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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via di Santa Sabina (R.XII – Ripa) (da Piazza dei Cavalieri di Malta al Clivo dei Publicii)

La chiesa più antica dell’Aventino  (titulus) dopo Santa Prisca, fu edificata sul margine di un’antica via che portava (vicolo S. Sabina, già vicus Armilustri [1]) sulla riva del fiume [2] e alla porta Trigemina [3].

Il fronte principale della chiesa rimase nascosto e addossato all’antico chiostro annesso ed è dal fianco laterale della basilica, col suo ingresso sulla Piazza omonima, che il pubblico vi entra abitualmente.

Intorno all’anno 425, durante il pontificato di Celestino I (422-432), la chiesa fu iniziata dal prete titolare, di nome Pietro e di Nazione Schiavona, come risulta da un epigramma, scritto in mosaico, posto in fondo alla chiesa : “Culmen Apostolicum cum Coelestinus haberet - Primus et in lato fulgeret episcopus orbe, - Haec quae miraris fundavit presbiter Urbis - Illirica de gente Petrus, vir nomine tanto - Dignus, ab exortu Christi nutritus in aula, - Pauperibus locuples, sibi pauper, qui bona vitae - Praesentis fugiens meruit sperare futuram”.
La chiesa fu compiuta nel 432, sotto Sisto III (432-440)

Ai margini sono rappresentate due nobili matrone vestite di stola, reggenti un libro aperto, che personificano l’“Ecclesia ex Circumcisione” e l’“Ecclesia ex Gentibus” come è detto nelle due epitaffi all’estremità.

Le immagini di S. Pietro, cui la mano divina porgeva il libro della legge, e quella di S. Paolo in atto di predicare, che sovrastavano, sono scomparse con i simboli degli evangelisti che stavano nel sommo della parete, sotto il tetto.

Il tempio che ha nel sottosuolo un edificio termale del II e III sec. [forse il “Balneum Surae[4] trasformato radicalmente dall’imperatore Gordiano III (238-244) nel 238], sovrapposto a costruzioni d’età repubblicana, conserva pure una “domus”, con pavimenti a mosaico monocromo, che può esser quella dove fu accolto il “titulus Sabinae”, tanto più che fra queste costruzioni sotterranee esiste un aula sistemata in modo da far pensare a un centro di riunioni liturgiche.

Le 24 colonne di marmo ancirano (ancira, oggi Ankara - Turchia) adoperate nella costruzione [5], dovevano appartenere a quel tempio di Giunone Regina dedicatole da  Marco  Furio  Camillo  (c.446 a.C.-365 a.C.)  dopo  l’assedio  di  Vejo  (406-396 a.C.) [6].
Sisto III (432-440) “fecit etiam in ecclesia S. Sabinae fontem ad baptisterium” privilegio, del quale in quel tempo, godevano solamente le basiliche Lateranense e Vaticana.

Papa Silverio (536-537), deposto da Belisario, fu su di un asino mandato in basilica beatae martyris Sabinae in vesti di monaco e tonsurato.
S. Gregorio Magno (590-604), “ultimus romanorum",  fece della chiesa, nella peste del 590, un ricovero per fedeli e vi costituì la celebre litania detta settifone (litania propria a sette processioni per classe presbiteriale).

A Santa Sabina fu stabilita, da Gregorio, la prima delle stazioni quaresimali [7].

L’inizio della Quaresima a Roma iniziava col l’andata del Papa, nel mercoledì delle ceneri, a S. Anastasia. Di qui, dopo la distribuzione delle ceneri, il pontefice, a piedi scalzi saliva a S. Sabina, dove celebrava la messa stazionale. Terminata la messa, un accolito prendeva uno stoppino detto "papiro", e lo intingeva nell’olio di una lampada, e, dopo averlo ben pulito, lo porgeva al Papa dicendo: “Oggi è stata stazione a S. Sabina che ti saluta”.
Il Papa rispondeva: “Deo gratias” e consegnava lo stoppino ad un cubiculario, il quale lo riponeva e custodiva fino alla morte del Pontefice. Allora questo stoppino insieme a quelli di ogni anno in cui il Papa era intervenuto, si raccoglievano dentro un cuscinetto, che veniva posto sotto la testa del defunto.

Gli ultimi Papi, che si recarono il giorno delle ceneri a S. Sabina, furono Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758) e Clemente XIII (Carlo Rezzonico - 1758-1769).
Da Clemente XIV (Gian Vincenzo Antonio Ganganelli - 1769-1774) la funzione fu celebrata nella cappella palatina della residenza papale.

