Largo (già Via) Santa Susanna (R. I - Trevi; Castro Pretorio) (vi convergono: via Barberini, via Leonida Bissolati, via di Santa Susanna, confina con Piazza di San Bernardo)
È il nome trasferito oggi alla strada che è detta "Largo di Santa Susanna" perché fiancheggia la chiesa omonima e serve di transito per le vie Barberini (già Regina Elena), via Bissolati (già via 31 marzo “anniversario della costituzione dei fasci”) e l'ultimo tratto di quella che fu l'intiera via di Santa Susanna.
Dice il Rufini (1847): "Tal nome ebbe questa strada perché in essa sta posta la chiesa di Santa Susanna costruita nel luogo stesso dove fu la casa paterna di detta santa. Unito alla medesima Chiesa evvi il monastero delle monache Cistercensi che l’hanno in cura".
Il tempio che si vuole sia sorto sulla casa di San Gabinio, padre della Santa, avrebbe avuto vicina la casa di San Cajo Papa (284-296) zio di lei, casa che fu anch'essa tramutata in chiesa [1] e per questo chiamata "ad duas domos”, come n’è menzione nel Liber Pontificalis in Sergio I (687-701), del quale un’epigrafe elenca i doni fatti alla chiesa (epigrafe oggi nel museo Vaticano) posta "in regione quarta ad duas domos”.
Ubicazione che viene confermata in un codice di Berna che dice: "ad duas domos iuxta duodecimas [diocletianas (termas) (IV sec.)] e specificata negli "acta S. Susannae”: “Caii episcopi domus beati Gabinii domui iuncta erat”.
Nel concilio di Simmaco del 499 sottoscrissero anche i preti del titolo di San Gabinio e Susanna.
Restauri della chiesa di Santa Susanna furono operati da Adriano I (772-795), Leone III (795-816) e da Sisto IV (Francesco Della Rovere - 1471-1484) nel 1475.
In uno scavo fatto nel XIX secolo, sotto la confessione, circa il piano dell’antico titolo, si trovarono tracce di un’antica casa romana del III secolo con resti di opera tessellata e di pittura e un’altra in "opus reticolatum".
Nel 1939 i lavori stradali per l'allargamento dell’antica via di Santa Susanna, hanno posto in luce il fianco della basilica di Santa Susanna e si è così accertato che vi sono i muri, degli inizi del secolo IX e che il tempio aveva una lunghezza di metri 37,50.
Nel XVII secolo era ancora in essere l’antico musaico di Leone III (795-816) che aveva sottoposta l’epigrafe: "Dudum haec Beatae Susannae martyris aula, coangusto, et tetro existens loco marcuerat, quam Dominus Leo papa tertius a fundamentis, erigens et condens corpus beatae Felicitatis martyris, compte aedificans ornavit atque dedicavit”.
Nel soprastante quadro vi era, a sinistra, l’immagine di Leone III con in mano il modello della basilica da lui edificata ed, a destra, Carlo Magno (742-814) con la mano destra accennante al papa.
La primitiva chiesa era a tre navate con tribuna assai grande. La facciata moderna, ad opera del Maderno, è del 1603, dopo il rifacimento di Sisto IV.
Oggi officiata dai Paolisti Americani, la basilica ha l’ingresso sulla Piazza San Bernardo, mentre anticamente tutto il corpo dell'edificio era lontano dalla strada.
Su questa piazza, altra chiesa è quella di Santa Maria della Vittoria, edificata nell’area di un’antica edicola dedicata a San Paolo.
Nel XVII secolo aveva annessa una casetta abitata da un eremita che la custodiva e serviva di rifugio, nel luogo allora solitario, ai viandanti sorpresi dal cattivo tempo.
La chiesolina demolita, sotto Paolo V (Camillo Borghese - 1605-1621), fu ricostruita più grande, sempre intitolata a S. Paolo e vi fu annesso un collegio di catecumeni sotto la direzione dei Carmelitani scalzi. Pochi anni dopo vi fu posta un’immagine della Madonna, portata dalla Germania dopo la vittoria di Massimiliano duca di Baviera contro gli eretici (Weissenberg – 1648), e la chiesa fu detta della Vittoria. Un incendio nel 1833 distrusse l’immagine, sostituita da un’altra portata dalla Germania insieme alla prima. Nel vicino convento vi sono custoditi vessilli tolti agli eretici e ai Turchi.
