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Via di Monserrato (R. VII – Regola) (da piazza Farnese a via dei Banchi Vecchi)
Già detta “de Curte Sabella” per il Maresciallato con tribunale e carceri dei Savelli. Le carceri sembra fossero prima vicine a S. Nicola (degli Incoronati) di Piazza Padella giacché in un antico manoscritto è detto che: “tutte le carceri erano sotto la diaconia di S. Nicolò et ai Capo di Ferro, ai quali successero li Savelli [1], e queste carceri se ne servono per stalla, et fecero in cambio delle stalle, Corte Savella”.
Ciò che è confermato in un altro manoscritto del 1566 “Presso la porta della chiesa si faccia giustitia dei condannati a morte colle forche sopra un pozzo, onde lì sotto v’è ancora la preta (pietra) che cuopre il pozzo dove si gettavano i corpi dei giustitiati”. La chiesa fu allora chiamata "San Nicola de furcis" o "de furca", perché in un orto attiguo alla chiesa vi si custodivano le forche e nel Tempio vi si confortavano i condannati. Ma tale destinazione deve essere cessata già nel XV secolo giacché Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521), erigendola a parrocchia, non accenna ad essa.
La chiesina “degli iustitiati” diventò nel 1512 "de Incoronatis" per il “ius patronato” che n’ebbe Plancia de Incoronatis, avvocato concistoriale.
I Savelli che erano “marescialli di Santa Romana Chiesa e custodi perpetui del conclave” [2], nel succedere ai Capo di Ferro, trasportarono le carceri in via Monserrato attuale, in un edificio con torre “Torre hora chiamata de Curte Sabella” e fu il “Carcere apud turrim de Sabellis” [3].
Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585), per lenire le condizioni dei carcerati, ingrandì e rimodernò il carcere lasciando sulla facciata un’epigrafe: “Gregorio XIII P.M. Beneficium-Bernardinus Sabellus Curiae de Sabellis Maresciallus perpetuus”.
Un anonimo ne scrive: "ci sono in faccia tre ferrate principali alte, e altrettante in basso, con certe altre ancora senza riguardo dell'architettura in prospettiva”.
Ma “necessità non conosce legge” e le inferriate erano necessarie: “Veneris X eiusdem mensis Aprilis (1500) suspensi fuerunt duo in fenestra curiae Sabelliane”. Con l’ingrandimento, le carceri si estesero fino all’attuale via Montoro attuale (già Chigi) e, nella parte posteriore, a via dei Cappellari.
Riforme furono fatte da Giulio II (Giuliano Della Rovere - 1503-1513), Paolo IV (Gian Pietro Carafa - 1555-1559), Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) e da Paolo V (Camillo Borghese - 1605-1621) che, fra le altre, prescrisse il menù dei carcerati. Stabilì non si dovesse spendere più di “baiocchi 7,30” per ciascuno che doveva consumare “di buon vino et bastonate, et almeno di una libra di carne il giorno con la menestra, et il giorno che non se magna carne darli ove aver pesce” [4]. Quando, aumentata la popolazione, si cercò di ingrandire ancora le carceri, per l’opposizione dei vicini proprietari che non vollero cedere i propri stabili, Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili - 1644-1655) si decise a fabbricarne altre che furono collocate in via Giulia, che “erano state incominciate fin dal 30 aprile del 1657 le carceri nuove a Piazza Padella, e distrutta Corte Savella, vicino al Collegio Inglese, annessa al maresciallato del duca Giulio Savelli”. Infatti Innocenzo X lasciò ai Savelli il solo maresciallato del conclave che da Clemente XI (Giovanni Francesco Albani - 1700-1721) fu assegnato poi ai Chigi, dopo che, nel secolo XVII, si era estinto il ramo principale dei Savelli trasfusosi nei Cesarini.
Istituzione di carità, connessa con le carceri, era quella fondata da Eugenio IV (Gabriele Condulmer - 1431-1447) nel 1435 e cioè: “il collegio delle visite alle prigioni” che venivano effettuate da persone che appartenevano a classi elevate, “visite graziose” erano chiamate e quelle fisse, nelle ricorrenze di Pasqua e Natale, portavano sempre la liberazione di qualche prigioniero. Amnistia che non veniva però concessa e non ne godevano: “i sacrileghi, gli adulteri, i venefici, i malefici o stregoni, i monetari e quei che sono dediti a delinquere”. Le visite si protrassero nel tempo e l’ultima “visita graziosa” fu quella compiuta dal sacerdote Eugenio Pacelli, l’attuale (per chi scrive) pontefice Pio XII (Eugenio Pacelli - 1939-1958). Egli dopo la sua ordinazione aveva assunto la carica di "avvocato dei poveri", che era rimasta onoraria.