La chiesa fu restaurata da Leone III (795-816), da Eugenio II (824-827), Gregorio IX (Ugolino dei Conte di Segni - 1227-1241) e da Eugenio IV (Gabriele Condulmer - 1431-1447) lasciando intatta la porta del V secolo che è ora l’unico monumento di tal genere in Roma che appartenga all’arte cristiana primitiva.

La porta, coi suoi due battenti coperti di rilievi storici e cornici in cedro di splendido intaglio, risale ai primordi della basilica. Una delle scene rappresentatevi è quella di Cristo sulla croce e dei due ladroni, che può avere il vanto di essere la più antica di tutte le rappresentazioni reali della morte di Cristo.

Al confine del claustrum, che nel sec. XIX fu trasformato in Lazzaretto, Onorio III (Cencio Savelli - 1216-1227) riedificò, nel 1216,  l’edificio esistente e ne fece la sua residenza, fortificandola con alte torri e grandiose mura merlate [8], fortezza che fu pure abitata da Onorio IV (Giacomo Savelli - 1285-1287), e alla sua morte destinata al laborioso conclave (10 mesi) che elesse Nicolò IV (Girolamo Masci - 1288-1292).
Anche pel suo successore, colui che “fece per viltade il gran rifiuto”, il conclave, dopo S. Maria Maggiore, si radunò qui nel fortilizio dei Savelli, prima di eleggere a Perugia, dopo 27 mesi di sede vacante, Celestino V (Pietro Angeleri - 1294-1294) che restò papa solamente 5 mesi ed 8 giorni.

Onorio III (Cencio Savelli - 1216-1227), con bolla datata da S. Sabina 22 dicembre 1216, approvò le regole dell’ordine che S. Domenico gli sottopose.
S. Domenico di Guzman (1170-1221) fondatore dell’ordine dei Predicatori, detti poi Domenicani [9], giunto a Roma, aveva preso alloggio con i suoi frati, presso il titolo di Tigride (poi S. Sisto Vecchio [10]) ove rimase, incaricato dal Pontefice di richiamare alla disciplina monastica i monasteri femminili di Roma, specialmente quelli di S. Maria in Trastevere e l’altro delle monache corse [11], presso S. Sisto. Finché il pontefice, dopo il 1222, gli concesse una parte del palazzo, perché meglio potesse ottenere al suo mandato ed a quello speciale di Maestro del Sacro Palazzo[12], nomina che egli gli aveva conferito e che attraverso i secoli, fino ad oggi, è rimasta all’Ordine Domenicano.

Il castello, smantellato e semidistrutto dal nemico dei Savelli, Enrico VII di Lussemburgo (1312-1313), si ridusse al punto che Paolo III (Alessandro Farnese - 1534-1549) nel 1548 lo affittò a monsignor Mario Ruffini per 36 scudi annui. Oggi serve di cinta al giardino pubblico che ha sostituito il traslocato lazzaretto.

V’era ancora, a Santa Sabina, la camera della Santa che fu trasformata poi da S. Clemente IX, su disegni del Borromini, in cappella e nel giardino, anche adesso fiorente, un arancio che si dice piantato da S. Domenico. L’arancio è di specie amara, giacché quella dolce fece la sua apparizione in Europa solo nel secolo XV.
Una volta, i frutti erano per il Papa e i Cardinali, quando il mercoledì santo salivano a Santa Sabina per la Stazione quaresimale.

Altra memoria di San Domenico, esistente nella chiesa, è un sasso che si dice scagliato dal demonio contro Domenico orante. Sul sasso, nel XVII sec., l’Ugolino vi lesse l’epigrafe: “Credidit orantem iacto contundere saxo – Sanctum hic Dominicum hostis versutus ad illum – Illaesum Dominus servat; miabile factum! – Marmoris illeisi confractio mostrat in aevum – Hisque fidem praebet suspensus et iste molaris”.

Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) affidò a Domenico Fontana (1543-1607) il restauro della Chiesa. Questi, seguendo la tendenza severa della controriforma, chiuse tutte le finestre della facciata e dell’abside e quasi tutte le laterali, sei sole delle quali (3 per parte) trasformò in banali finestroni a vetri. Nell’esedra absidale tolse l’“opus sectile marmoreum” (pavimento di marmo e anche vetro, incastrati) così come aveva tolto alle finestre le transenne dell’VIII-IX secolo e la schola cantorum [13].
Gli ultimi danni furono arrecati alla Chiesa, ai primi del XIX sec.