Il Tempio, modificato dopo l’incendio a spese di Don Alessandro Torlonia, ha la facciata costruita da Giambattista Soria (1581-1651) per incarico del cardinale Scipione Borghese. Nello scavare i fondamenti della Chiesa fu rinvenuta la statua dell'Ermafrodito [2], oggi al museo del Louvre. Nella chiesa v’è sepolto Giovanni Giustiniani, morto nel 1638 all’assedio della Roccella e la statua del deliquio di Santa Teresa, scolpita da Gian Lorenzo Bernini (1598-1680).
A nord della piazza, la Mostra dell’acqua Felice.
Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590), dopo solo 28 giorni dalla sua elezione e incoronazione (1º maggio), acquistò dal principe Marzio Colonna per 25.000 scudi le sorgenti dell’acqua che intendeva convogliare, poste in località Pantanella, presso Palestrina. Le sorgenti, unite a quelle che scaturiscono ai “Prati dell'osteria" fra i colli Massimo e della Colonna, che erano già state portate a Roma da Alessandro Severo [3] (222-225), avrebbero fornito l’acqua necessaria alla parte elevata della città. Ma, impiantato male il lavoro, il Pontefice lo dovette affidare a Giovanni Fontana (1540-1614) che ne scrisse: "Fui perciò forzato a ricercare altre acque per quelli monti di maggior livello, facendo molte migliaia di tasti, sin tanto che, in numero di 50 e più luoghi, rinvenni la desiderata quantità d'acqua, altrimenti detto Pontefice aveva buttato tutta la spesa".
Al termine la spesa risultò di 300.000 scudi ma nel giorno della Natività dell’anno 1589 i 20.200 m³ d’acqua giornalieri, per alimentare 27 fontane, sprizzarono a Roma. Sisto V in un concistoro del febbraio 1590 dedicò alla sua acqua la Bolla "suprema cura regiminis".
Il tracciato dell’acquedotto, che "si svolge per più di 15 miglia sotto terra e per tre quarti su orli e pilastri", fu posto dal Fontana poco discosto dalle vicine terme dioclezianee e sulla Piazza San Bernardo, allora Piazza Termini. Il fratello Domenico innalzò la mostra dell’acqua stessa affidandone l’ornamento a Gedeone di Flaminio Vacca (1538-607) e a Giovanni Battista Fontana per i rilievi biblici ed a Prospero Antichi da Brescia (+ 1592) per la statua del Mosè. Vi aggiunse i leoni, che gettavano acqua, provenienti dall’Iseo Campense [4], ma la statua, che era stata scolpita tenendo il marmo adagiato, risultò goffa e tozza quando fu messa a posto, alterando così la prospettiva della Mostra.
Pasquino, naturalmente, interloquì ripetutamente e dopo aver affermato che:
"Unda semper felix Sed fons infelix”
Diceva che il Mosé:
"Guarda con occhio torvo L'acqua che scorre ai pie’ Pensando inorridito Al danno che a lui fe’ Uno scultor stordito”.
Consigliando il pontefice che se:
"È buona l'acqua fresca e la fontana è bella Con quel mostro di sopra però non è più quella. Oh tu, Sisto, che tanto tieni alla tua parola Il nuovo Michelangelo impicca per la gola".
Sulla Piazza, quasi di fronte a Santa Susanna v’è un'altra chiesa, quella di San Bernardo. Il tempio, che si trova in una delle rotonde terminali delle terme dioclezianee, si crede sia forse stato un "calidario o lo sferisterio". L’edificio di forma circolare fu acquistato dalla contessa Caterina Sforza nel 1594 e donato l’anno seguente ai monaci Cistercensi, che, dietro Indulto di Sisto V, nel 1587, oltre al Convento, trasformarono nel 1598 la rotonda in chiesa [5], che nel 1600 fu dedicata a San Bernardo.