Nell’abbattimento del carcere, acquistato dal collegio inglese per ingrandirsi, furono trovati, negli scavi, gli avanzi della “fazione Russata”, infatti fra lo stadio di Domiziano e le adiacenze del circolo Flaminio, stavano le “stabula quatuor factionum” cioè le stalle o scuderie delle quattro fazioni: “Veneta (cerulee), Prosina (verdi), Albata [5] (bianche) e Russata (rosse)".
San Tommaso di Canterbury - La chiesa del collegio (che fu ridotta a stalla per i cavalli delle truppe francesi nel 1798), ed il collegio stesso, hanno la loro origine da quella “schola Saxonum” [6] eretta da re Ina nel 727 sotto Gregorio II (715-731) in Borgo. Nel nuovo centro delle “scholae peregrinorum” formatosi, dopo il giubileo del 1350, in via Monserrato, è la Societas Pauperorum Anglorum intitolatasi alla Santissima Trinità Anglicanorum e San Tommaso di Canterbury. Trasformata in un collegio ecclesiastico di giovani studenti da Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) e da lui canonicamente eretto il 23 dicembre del 1580, era stato affidato ai gesuiti fin dalla trasformazione nel 1575. La chiesuola che preesisteva, le pareti dipinte dal Pomarancio (1552-1626). fu, nel 1866, riedificata e poi ingrandita dal cardinale Edward HenryHoward (1829-1892) di Norfolk. Vi è sepolto l'arcivescovo di Bainbridge (1464-1514), che il suo servitore, Rinaldo di Modena, avvelenò perché “sdegnato dell'indegno trattamento ricevuto in pubblico dal suo padrone”.
San Girolamo della Carità - La prima Chiesa, entrando nella strada da Piazza Farnese, è San Girolamo della Carità, dove sorgeva la casa della matrona romana Paola, presso la quale alloggiò spesso lo stesso San Girolamo (384-399). Collegiata, poi, fino al 1524, officiata dai Monaci Osservanti, fu data allora da Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1534) alla Compagnia della Carità [7]. Vi ha dimorato ed iniziato il suo oratorio San Filippo Neri che dopo 33 anni passò alla Vallicella [8]. La chiesa fu riedificata nel 1600 [9].
Santa Maria di Monserrato [10]- Segue la chiesa di Santa Maria di Monserrato [11] (o Monte segato e perciò la sega sull’immagine della facciata) che dà il nome alla strada. Nel 1354, la catalana Jacoba Fernandez iniziò la costruzione di un ospedale [12] al quale, nel 1391, parteciparono Aragonesi e Valenziani. In seguito al deperimento della chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, a Piazza Navona, fu costruita la Chiesa di S. Maria in Monserrato, nel 1475, parte sulla precedente cappella di S. Nicolò a Corte Sabella [13] ed in parte includendo, quella di Sant’Andrea de Azanesi, facendone la sacrestia.
La prima (S. Nicolò) detta de "Curte Sabella" esisteva già sotto il pontificato di Urbano VI (Bartolomeo Prignano - 1378-1389), l’altra di Sant’Andrea è già in un elenco del XII secolo ed era detta anche di Nazaret ed anche di S. Buonhomo, perché vi era la Compagnia dei Calzettari che hanno per loro protettore S. Buonhomo.
La fondazione di una Confraternita sotto la protezione di Santa Maria di Monserrato, fatta ad Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) nel 1495, portò, nel 1518, l’ingrandimento della Chiesa che, alla fine del XVIII secolo, fu quasi liquidata negli arredi e nei quadri, per sostenere le spese dell’ospedale, e chiusa nel 1803. Restaurata e riconsacrata, nel 1822, vi furono trasportati gli arredi, gli oggetti d’arte e le lapidi di S. Giacomo degli Spagnoli di Piazza Navona (in Agone).
