Via XX Settembre (R. II - Trevi; Castro Pretorio; Sallustiano) (da via Quattro Fontane a Porta Pia)
Nella zona tra la via XX Settembre e via delle Quattro Fontane, compresa dai romani nella località detta "ad malum publicum"[1] dove, nell’area dell’attuale chiesa di San Carlino, sorse il "Templum Gentis Flaviae"[2] che aveva a lato la villa di Tito, abitata poi ed abbellita dall’imperatore Claudio Censorino durante la sua breve dimora in Roma.
Ivi, e precisamente tra la salita delle Quattro Fontane e la via XX Settembre, su quel terreno già appartenuto ai Barberini, è stato scoperto nel 1936 un importante Mithreo [3].
Dopo che nelle prime ore del 31 ottobre 1946 due bombe, poste da Sionisti, fecero crollare, presso Porta Pia, una parte dell’edificio dove risiedeva l’ambasciata Inglese, lo stabile venne demolito.
Era stato Don Marino Torlonia, duca di Bracciano [4] che, circa il 1840, aveva incaricato l’architetto Antonio Sarti (1797-1881) della ricostruzione del palazzo, posto di fronte alla villa Bonaparte in via XX Settembre, allora via di Porta Pia.
Il Torlonia, fatto poi duca da Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti - 1846-1878), nel 1847, aveva acquistata la proprietà dal barone de Genotte Markenfeld, successore degli antichi proprietari marchesi Andosilla, e ne aveva reso, cogli abbellimenti del Sarti, più nobile il palazzo e più delizioso il parco. Dopo l’acquisto di Don Marino, fu detta "villa Bracciano" e, dopo aver appartenuto al barone Reinach, nel 1871, fu acquistata dall’Inghilterra per la sede della propria ambasciata, trasferita poi nel 1946 a villa Wolkonski a S. Giovanni.
All’atto dell'acquisto, dagli inglesi furono apportati ampliamenti e abbellimenti sotto la direzione dell’architetto Giovanni Riggi, che vi costruì il superbo scalone, dipinto nella volta dal pittore ferrarese Piatti, e la vasta sala da ballo.
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[1] ) La zona attualmente compresa fra la via Nazionale e il Pincio per un verso, il Palazzo Reale e le mura di cinta della città per l'altro, era il quartiere "ad malum punicum” una delle parti più aristocratiche e ridenti di Roma. "Ad malum punicum” nacque Domiziano (81-96) in una casa presso Santa Andrea del Quirinale che, proprietà di Vespasiano, divenne il mausoleo della gente Flavia.
[2] ) È qui che Domiziano eresse il “Templum Gentis Flaviae” che rimase fino al IV secolo. Il tempio scomparve per la ricchezza dei suoi marmi preziosi, per quanto fosse stato destinato a rimanere: "cum Sole et astris cumque luce romana”. Sembra fosse rotondo e avesse la forma di Mausoleo. Vi furono tumulati Vespasiano, Tito e Domiziano il quale ultimo ebbe, secondo Svetonio, il suo cadavere bruciato dalla nutrice Fillide e le ceneri introdotte clandestinamente nel Mausoleo, mischiate con quelle della nipote Giulia, figlia di Tito, ivi tumulata con gli altri membri della gente Flavia.
[3] Venuto in luce durante la costruzione delle palazzine erette all'angolo delle strade suddette, è così descritto dal Bollettino Archeologico Comunale del 1938 (pag.251 e seguenti): "Il Mithreo, aperto in un ambiente sotterraneo, con volta a botte, di un edificio degli inizi del I sec. d.C., è probabilmente di età augustea (secondo il professor Lugli è indubbiamente dell'epoca Severiana [II-III sec.] quale appare dalla costruzione in opera laterizia) del quale si sono messi allo scoperto altri vani. Consta, come consimili santuari, di un passaggio centrale, e a destra e a sinistra di due "podia" che si stendono lungo i muri laterali verso cui si abbassano, avendo i bordi tagliati ad angolo retto in modo da sostenere, nello spessore, delle lastre orizzontali di marmo; lungo i "podia" a destra e a sinistra, sono collegate due vaschette per contenere l'acqua lustrale. Nella parete sinistra si aprivano due finestre a bocca di lupo che davano luce all'ambiente; nella parete di fondo è dipinto il sacrificio del dio Mitra. Al centro dell'affresco è il consueto gruppo di Mitra tauroctono: il dio, vestito di tunica e clamide svolazzante, coperto il capo del berretto frigio, raggiunto il toro nella corsa, ne compie l'immolazione. Sono presenti come di solito, il cane, lo scorpione ed il serpente. Ai lati due dadofori (Rappresentano col Dio la trinità solare - il sole che nasce, il sole che domina – Mitra - e il sole che tramonta) assistono al dramma: l’uno tiene levata, l'altro abbassata la face (fiaccola). Il manto del Dio è cosparso di stelle; altre sono nel campo. Sormontano la scena, a semicerchio allargato, i 12 segni dello zodiaco, inframmezzati in alto dal dio leontocefalo, avvolto nelle spire di serpente e i piedi sul globo. Più sopra ancora sono riprodotte are fiammeggianti alternate ad alberelli; agli angoli i due busti del Sole e della Luna, radioso il primo ed aureolato il secondo. Il principale pregio è dato, però dai quadretti minori, che, cinque per parte, limitano a destra e a sinistra la scena centrale. Essi, che servivano a narrare agli iniziati le origini e le gesta del Dio, cominciano a sinistra dall'alto in basso e continuano a destra dal basso in alto. A sinistra notiamo 1°- Giove che fulmina i giganti anguipadi (due serpenti al posto delle gambe), 2°- la dea Tellus recumbente sul fianco sinistro, 3°- Mitra che nasce dalla roccia, assistito dai due dadofori; 4°- Mitra che fa scaturire l'acqua da una roccia che colpisce con una freccia: a destra un fedele intento a raccogliere l'acqua che sgorga e un altro in ginocchio dinanzi al Dio; 5°- Mitra che trasporta il toro. A destra i quadretti rappresentano le gesta di Mitra e di Helios: 1°- Mitra in costume orientale, tenendo nella destra un oggetto non bene distinguibile, pone la sinistra sulla destra di un giovane nudo (Helios) in ginocchio davanti a lui; 2°- Mitra inginocchiato di prospetto con la sinistra elevata e la destra abbassata, tra due alberelli; 3°- Mitra e Helios davanti a un’ara; 4°- Mitra che sale sul carro celeste guidato da Helios, 5°- il banchetto mistico. Figurazioni relative al culto di Mitra sono dipinte pure nella parte interna dei pilastri, lungo il corridoio. Il Mitreo, importantissimo per essere uno dei meglio conservati tra quelli sinora scoperti, acquista un interesse del tutto eccezionale per avere l'immagine sacra, anziché il rilievo sul marmo, dipinta, essendoci noti prima d'ora, configurazioni dipinte solo due Mitrei, quello di Dora Europos e quella di Santa Maria di Capua Vetere in Italia". (Napoli).
[4] ) In seguito il Torlonia dové restituire il titolo agli Odescalchi (1847), che avevano venduto ai Torlonia il loro feudo braccianense nel 1803, con patto “redimendi" (mantenendo cioè il diritto di ricompra).
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