Era la rotonda ad una dell’estremità delle terme di Diocleziano che si estendevano per una superficie di 356 x 316 m, occupando all’incirca il rettangolo tra piazza San Bernardo ed il cortile della Corte dei Conti a Nord Ovest, tra via Viminale e Piazza dei 500 a sud; la via Gaeta a Nord Est e l'Esedra di Piazza delle Terme a Sud Ovest. Le terme, sufficienti per 3000 bagnanti alla volta, avevano la grande esedra (piazza omonima odierna, diventata poi Piazza della Repubblica) principale del diametro di metri 144 che serviva da cavea, senza soluzione di continuità, per assistere agli spettacoli. L’ingresso alle terme era infatti dal lato orientale e il "vicus longus”[6] (dalla parte di via Nazionale) deviava verso piazza San Bernardo, sboccando nell’attuale via Torino che, anche allora, come adesso, congiungeva l’“Alta Semita”, il “vicus longus” e il “vicus collis Viminalis”[7].
Quel vasto edificio rotondo, all’inizio di via del Viminale, trasformato da Clemente XI (Giovanni Francesco Albani - 1700-1721) in granaio [8], era una delle estremità delle terme, che faceva pendant alla rotonda di San Bernardo.
In questo locale vi fu, col tempo, allocato un penitenziario [9], e fino al 1890, passando rasente al fabbricato, si vedevano i forzati lavorare nel sottosuolo da quelle inferriate che sono ancora in loco sull’attuale via delle Terme, mentre sentinelle sorvegliavano sul marciapiedi, dov’è adesso il monumento ai caduti di Dogali.
Anche Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) trasformò aule delle Terme in granai, che Paolo V ampliò (Camillo Borghese - 1605-1621) e Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644) prolungò da via Cernaia per via Pastrengo, fino alla strada di Porta Pia (via XX settembre) ove fece costruire un delizioso palazzetto di arte berniniana, detto il "Granarone”, oggi demolito per far posto al palazzo di vetro (prima: C.I.M., poi Banca d´Italia).
Clemente XIII (Carlo Rezzonico - 1758-1769) costruì delle vaste oliare (1764) accanto ai granai di Santa Maria degli Angeli e Clemente XIV (Gian Vincenzo Antonio Ganganelli - 1769-1774) edificò un grande fabbricato per la manifattura del “Calancà”[10], una stoffa leggera dipinta, che faceva furore. Al posto del suddetto, sta oggi il "Grand Hotel”.
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[1] ) La chiesa di san Caio prende il nome da Caio papa (283-196), martirizzato in Dalmazia durante le persecuzioni di Diocleziano (284-305). Il primitivo “titulus” fu istituito sulla casa dove Caio, prima di diventare Papa, avrebbe abitato e dove avrebbe riunito i fedeli Cristiani in preghiera. Nel V secolo, sul “titulus”, fu edificata una piccola chiesa con annessa una casa presbiteriale. Su sollecitazione dei fedeli Dalmati, nel 1631, papa Urbano VIII (Maffeo Barberini – 1623-1644) ordinò la ricostruzione della chiesa e del convento a spese della Camera Apostolica, servendosi dell’opera di Vincenzo Della Greca (1592-1661) e di Francesco Peparelli (+1641), architetti. La chiesa, di stile barocco, era a croce latina con abside rettangolare e campanile, sul lato sinistro (guardando la facciata), sormontato da cupola a padiglione di sesto acuto. Sulla porta lo stemma di Urbano VIII. La chiesa, demolita nel 1885 per la costruzione del Ministero della Guerra, si trovava dove ora si innesta via Firenze su via XX Settembre
[2] ) La statua dell’Ermafrodito fu donata dai Carmelitani al cardinale di Scipione Borghese, il quale, fattala restaurare dal Bernini, che vi aggiunse il piede sinistro mancante e uno scomposto giaciglio di marmo, la tenne carissima e compensò i frati contribuendo alla costruzione ed erigendo la facciata a proprie spese.