In un “Promemoria per S.E.R. il signor Cardinale segretario di Stato" si legge: “Arriva a notizia del Commissario delle antichità che il padre Vicario Generale dei Domenicani abbia venduto allo scalpellino Blasi, dimorante incontro alla Consolazione, le tavole grandi e grosse di profilo che formano l’altar maggiore in S. Sabina e di più una gran tavola simile con iscrizione, spettante ad una famiglia particolare, posta in terra nel mezzo della chiesa avanti al detto altare, e che a momenti stiano per portarle via, seppure già non hanno cominciato ecc.”.
Nel 1919 e nel 1938 il Governo Italiano affidò ad Antonio Muñoz [14] il ripristino della chiesa che è stata da questi riportata all’antica forma.

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[1] )            Era il « Vicus Armilustri » dei romani. Portava ad un monumento di remota antichità che prendeva il nome da una cerimonia che si celebrava annualmente il 19 ottobre. La cerimonia sacra e militare, cui partecipavano i Sabini portando in processione gli ancili (i dodici scudi sacri dei Romani), serviva alla lustrazione delle armi alla fine della campagna estiva, prima della sosta invernale. Il monumento ebbe l'ultimo restauro all'età dei Flavi (69-96). Il “vicus Armilustri” passava attraverso la porta Lavernale, prossima al tempio della dea Laverna (attuale via Porta Lavernale) e che solcava tutto il colle seguendo il percorso della moderna via di Santa Sabina e scendeva poi sul versante opposto. Qui si riuniva col clivus Pubblicius che, traversando il colle, si dirigeva al piccolo Aventino.

[2] )            È da queste parti che doveva trovarsi il « Fons Pici » (mitico re del Lazio, figlio di Saturno e padre di Fauno)

[3] )            Porta Trigemina delle mura serviane, che si trovava presso l’arco della “Salara vecchia” (Salaria) che servì di accesso ai magazzini del sale, all’inizio del vicolo di Santa Sabina, prese il nome dai tre Orazi. La porta sbarrava il Foro Boario ed aveva nei pressi i templi di Cerere, Libero e Libera e l’“Aedes Herculis Victoris”. Il territorio romano consumava 5469 Rubbia di sale (un rubio eguale a kilogrammi 394,46). Il 10 febbraio 1662 fu abolita la gabella del sale che fu sostituita con quella sul macinato (archivio di Stato volume 25).

[4] )            Terme Suranee – Furono costruite sotto Traiano (98-117) o dall’imperatore stesso o dal suo amico Licinio Sura, dal quale presero il nome. Tanto Sura quanto Traiano possedevano sull’Aventino dei terreni che misero a disposizione per il nuovo edificio termale, conservando forse le “domus” per le proprie famiglie. Nel 1919, nei restauri della chiesa, è stato trovato un grande architrave di porta con la scritta: “Marcus Antonius (Gordiano) Pio (III sec. 238-244) balneum Surae ornamentum curavit”. Come le Pompeiane, le terme avevano da una parte la palestra e dall’altra le stanze da bagno divise in due gruppi da un cortile che poteva anche essere una piscina. Fra la palestra e la strada vi erano le botteghe e, davanti ad esse, un portico. La disposizione degli edifici e delle strade nella “forma Severiana” corrisponde a quella ttuale fra la via di S. Prisca e quella di S. Sabina, per cui il “balneum” doveva trovarsi a levante del “Clivius Publicius”, cioè dalla parte opposta di quelle di Decio.  La casa di Sura era infatti prossima al tempio di Diana, e, secondo Marziale, Sura  vedeva dalla  sua casa gli spettacoli del Circo.  Negli scavi sono stati trovati, ad un livello più basso , avanzi di un edificio preesistente di epoca repubblicana e, sovrapposte all’edificio termale tracce del quadriportico già esistente dinanzi alla chiesa di S. Sabina. Gli avanzi di muri in opus latericium delle terme e delle vasche, alcune rivestite di preziosi marmi, farebbero però datare l’edificio al II o III sec. d.C.

[5] )            Restano sulle colonne le tracce del “nartece” e delle cortine come pure dei lampadari e dei doni votivi. Gli accenni del “nartece” consistono in buchi profondi (in parte otturati) che si trovano in due colonne, nella 3a colonna a S. Sabina, nella 2a a S. Maria Maggiore. In quei buchi profondi era incastrato il cancello che divideva i catecumeni ed i penitenti dalla comunità cristiana.
Gli altri incavi, nelle colonne della navata principale, più bassi dei precedenti e quelli sotto la metà degli architravi delle navate laterali, erano per appendervi lumi, doni votivi o cortinaggi (addobbi) festivi o per separare i fedeli (vela alexandrina), come quelli in vicinanza dell’altare che servivano per l’impostazione del cancello del presbiterio o degli spazi laterali.
Gli spazi da adornarsi con cortine sono, come si può ancora vedere, a S. Maria Maggiore in numero di 42 e dice il “Liber pontificalis” che Adriano I (772-795) donò 42 veli lavorati di “pallia quadropola”.
Vengono poi come dono di Pasquale I (817-824) 14 “vela de fundato”, 14 “de quadrapulo” e 14 “de imizilo” (velluto), in tutto cioè 42, e così pure Leone III (795-816) con veli bianchi di tutta seta nello stesso numero, tra cui 11 “vela rosata”.
Ad altre chiese, elenca il Liber Pontificalis, i doni dei papi in “vela de stauracin sen quadrapolis” (stauracina: stoffa di seta con disegnate delle croci) e “vela fundata” e “vela de fundato”.