Nella sacrestia della chiesa giacquero insepolte ed inonorate le salme dei papi Callisto III (Alfonso de Borgia - 1455-1458) ed Alessandro VI [14] (Rodrigo Borgia - 1492-1503) trasportatevi nel 1610 dall’antica Basilica Vaticana, dove giacevano nella stessa tomba, nel tempio rotondo di Santa Maria della Febbre, demolito in seguito da Pio VI (Giovanni Angelo Braschi - 1775-1799) per l’erezione della sacrestia vaticana. Dice il verbale d’esumazione del 30 gennaio 1610: “... i portatori alzarono il feretro e, preceduti da lumi e sacerdoti, per la via Alessandrina (Borgo nuovo oggi parte della via della Conciliazione) portarono i corpi nella suddetta chiesa di Monserrato”. La cassa rimase così insepolta per circa tre secoli. Ne fu fatta la ricognizione il 21 agosto 1889 e si trovò scritto nell’interno: “Los Huesos de dos Papa esta en esta cajeta y son Calisto III y Alexandro VI y eran espanoles”. La cassetta fu collocata in una cappella nella chiesa, sotto un piccolo monumento. Nel Tempio è pure sepolto Alfonso XIII (1902-1931), re di Spagna, che, all’avvento della Repubblica, aprile 1931, lasciò la Spagna e visse in Roma, dove morì il 28 febbraio 1941.
San Giovanni in Ayno - Un’altra piccola chiesa, quella di San Giovanni in Ayno [15], è antichissima ma s'è perduta la memoria della sua fondazione. Alcuni fanno derivare l’"Aynus” da un “agnus” che insieme al Santo eponimo figurava sulla facciata della chiesa nel XIV secolo. Altri dal semitico "ain" – "fonte" e lo mettono in relazione col Tarentum o Terentum, in questa zona, o con le emanazioni gassose delle paludi.
I palazzetti della strada erano abitati da famiglie borghesi, come: De Cadillhac e Inghisami, de Iuvenazi ecc.
È caratteristico il motto posto dalla cinquecentesca cortigiana Tina, dopo un restauro della propria casa, il quale criticato per la maniera con la quale, troppo radicalmente, aveva eseguito il restauro, trovò il modo di dire elegantemente che faceva il suo comodo, scrivendo sulla facciata della casa: “Trahit sua quemque Voluptas” (ciascuno è mosso dal proprio piacere).
La via di Monserrato sboccava nel trio formato da via del Pellegrino e via de’ Banchi vecchi. Il trivio, chiamato “ad Cloacam Sanctae Luciae”, era il confine fra Ponte e Regola.
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[1] ) I « Capitula declaratoria iurisdictionum Curiarum Urbis » emanati da Sisto IV (Francesco Della Rovere - 1471-1484) nel 1473, restrinsero notevolmente i poteri del “Marescallus iustitiae”. Stabilirono infatti che al suo tribunale potevano essere chiamati solo “qui sequuntur Curiam laici, tam mares, quam faeminae, et non alii” e che: “in nullis aliis iurisdictionem habeat, nec exerceat”. Anche con Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo - 1484-1492), in forza della costituzione “Apprime ad devotionis” del 22 dicembre 1485, il maresciallo ebbe anche un giudice superiore a cui ricorrere contro le sentenze da lui emanate “et in sua Curia”. Anche limitazioni maggiori furono imposte poi da Giulio II (Giuliano Della Rovere - 1503-1513) con la costituzione del 28 marzo 1512 “Decet Romanum Pontificem”, tanto che la curia del Maresciallo assunse l’aspetto di tribunale ordinario di rango inferiore. La curia del maresciallo fu ancora più compressa dalla costituzione del 30 giugno 1562 di papa Pio IV (Giovanni Angelo Medici - 1559-1565), e da quella di Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) “Dum recte administrandae” del 27 gennaio 1575. Fra le altre confermava la disposizione del 5 gennaio precedente con la quale: “Citra tamen pretensionem tributi a mulieribus inhonestis quod omnino abolemus, et quantumque ab eis exationem quantocumque tempore ante hac factam omnino proibemus”. L’abolizione di tale tributo, a cui erano state sottoposte le meretrici e i loro lenoni, era stato inutilmente invocato fin dall’inizio e cioè dal vescovo Durand durante il concilio di Vienne del 1311-1312, ma anche la proibizione di Gregorio XIII deve essere rimasta lettera morta, se nel 1589, 1591, 1592 e fino al 1658 ancora se ne parlava, nonostante la privazione della carica impartita al Maresciallo “ipso facto incurrenda”. Delle carceri della Curia Savella padrone assoluto era il Savelli che per il loro mantenimento percepiva ricchi emolumenti come: tasse giudiziarie, somme pagate dai detenuti solvibili e altre arbitrarie come quelle sulle meretrici che corrispondevano a 10 carlini l’anno, benché assai spesso si pretendesse da queste un versamento di 10 giuli. Se si pensa che una statistica fatta eseguire da Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo - 1484-1492), nel 1490, stabiliva in 6800 il loro numero seppure non si vuol credere alle 30.000 accusate dallo spagnolo Francesco Delicado e alle 40.000 dell’olandese Von Bichel, pure l’introito del maresciallo era sempre considerevole.