[3] ) È incerto il percorso urbano, di epoca romana, dopo che da Centocelle alle mura Aureliane, correndo a fianco della via Labicana, attraversava la porta Maggiore alla quota di metri 44,82, e cioè di metri 17 più bassa dell'acqua Felice. Pure la piscina di raccolta si dubita possa essere stata quella ancora esistente nella vigna Conti e per la mostra si ritiene da qualcuno sia stata il cosiddetto tempio di Minerva Medica, mentre altri la riconoscono in un ninfeo degli orti Liciniani.
[4] ) Oggi, sostituiti da copie, gli originali si trovano nei Musei Vaticani. I leoni, per gli egizi, erano simbolo dell’acqua, perché l’inizio delle piene del Nilo coincidevano con l’entrata del Sole nella costellazione del Leone.
[5] ) La volta, aperta come quella del Pantheon, fu chiusa con il piombo, risultato da uno scavo, di antiche officine.
[ 6] ) Plutarco presso il vicus Longus (circa l'attuale via Nazionale) nomina il tempio della "Fortuna Eulepis”, tempio antichissimo che nel II o III secolo d.C. fu restaurato e sdoppiato: forse i "Templa duo nova Spei et Fortunae”. Nel punto più alto del vicolo era poi venerata la dea “Febris”. Il vicus, che proveniva dal Foro di Augusto, era diretto a porta Collina e con vie trasversali era unito al "vicus Altae Semitae” (via del Quirinale) che era ad un livello un po' più alto. Presso porta Collina (incrocio tra le attuali via Goito e via XX Settembre) il "Campus Sceleratus (perché qui venivano sepolti i condannati a morte)”.
[7] ) Oltre la porta, il vicus collis Viminalis aveva una strada che lo proseguiva e che potrebbe essere l'antica “via Collatina” divenuta poi la "Tiburtina nova”. Via che costeggiava il castro Pretorio ed uscendo da una posterula Aureliana, costituiva il limite della regione.
[8] ) 1704 - "Riuscendo angusti gli granari di Termini per riporvi il grano della Camera Apostolica: dopo che il palazzo di S. Giovanni Laterano, che ancor esso serviva da granaro, fu convertito, dal pontefice, in ospizio dei poveri invalidi, la Congregazione dell'Annona ha cominciato a fabbricare i nuovi granari di Termini nell'orto dei padri di San Bernardo, incominciando vicino al cantone che è quasi incontro alla villa Peretti". In realtà, qui sopra, non si trattava dell’edificio principale di Villa Peretti (che sarà demolito per la sistemazione della Stazione Termini), ma di un edificio secondario della villa, sempre opera di Carlo Fontana (1638-1714). Questo edificio fu ereditato, nel 1873, dal padre gesuita Massimiliano Massimo (1849-1911), per testamento paterno (figlio del principe Camillo Massimo e della contessa Giacinta Della Porta Rodiani), che lo donò al proprio Ordine, sollecitato da monsignor Pietro Crostarosa archeologo e promotore del rinnovamento della scuola cattolica a Roma, per l’istituzione di una nuova scuola gestita dai Gesuiti che avevano perduto il Collegio Romano, divenuto il liceo di Stato Visconti. Con il Piano Regolatore di Roma del 1883, per la prosecuzione di via del Viminale verso Termini, il palazzo fu espropriato e demolito, ma ne fu costruito un altro sul filo della nuova strada, nella proprietà dei Massimo non espropriata, in stile tardo cinquecento, dall’architetto Camillo Pistrucci (1856-1927). I lavori si svolsero tra il 1883 e il 1886 per permettere di aprire il “Collegio Massimo” per l’anno scolastico 1887-1888. Il Collegio Massimo si trasferì all’EUR nel 1960 per accogliere un maggior numero di allievi e, dopo una ventina d’anni, rimasto abbandonato, il palazzo del Collegio Massimo venne acquisito nel patrimonio dello Stato, nel 1983, e destinato ad ospitare una parte dei reperti del Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano.
[9] ) Sotto Leone XIII, vi erano “ospitati” i sospetti di brigantaggio.
[10] ) Calancà dall’originale Calancar, tessuto di cotone proveniente dall’India.
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