[6] )            Oltre al tempio di Giunone Sospita sul Palatino, prossimo a quello della “Magna Mater”, ve ne fu un altro sotto il nome di “Regina” sull’Aventino, vicino a quello di Diana Efesina. Le fu dedicato, dopo l’assedio di Vejo (406-396), durante il quale la Dea era stata invocata nella sua sede a Vejo. Furio Camillo, prima di dare alla città un ultimo assalto l’aveva invocata: “Te pur prego, o Giunone Regina, che ora soggiorni a Vejo, di volerci seguire vincitori nella nostra e fra poco tua città, dove  un  tempio  ti  accolga  degno  della  tua  grandezza”.  Ed  i  cunicoli per conquistare la città furono fatti  scavare  da Camillo, proprio sotto il tempio della Dea. Passati per questi cunicoli, mentre l’Aruspice vejetano sacrificava, i Romani presero le viscere della vittima e le portarono al Dittatore romano come promessa di sicura vittoria. (Livio V, 21).
La Dea espressamente acconsentì a cambiare città, derogando il rito pel quale solamente il sacerdote di una certa famiglia poteva toccarla, ed il nuovo tempio fu designato dallo stesso Camillo e dedicato poi nel 394 a.C. da lui medesimo. Ma, al pari del vicino tempio di Diana, era fuori delle mura urbane, per essere Nume straniero e tutelare di una città vinta (Livio V, 22). La località fu detta nel medio evo "Lo Monte dello Serpente", da qualche immagine che ritraeva l’animale sacro alla Dea. Nella Aedes Iunonis in Aventino il culto era prevalentemente femminile.
Altro tempio dedicato a Giunone Moneta (Vi si custodivano i « libri lintei » o "magistratuum” fatti di pannolino, incrostati di cera o gesso, contenevano la lista annuale dei magistrati), fu quello promesso da Lucio Furio Camillo, figlio del conquistatore di Vejo, nell’anno 410-344, durante la guerra contro gli Aurunci. Questo tempio fu poi consacrato l’anno dopo sul Monte Capitolino, ove esistevano le case di Manlio (Fallito il colpo di Stato fu condannato dai Comizi e precipitato dalla Rupe Tarpea nel 384 a.Ch.. In queste sue case, quando nel 387 aveva respinto i Galli invasori, ricevette non solo dei tributi, ma per ogni soldato ½ libra di farina ed ¼ di vino - Livio V, 47).
La consacrazione di questo tempio avvenne alle Calende di giugno, durante le quali, a detta di Tito Livio (58‑17 a.C.), avvenne una miracolosa pioggia di sassi “e parve che la notte oscurasse il giorno”; sicché, essendo la città piena di spavento, venne creato un dittatore per intimare le ferie latine. Né questo fu il primo tempio consacrato a Giunone Moneta giacché dice Cicerone (de Divinatione I, 45) che prima dell’invasione dei Galli (301 a.C.), contemporaneamente alla misteriosa voce che lo presagiva, “tremò fortemente la terra e dal sacrario di Giunone, nella rocca, uscì una voce che imponeva di offrire in espiazione una porchetta gravida”. Si può perciò pensare che quello di Lucio Furio Camillo, figlio di Marco, non fosse altro che una ricostruzione dell’antichissima ara ove la tradizione poneva la regia dei Sabini (di stirpe mediterranea preariana), anche perché le case di Manlio, sulla rocca, “dove, dice Livio, è ora la zecca della Dea Moneta”, furono abbattute dopo la condanna di Manlio Capitolino alla Rupe Tarpea, nel 384 a.C.
Sul Cispio, dai tempi più remoti, era sacro a Giunone Lucina un buco dal quale credevasi uscita la voce che prescrisse alle donne sterili di offrire la palma della mano ai colpi dei luperci per divenire feconde. Ivi, più tardi, fu dalle matrone dedicato un tempio dove cominciò a celebrarsi il sacrificio del primo marzo.

