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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza_Venezia-Palazzo_Venezia (2)

Divenuto papa nel 1464, Paolo II, restaurò la chiesa di San Marco, allungò il palazzo fino a via del Plebiscito, con dei saloni di rappresentanza (salone del mappamondo), per farne una sorta di Palazzo Apostolico ad uso dei papi; aggiunse il giardino pensile (VIRIDARIUM) attorniato da portici e collegato con il Palazzo all’altezza della torre d’angolo, a fianco della chiesa, e fece costruire l’ingresso e l’atrio al centro del Palazzo, così come lo vediamo oggi.
Nel 1468, concepì di ampliare il Palazzo, seguendo un quadrato formato da piazza Venezia, via del Plebiscito, via degli Astalli e via di San Marco, con un cortile porticato al centro. Probabilmente, il progetto dell’opera si deve a Leon Battista Alberti (1404-1472) che concepiva i progetti, ma non si occupava della loro esecuzione. Per l’esecuzione furono impiegati molti architetti tra cui è da segnalare Giuliano da Maiano (1432-1490).
Alla morte di Paolo II, nel 1471, il palazzo non era ancora terminato, ma i lavori continuarono a cura del cardinale Marco Barbo (1420-1491), fatto cardinale dallo zio nel 1470.
Alla sua morte, nel 1491, gli succedette il cardinale Lorenzo Cybo (1450-1503) che terminò i lavori.
Il palazzo fu residenza dei cardinali titolari di San Marco e residenza estiva dei papi fino alla costruzione del palazzo del Quirinale (circa il 1587).
Nel 1537, Paolo III (Alessandro Farnese – 1534-1549) collegò il Viridarium ad una torre, sulla sinistra dell’Ara Coeli, con un corridoio sopraelevato e chiuse le arcate del Viridarium.
Nel 1564, Paolo IV (Gian Pietro Carafa – 1555-1559) concesse parte del palazzo (la parte sul fronte di piazza Venezia) agli ambasciatori della Serenissima, mentre il resto rimaneva sede dei titolari di San Marco che furono sempre veneziani. Risale a questo periodo la costruzione del balcone, sopra l’ingresso principale, su piazza Venezia, dovuto all’ambasciatore Niccolò Duodo (1657-1742).
Dopo la caduta della Serenissima, nel 1797, il Palazzo divenne la sede degli ambasciatori dello Stato austriaco, tranne tra il 1806 e il 1814, quando l’Austria dovette cedere il palazzo allo zio di Napoleone I, il cardinale Josef Fech (1763-1839). Alla morte del cardinale, il palazzo tornò all’Austria che, nel 1882,  in seguito all’apertura degli Archivi Vaticani voluta da Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci - 1878-1903),  aprì, all’interno della sua ambasciata presso la Santa Sede, l’“Istituto Austriaco di ricerche storiche” (oggi in viale Bruno Buozzi).
Nel 1916, il palazzo venne confiscato dallo Stato italiano.
Dal 1924 al 1943, fu sede del Gran Consiglio e del capo del governo (Mussolini).
In questo periodo fu rifatto lo scalone principale (alla destra dell’ingresso da via del Plebiscito) da Luigi Marangoni (1872-1950), al posto della cordonata di Paolo II, della scalinata veneziana del XVII secolo e di quella austriaca del 1911.
La geometria del Palazzo non è mutata fino al giorno d’oggi, solo il Viridarium fu demolito e ricostruito, alla sinistra della chiesa di San Marco, nel 1909-1911.

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