[2] ) Eccettuati i periodi dal 1 marzo 1482 al luglio 1484, per revoca di Sisto IV e dall’8 agosto 1501 al 18 agosto 1503 per ordine di Alessandro VI.
[3] ) I Savelli usarono le loro proprietà per evitare il trasporto a Tor di Nona di quanti venivano condannati alla reclusione dalla Curia del Maresciallo. La prima notizia della “presone (prigione) delli Savelli” si ha nel novembre 1467 dal diario Nepesino (di Antonio Lotieri de Pisano, prete e notaio).
[4] ) Gli interessi di casa Savelli usciti indenni dalla riforma di Paolo V (Camillo Borghese - 1605-1621), dovettero poi subire una restrizione nella loro giurisdizione da parte di Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644), nel 1628, finché Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili - 1644-1655), nel 1652, liquidò per sempre la vetusta istituzione. Con chirografo del 21 marzo 1652 avocò a se ”il possessorio dominio et omnimoda penitenza di tutte le cose, abitazioni, edifici, e siti, nelle quali sono dette carceri di Corte Savella con tutti li loro membri, pertinenze, ragioni, che da ationi spettanti, e che potessero in qualsivoglia modo spettare e competere all'affitio del maresciallato di Roma”. E con altro chirografo del 7 aprile seguente, pose fine definitivamente anche ad ogni qualunque giurisdizione della detta Curia. Anzi, a confermare l’irrevocabilità della sua decisione, Innocenzo X commetteva al Governatore di Roma, cui il documento era diretto, l’immediata esecuzione della sua volontà, ordinandogli di far trasportare negli uffici del suo tribunale "tutti li libri, sentenze, processi e protocolli, e ogni altra scrittura spettante a detto giudicato”. E decretando inoltre la perpetua validità del chirografo di soppressione che doveva avere il suo pieno effetto e vigore “ancorché detto Maresciallo, Giudice, Notari, e qualsivoglia altra persona non siano stati citati, chiamati, sentiti nemmeno discusse le loro ragioni e pretensioni”. Così il 22 settembre 1652 le carceri della Corte Savella i cui edifici, venduti per 4702 scudi al contiguo Collegio Inglese, cessarono di esistere e furono poi completamente rasi al suolo. E dopo oltre quattro secoli cessò una magistratura durata fin troppo. Un anonimo diarista dell’epoca, lasciava notizia del fatto, sotto la succitata data, così: “Si serrano le carceri di casa Savelli e finivano i Savelli la loro giurisdizione in quel tribunale”.
[5] ) La « factio Albata » aveva gli « stabula » forse a S. Lucia della Chiavica (Banchi Vecchi).
[6] ) La “Schola Saxorum” (in Borgo S. Spirito), fondata nei pressi della Basilica Vaticana, dette inizio a quella tendenza, dimostrata in seguito dalle altre Scholae, ad accentrarsi non lontano dal sepolcro di San Pietro, tanto che il Borgo (burg) fu detto la località ad esso prossima. Il re del Wessex, Cedwalla, che morì in Roma nel 689 col nome di Pietro, dopo il battesimo, impartitogli da Sergio I (687-701), fu uno dei più illustri "romei" di quell’epoca, che, coperto dalla bianca veste del neofita, venne sepolto "ad januam piscatoris". Fu il suo successore, Ina, che, nel 727, dette una sede alla Schola e la dotò dell’obolo annuale (Romescot), che fu poi, fino al XVI secolo, corrisposto sempre dalle famiglie più agiate del Wessex, onde far avere in Roma un temporaneo alloggio ai pellegrini inglesi. Vi fu pure albergato, nel 1050, quel re Macbeth, immortalato da Shakespeare, ed è da questo Ospizio che poi l’ospedale, costruito sotto Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni - 1198-1216), prese il nome di Santo Spirito in Sassia. All’antica “Schola Saxorum”, fin dal VII sec., faceva riscontro, in via Corte Savella, un ospizio per i pellegrini inglesi che ebbe, dopo il giubileo del 1350, un importante incremento. Durante il pontificato di Bonifacio IX (Pietro Tomacelli - 1389-1404), nel 1398, un tal Giovanni Skopardo, inglese, aveva fondato un ospedale di San Tommaso per i poveri romei nazionali, annesso all’ospizio antico.