[7] )            Il giorno delle Ceneri, che inizia (caput iciunii) la quaresima, ha gli accenni più antichi negli "Ordines Romani", che dicono: "Pontifex dat cinerem". Infatti mentre prima anche al Papa venivano impartite le ceneri col "Memento homo…", più tardi si esclude da questa formula di ammonimento il Pontefice perché, ricordando questo rito le antiche pubbliche penitenze ed essendo esse una specie di giudizio ecclesiastico, non poteva soggiacervi il Papa. Pare che la formula sia stata tralasciata sotto Urbano V (Guillaume De Grimoard - 1362-1370) e anche oggi l’imposizione delle ceneri al Pontefice, è fatta senza la formula, con un segno di croce.
La Quaresima, fino al 1870, era severissima. Chiusi i teatri ed ogni spettacolo di liriche e di commedia. Le famiglie dell’aristocrazia continuavano i ricevimenti nei giorni stabiliti, ma il thè era servito semplicemente con limone, senza latte e senza paste. Le prescrizioni sull’astinenza, emanate in occasione della Quaresima, dovevano essere severamente seguite: era proibito ai macellai, ed alle trattorie (pena la pubblica fustigazione) di fornire cibo di grasso ai clienti, senza la presentazione di un certificato medico. E per evitare confronti e scandalo, ogni trattoria aveva un luogo appartato ove erano i tavoli per gli ammalati. Durante i cosiddetti Catechismi, quando, cioè, avevano luogo nelle parrocchie le istruzioni religiose, dalle 10 alle 12, i caffè e le tabaccherie e i luoghi di pubblico ritrovo dovevano restar chiusi.
Del resto, per la cucina di magro, c’erano sapienti ripieghi e saporose ricette e trattati speciali sul vitto quaresimale a Roma (celebre quella di Paolo Tacchia - 1600).
Proprio e solo di Roma è il rito delle Stazioni che si riallaccia alle pie pratiche della Chiesa primitiva. Come si comprende bene che, nei primissimi tempi del Cristianesimo, fosse possibile in Roma ai fedeli di riunirsi in un unico luogo col pontefice, così ancora si comprende come ciò non potesse durare a lungo, data l’esuberante vitalità e il rapido diffondersi della nuova Religione. Quando perciò, cresciuti in gran numero i fedeli, furono istituiti i titoli urbani, perché vi andassero tutti coloro che non potevano più prendere parte all’azione liturgica presieduta dal Papa, fu naturale che venissero fissati e stabiliti i luoghi dove il Papa avrebbe celebrato nelle domeniche e in altri determinati giorni dell’anno, corrispondenti agli anniversari dei martiri. Il luogo, dove celebrava il Papa in uno dei Titoli o delle Chiese di Roma, era detto "Stazione".
Gregorio Magno (590-604) regolò le cerimonie che vi si dovevano compiere e stabilì i giorni fra i quali fissò tutti quelli della Quaresima per una Stazione. Tuttavia il ciclo stazionale della Quaresima poté dirsi completo, più tardi, dopo l’VIII secolo. Il sabato delle Tempora era dedicato alla consacrazione dei sacerdoti, e questa avveniva presso la tomba del Principe degli Apostoli.
Il papa Niccolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-1455) dié di nuovo impulso alla celebrazione delle stazioni, che s’era andata illanguidendo e Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) riprese l’antica consuetudine di recarsi a Santa Sabina il giorno delle ceneri, confermando la Stazione e la processione, con una Bolla. Al tempo di Gregorio Magno le chiese stazionarie erano circa 43, mentre il numero dei giorni di stazione era almeno 101 nel corso dell’anno, come si rileva dalle indicazioni del "Messale Romano".
L’umanista Pompeo Ugonio nel 1588, dedicandola alla sorella di Sisto V, donna Camilla Peretti, scrisse la "Historia delle stazioni di Roma che si celebrano la quadragesima, dove oltre le Vite dei Santi si tratta delle origini, fondationi, siti, restaurationi, ornamenti, reliquie et memorie di esse chiese antiche et moderne".

[8] )            Nel 997 vi aveva abitato anche l’imperatore Ottone III (996-1002). Un lato del castello costeggia il vico di S. Sabina.

[9] )            « Domini Canes»

[10] )          Per San Sisto Vecchio, vedi "via della Ferratella" (Monti)

[11] )          Il monastero presso il quale stavano le monache corse era quello di S. Caesarius, presso l’incrocio tra la via Appia antica e la via Latina. La chiesa è citata, per la prima volta nel’806 nell’elenco delle donazioni fatte da Leone III (795-816). Le suore corse vi abitarono fino al 1217 quando furono riunite con altre suore in San Sisto Vecchio. La chiesa di S. Caesarius aveva assunto, per la presenza delle suore corse, il nome di San Caesarius de Corsas o de Corsarorum.

