “Cata Barbara” o “in Exaiolo” (iuxta S. Mariam Maiorem) fondato, come detto, dal Cardinale Pietro Capocci nel 1250 circa, cambiò in S. Antonio Eremita quando la nuova chiesa (diruta XV sec. l’antica): “Fu fondata et eretta l’anno 1305 sotto il regno di Filippo IV (il Bello) re Xmo sopra la piazza di S. Maria Maggiore”. L’Ospedale nel 1871 diventò l’ospedale militare del Reale Esercito. Oggi il palazzo è del Seminario Lombardo (ora non più) e la chiesa del “Russicon”, Pontificio Collegio Russo fondato da Pio XI (Achille Ratti - 1922-1939) nel 1929, è officiata in rito bizantino. Fino al 1927 vi fu pure impartita la benedizione agli automezzi che, oggi, per la festa di S. Francesca Romana, il 9 marzo, s’impartisce sul piazzale del Colosseo. - 1611 – “La notte della festa del santo andarno certi nudi a S. Antonio per devotione. Gli furono tirati certi sassi; uno di quelli, Titta Matriciano fu ferito in testa”.
[39] ) Coppie di cavalli.
[40] ) Sotto Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili - 1644-1655) i servizi di corte erano espletati con numero iperbolico di berline (carrozze). Il Cardinale de’ Medici, ambasciatore Toscano, nel 1687 si presentò a Roma con 110 carrozze, ciascuna tirate da 6 cavalli, ma sotto il sopradetto pontefice, ad una sua udienza, l’ambasciatore Cesareo Savelli andò con 140 carrozze e quello francese con 131.
[41] ) La prima automobile (a vapore) fu pilotata a Roma nel 1889 da don Marino Torlonia (1861-1933). Don Marino fa i debiti e Papà dopo li paga - satira popolana.
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