[7] ) Ma i frati vi si trasferirono, da S. Bartolomeo dell’Isola (Isola Tiberina), solo nel 1536.
[8] ) 22 novembre 1588.
[9] ) Vedi Studi Romani 1958 n°6 pag.680.
[10] ) A 50 km ad oriente di Barcellona si eleva la mole maestosa di Monserrato, che per le sue cime aguzze somiglia ad una sega (in Catalano = monte sega). Lunga 20 km ed alta 1240 m, all’epoca della conquista romana, ebbe un santuario dedicato a Venere, sulle cui rovine del IV secolo fu edificato un piccolo santuario in onore dei martiri cristiani, i due fratelli Aciselo e Vittoria. Quando, per l’invasione Araba (711), vi si rifugiarono i cristiani, il vescovo di Barcellona Pietro vi portò nel 717, per sottrarla agli infedeli, la statua della Madonna che fu detta di Monserrato. Un chiostro vi fu annesso dal conte Vanifredo da Barcellona, chiostro che nel 976 passò ai Benedettini e nel 1410 diventò abazia indipendente. Fu più volte meta di pellegrinaggio per Carlo V (1500-1556-1558), e suo figlio Filippo II (1556-1598) che donò 200.000 ducati per la costruzione dell'attuale santuario, che fu inaugurato da Filippo III (1598-1621) nel 1599. Fu ai piedi della Madonna di Monserrato che Sant’Ignazio (1490-1556) depose, nel 1522, la sua spada e qui fece voto di dedicarsi "Ad maiorem Dei gloriam". Per l’invasione Napoleonica (1808-1813), e per la guerra civile (1937) il santuario subì sottrazioni e danni e solo nel 1944 i monaci iniziarono le riparazioni e la costruzione del nuovo trono della Vergine che fu inaugurato il 27 aprile 1947.
[11] ) “Le donazioni più cospicue per l’edificazione della chiesa vennero dalle Cortigiane, fra le quali la bellissima Parda Caterina, che legò al pio luogo un annuo censo (rendita) di 40 scudi” (Lanciani).
[12] ) Il suo esempio fu imitato nel 1363 da Margherita Pauli di Majorca che nei limiti della Parrocchia di S. Tommaso degli Spagnoli (Angolo di Via Giulia con quella del Mascherone) fondò altro ospedale per inferme della sua nazione.
[13] Da non confondersi con la chiesa di S. Niccolò a Piazza Padella, S. Niccolò “a Corte Sabella” è piuttosto da considerarsi una cappella, dato che non compare in nessuno dei cataloghi noti delle chiese di Roma. Si può quindi supporre che fosse una cappella ad uso di un ospizio. (Forse quello fondato dalla catalana Jacoba Fernandez, nel 1354?).
[14] ) La Cronaca : "…dal sabato 17 agosto (1503), in cui si ammalò (Alessandro VI), fino alla sua morte (18 agosto) che avvenne ad un’ora di notta (20h30), il papa assistito dal medico Scipio che diagnosticò essere il male di natura apoplettica". Commentò Machiavelli (1469-1527) : “Malò Valenza; e per aver riposo – portato fu tra l’anime beate – lo spirito di Alessandro glorioso – del quale seguirò le sante pedate – tre sue familiari e sante Ancelle : Lussuria, Simonia e Crudeltade”.
[15] ) Anche "in Agina" ; "in Crina" ; "in Orina". nel secolo XIV era una chiesa parrocchiale fino al 1697. Nel 1660 si doleva il parroco che essa rendeva solo 20 scudi annui contro i 90 antecedenti “perché dopo si introdusse la presente detestabile corruttela di portare alle chiese li cadaveri dei defunti di notte e nelle barelle e nelle carrozze etiam di giorno, senza lumi, senza salmodia, senza croce, senza il proprio parroco, con licenza dei signori superiori contro il rito ecclesiastico, pietà cristiana e comune osservanza di tutto il cattolicesimo”. Aveva una sepoltura per i putti e due per gli adulti.
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