 Caterina de Corsas o Corsarum – Diaconia sull’Appia. Sul suo altare celebrarono i Pontefici dalla fine del ‘200 al tardo ‘500 e davanti ad esso pregarono: Dante, Petrarca e Cola di Rienzo.

[12] )          La corte e la famiglia pontificia - Per "Nobile Anticamera Segreta Ecclesiastica e Laica" si intendono nella Corte e nella Famiglia del Sommo Pontefice i primari ed intimi ministri familiari del Papa che esplicano il loro ufficio -ed anticamente vi avevano anche la loro sede- nell'anticamera segreta o nelle altre diverse distinte anticamere del Palazzo Apostolico, siano essi ecclesiastici o secolari. Questo collegio di dignitari, chiamati alla fine del Medio Evo col nome generico di "Camera  Segreta Pontificia", furono poi distinti dall'attuale appellativo di "Anticamera".
Presentemente comprende: Il Maggiordomo (Praefectus Palatii Apostolici) è prelato della Santa Sede, il primo dei palatini, il quarto di fiocchetto. Gode ampia autorità, inquarta al proprio stemma quello del Pontefice che serve, o che per ultimo ha servito, anche dopo aver lasciato la carica.
Sovraintende all'intera corte pontificia e presiede alle Cappelle papali.
La Guardia Nobile, la Guardia Svizzera e gli altri Corpi armati pontifici dipendono da lui. Abita nel Palazzo Pontificio. Veste sempre in abito prelatizio, con rocchetto e cappa; partecipa dei privilegi e delle prerogative dei più distinti familiari; accompagna sempre il Pontefice.
Sempre nella parte ecclesiastica, segue il secondo dei prelati palatini: S. E. Monsignor Maestro di Camera di Sua Santità (Praefectus Cubiculi Secreti Pontificus), segue costantemente il Pontefice nelle sacre funzioni, nelle udienze, nelle altre manifestazioni di Corte, nelle cerimonie in genere. Egli poi dirige e dispone la distribuzione delle udienze del Santo Padre.
Poi S. E. l'Uditore di Sua Santità (Auditor SS. Domini Nostri Papae), che è il Consigliere del Papa negli affari più importanti. Attualmente è anche segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
il Maestro del Sacro Palazzo Apostolico (Magister S. P. A.). Primo titolare ne fu San Domenico (Onorio III - 1216-1227) ed ai Domenicani è sempre appartenuto questo alto dignitario. Il padre Maestro ha il titolo di Reverendissimo ed è il consigliere teologo del Papa. Egli ha speciale giurisdizione sulla stampa dei libri ed altre pubblicazioni di carattere sacro in Roma; è Consultore delle più importanti Congregazione Romane (Congregazione del Santo Uffizio; Sacra Congregazione dei  Riti;  Pontificia  Commissione  per  gli  studi biblici)  e  fa parte  di speciali  commissioni esaminatrici. Quando la curia pontificia ebbe il suo "Studium Palatii", il maestro era reggente della Facoltà Teologica. Designa i predicatori delle cappelle Papali.
I Camerieri Segreti Partecipanti e cioè: S. E. l'Elemosiniere Segreto (Eleemosynarius Secretus) attende alla beneficenza privata del Santo Padre. È il primo dei Camerieri Segreti partecipanti, a titolo arcivescovile, e partecipa alle funzioni e ai ricevimenti del Santo Padre come Assistente al Soglio, insieme con uno dei principi Orsini o Colonna.
Il Segretario dei Brevi ai Principi (pro litteris in forma brevi ad Principes Secretarius) incaricato di redigere i documenti latini più importanti, lettere per i sovrani, principi, vescovi in nome del Papa (Le lettere sono scritte su pergamena e sigillate con l'anello del pescatore), compila le allocuzioni concistoriali, le Encicliche e le Lettere Apostoliche.
S. E. Il Segretario della Cifra (Notariarum arcanarum S. P. Secretarius vulgo Cifrarum Secretarius), ricopre questa carica il prelato sostituto della Segreteria di Stato, custodisce il segreto del Cifrario e redige, tra le altre sue molte e delicate attribuzioni, i dispacci cifrati.
Il Reggente della Dataria (Datarius), corrisponde all'antico Sottodatario; coadiuva il cardinale e in sua assenza lo supplisce anche presso il Pontefice. Sottoscrive brevi e sentenze; ha voto consultivo.
Il Segretario delle Lettere Latine (Litterarum latino rum Scriba seu Secretarius) è prelato Palatino, prelato domestico di Sua Santità, Cameriere Segreto, risiede nel Palazzo Apostolico, scrive in nome del Papa ai vescovi, ai principi a personaggi illustri sigillando col sigillo gentilizio del Pontefice.
Il Coppiere (Pincerna) assiste il Papa nei pranzi solenni e gli somministra da bere.
