Fu l’ultimo degli acquedotti costruito dagli imperatori romani, su una distanza di 22 km per una portata giornaliera di 22.000 mc., rimasto più o meno in funzione fino al XII secolo. Le sue sorgenti erano situate al XIV° miglio della via Prenestina, alle falde del colle Sassolello a circa tre chilometri dall’attuale paese di Colonna (Castelli Romani). Come il vecchio acquedotto, anche l’Acquedotto Felice riforniva le zone di Roma che fino a quel momento avevano subito un marcato spopolamento a causa della carente disponibilità d’acqua. In previsione della rimessa in funzione dell’Acquedotto Alessandrino, il cardinale Felice Peretti (1521-1590) aveva acquistato, tra Esquilino e Viminale, una vasta area dove aveva fatto costruire la sua villa, detta “Villa Montalto” (dal luogo di nascita del padre), tra piazza della stazione Termini e Santa Maria Maggiore. Nel 1585, durante il primo anno di regno di Sisto V, la Camera Apostolica acquistò (1585) il terreno necessario per la mostra d’acqua dalla famiglia Colonna, proprio accanto al portale della villa di Orazio e Matteo Panzani che occupava essenzialmente il complesso delle Terme di Diocleziano. Dopo una prima fase, nella quale i calcoli sbagliati di un tecnico preposto avevano causato perdita di tempo e di denaro, l’incarico fu dato ai fratelli Fontana. L’ingegnere idraulico Giovanni Fontana (1540-1614) fu incaricato dell’acquedotto, mentre il più famoso Domenico (1543-1607) disegnò per il progetto della mostra dell’acqua un arco di trionfo a tre fornici (nicchie). Sisto V faceva pressione perché l’opera fosse completata nel più breve tempo possibile e gli architetti operarono in grande fretta. Ad esempio, il parapetto della mostra d’acqua fu prelevato dal cortile del Belvedere Vaticano, dove era stato fatto eseguire da Pio IV (Giovanni Angelo Medici di Marignano – 1559-1565), senza obliterare la dedica a questo papa (vedi foto più in basso). In realtà il parapetto era comunque destinato alla demolizione per permettere la realizzazione della nuova Biblioteca Vaticana iniziata da Sisto V. L’inaugurazione della mostra avvenne nel 1587, priva dei due obelischi al vertice e con le nicchie vuote ma completa dei quattro leoni, dedicati al faraone della XXX dinastia Nectanebo I (+362 a.Ch.), due in porfido rosso e due in marmo chiaro, che furono prelevati dal Pantheon dove erano pervenuti dagli scavi di Eugenio IV (Gabriele Condulmer – 1431-1447) nell’Iseo Campense. Furono poi realizzate: la problematica statua del Mosè (1588), per la nicchia centrale (vedi foto sotto), dallo scultore Leonardo Sormani (presente tra1550-1590), con la collaborazione di Prospero Antichi (+1599), il bassorilievo (vedi foto sotto) di sinistra (1558-59) che raffigura Aronne che guida il popolo ebreo all'acqua scaturita dal deserto (Numeri, 20,8), opera dello scultore Giovanni Battista della Porta (1542-1597) ed il bassorilievo di destra (vedi foto sotto) che non si sa veramente cosa rappresenti, se l’imperatore Alessandro Severo che costruisce il primitivo acquedotto, date le armature romane , o Giosuè che conduce gli Ebrei attraverso il Giordano (Giosuè, 3,17) o, ancora, Gedeone che sceglie i soldati osservando il loro modo di bere (Giudici, 7,4-6), opera (1588-89) degli scultori Flaminio Vacca (1538-1605) e Pietro Paolo Olivieri (1551-1599). Nel XVIII secolo fu costruito un prospetto settecentesco tra la mostra e il portale della villa di Orazio e Matteo Panzani (il portale fu demolito nel 1907 per la costruzione del Grand Hotel e ricostituito nei musei domizianei). Nel 1850, i quattro leoni originali, vittime di atti di vandalismo, furono portati ai Musei Vaticani e sostituiti da quattro copie scolpite da Adamo Tadolini (1788-1868). Nel 2019, la mostra è stata restaurata grazie a contributi privati (Società Fendi).
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