Il Segretario di Ambasciate (Nuntius) gli spetta, quando vi sono sovrani o famiglie sovrane, di portar loro i doni papali. Avvertiva i sovrani delle udienze loro concesse dal Papa e ne portava le ambasciate.
Il Guardaroba (Vestiarius) aveva prima la custodia delle vesti papali, adesso porta formalmente il cappello ai nuovi cardinali e custodisce a mezzo del sottoguardaroba della classe dei bussolanti, gli "Agnus Dei".
Gli altri Camerieri Segreti Partecipanti, S. E. il Sacrista (Praefectus Sacrarii Apostolici) è Vescovo Assistente al Soglio, prelato domestico al Palatino, appartiene all'ordine eremitano di Sant'Agostino. Custodisce le sacre suppellettili, gli ornamenti preziosi del Papa e la Rosa d'oro. Essendo religioso, veste l'abito prelatizio nero; è parroco palatino; fa parte, nei viaggi e nelle villeggiature della Corte particolare del Papa, gli porge nelle funzioni l'aspersorio. Custodisce la chiave del tabernacolo. Nei pontificali assaggia l'acqua il vino nelle ostie non consacrate. Il sabato santo benedice l'acqua e a Pasqua l'appartamento pontificio, entra in conclave, somministra al Papa l'estrema unzione. La carica di sacrista fino al XV secolo era spesso unita da altre del Santo Palazzo Apostolico; dal 1352 il sacrista fu scelto dall'Ordine degli Eremiti di Sant'Agostino e nel secolo XVI Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) affidò tale carica esclusivamente a detto Ordine. Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini - 1592-1605) elevò il Sacrista alla dignità di vescovo; Leone XII (Vincenzo Gioacchino Della Genga - 1823-1829) stabilì che fosse parroco dei Santi Palazzi Apostolici e infine Pio XI (Achille Ratti - 1922-1929) decretò nel 1929 che il Sacrista fosse anche Vicario del Papa per la Città del Vaticano.
Nella parte laica l'anticamera comprende: il Grand Maestro del Santo Ospizio (Magister S. Hospitii – La carica è ereditaria ed é dei Ruspoli per essere stati uno dei quattro eredi. Gli altri tre furono i Theodoli, gli Sforza e i Santacroce - dei conti di Segni e Valmontone che ne furono insigniti da Martino V (Oddone Colonna - 1417-1431), il 25 febbraio 1428. Anticamente provvedeva l'alloggio in Vaticano, quando i Papi, che risiedevano al Laterano, vi si recavano per qualche ragione, attualmente riceve i Sovrani in visita al Pontefice, alla pensilina della scala Papale: nelle sacre funzioni ha il posto dovutogli di primo tra i Camerieri di Spada e Cappa.
I Camerieri Segreti di Spada e Cappa Partecipanti e cioè: il Foriere Maggiore dei S.S.P.P.A.A. (Forerius Maior – ereditario dei Sacchetti) oggi ha l'alta sovrintendenza della vita amministrativa palatina ai giardini, alle suppellettili e immobili del Palazzo Apostolico. Nelle solenni cerimonie pontificie e regola la portata della Sedia Gestatoria.
Il Cavallerizzo di Sua Santità (Praefectus Stabuli – ereditario dei Crescenzi-Serlupi) era sovrintendente alle scuderie pontificie nei cortei papali, gli spettava aprire e chiudere lo sportello della vettura del Papa.
Il Sopraintendente Generale alle Poste (Praefectus Tabellariorum – ereditario dei Massimo) precedeva, nei viaggi, il Pontefice per predisporre le varie soste del corteo papale, predisporre le accoglienze al Sommo Pontefice.
L'Esente delle Guardie Nobili di Servizio è il Capo di servizio presso il Pontefice ed ha, oltre alle Guardie, il comando di tutti i militari di guardia. È responsabile della custodia della Sacra Persona del Papa, tiene il bastone di Comando ed ha le armi del suo Corpo.
Il Colonnello della Guardia Svizzera.
Nell'ordine seguono i Prelati domestici di Sua Santità (sono detti prelati in senso proprio "prae-lati" i membri del clero secolare e regolare che hanno giurisdizione nel foro esterno, in senso largo quelli insigniti "honoris causa", tali i prelati domestici) comprendono: Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi assistenti al Soglio, i Promotori Apostolici, i Promotori Apostolici soprannumero, quelli fra i Protonotari Apostolici "ad instar", nominati con Breve, Prelati domestici quindi i prelati appartenenti ai Collegi della Prelatura, e gli Arcivescovi e Vescovi che ottennero la nomina a Prelato domestico prima della promozione.
Sono Prelati domestici "ad instar durante munere" i Canonici della Primiziale di Pisa e l'Arciprete del Capitolo dei SS. Celso e Giuliano in Roma.
Collegio  dei  Patriarchi,  Arcivescovi  e  Vescovi  assistenti  al  Soglio;  sono  anch'essi  prelati domestici. Godono di diversi privilegi e ne avevano di più prima dell'abolizione fattane da Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti - 1800-1823) nel 1814.
Promotori Apostolici originano dai sette Notari regionari di Roma. Da essi ebbe origine la Cancelleria Apostolica. Sono distinti in Pronotari Apostolici Partecipanti (di numero e soprannumero) e quelli "ad instar" e titolari.
Vessillifero di Santa Romana Chiesa - da Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni - 1198-1216), sul drappo rosso, furono sostituite alle figure, prima di S. Pietro poi di S. Pietro e Paolo, le simboliche chiavi che adesso, sormontate dalla tiara, sono ricamate sul vessillo bianco e giallo (dal 1824). Il vessillifero è sempre Cameriere Segreto (Marchesi Patrizi - ereditaria).
Camerieri Segreti - componenti il Collegio dei Maestri delle Cerimonie, hanno il "Praefectus coerimoniarum pontificiarum". Tutti i cerimonieri sono camerieri perpetui e sono i soli che restano, dopo la morte del Papa, fino alle nomine che farà l'eletto. Sono protonotari apostolici non partecipanti ed il loro prefetto roga l'atto d'elezione e accettazione del nuovo Papa.
Camerieri Segreti Soprannumero di Sua Santità (Cubiculari intimi seu secreti), prestano servizio nella prima anticamera segreta col Maestro di Camera, ammontano ad un migliaio ed appartengono a tutte le nazioni.
Cameriere d'onore, “beneficiati capit. romani”, cappellano della guardia Svizzera ecc. nelle cerimonie portano, con i camerieri segreti soprannumero, le torce, le aste del baldacchino i flabelli.
Camerieri d'onore extra Urbe (Cubicularii honoris extra Urbe) come gli altri cessano dalla carica alla morte del pontefice.
Camerieri d'onore di Spada e Cappa (Cubicularii honoris ab ense et lacerna ) Signori, e cavalieri laici. Risiedono nell'anticamera d'onore, precedono nella cavalcata e nelle processioni i Camerieri Segreti Partecipanti. Godono degli stessi onori dei camerieri laici  soprannumero, cessano alla morte del pontefice che li ha nominati.
Cappellani segreti del Papa (Cubicularii ecclesiastici) celebrano giornalmente la messa nella Cappella segreta, in mancanza, fanno le veci dei Camerieri segreti.
Il primo dei cappellani è il Caudatario. Vi sono anche i Cappellani Segreti d'onore e quelli extra Urbe. Cessano tutti alla morte del pontefice.
Collegio dei Cappellani comuni (Cappellani communes). Assistono alle private cerimonie, partecipano alle processioni.
Predicatore Apostolico è un religioso, dell'ordine dei Cappuccini, che predica durante l’Avvento nell'Aula Pontificia. Confessore della famiglia pontificia è dell'ordine dei Serviti.
Archiatra pontificio assiste il Papa e presenzia all’imbalsamazione del cadavere.
Aiutante di camera è il cameriere personale del Papa. Alla sua morte ne scopre il volto quando il Camerlengo va a riconoscere il cadavere.
Scalco o Dapifero (detto anche praegustator) può essere conferito ad un laico o ad un ecclesiastico, attualmente vacante da vario tempo.
Decano (dei Palafrenieri). Sta con i bussolanti nelle prime sale dell'anticamera segreta. Porta le ambasciate del Maestro di Palazzo. Indossa la cappa rossa.
Bussolanti, prestano servizio all'ingresso dell'anticamera pontificia, presso la bussola.
Si dividono: 1°- Bussolanti; 2°- Bussolanti camerieri extra muros; 3° Bussolanti scudieri e in numero e soprannumero. Appartengono alla famiglia nobile. Nei giorni d'udienza, due stanno nella camera precedente quella della Guardia Nobile e accompagnano fino all'anticamera dei Camerieri d'onore, gli ammessi alle udienze. Con un Cameriere Segreto di Spada e Cappa, accompagna ai loro posti gli invitati alle cerimonie. Hanno parecchie altre incombenze, vestono sottana paonazza e cappa rossa.

[13] )          Tanto in questa chiesa come a S. Maria Maggiore la “schola cantorum” fu soppressa da Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590).

[14] )          Storico e critico d’arte.

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Lapidi, Edicole e Chiese lungo la via:

- Chiesa di Santa Sabina
- Chiesa di Santa Sabina - Lapidi
- Via di Santa Sabina

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