Piazza della Minerva (R. IX – Pigna) (vi convergono: via Minerva, via di Santa Caterina da Siena, via dei Cestari, via di Santa Chiara, via della Palombella)
Dov’era il Tempio di Minerva Campenese dedicatole da Pompeo Magno (106-48 a.C.) e che, distrutto nell’80 d.C., fu ricostruito da Domiziano (81-96) intitolandosi a "Minerva Chalcidica"[1], qui sorse la chiesa di Santa Maria in Minerva o della Minerva o supra Minervam [2].
La chiesa fu in origine un modesto oratorio con un monastero, dove papa Zaccaria (741-752) ricoverò delle suore benedettine, fuggite da Nazianzo (Cappadocia), nel 750, per la persecuzione iconoclasta di Costantino V (741-775), detto per disprezzo, il Capronimo (Merdoso).
Per lo Stato in cui l’edificio s’era ridotto, le monache passarono a Campo Marzio [3]. Dopo che il convento fu riparato [4], Alessandro IV (Rinaldo di Jenne - 1254-1261) con la sua Bolla del 24 settembre 1255, lo assegnò alle suore "Repentite" [5] che vi rimasero circa 20 anni.
Con Bolla di Giovanni XXI (Pietro di Giuliano - 1276-1277) del 3 novembre 1276, la chiesa fu affidata ai "Priori et conventui fratrum praedicatorum de Urbe" [6]. Nel 1280 fu iniziata la ricostruzione [7].
La loro sostituzione con i frati domenicani, fondati nel 1215, avvenne anche "per donazione del Senato e del Popolo Romano".
Nel convento furono tenuti due conclavi quello di Eugenio IV (Gabriele Condulmer - 1431-1447) nel 1431 "a dì primo di marzo li Cardinali si miseno in Conclave in nella Minerva e fu di jovedie ad 24 hore et fu sbarata la platea de Minerva et fu guardata dai Romani".
L'altro di Nicolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-1455) "a dì quattro del mese di marzo (1447) XVIII cardinali che se trovaveno a Roma su l'hora dello vespero andarono a Santa Maria Minerva et entrarono in conclave per fare el novo papa".
Effettivamente quello che avrebbe dovuto essere il primo conclave (1292) non ebbe conclusione per i tumulti del popolo e il disaccordo dei cardinali che, solo dopo due anni e tre mesi e dopo essersi riuniti a S. Maria Maggiore, sull’Aventino, e alla Minerva, elessero in Perugia il 5 luglio 1294 Celestino V (Pietro Angeleri - luglio 1294 - dicembre 1294) "... colui - che fece per viltade il gran rifiuto". Certo che ebbe però il coraggio di profetare sul suo successore Bonifacio VIII: "Intravit ut vulpis, regnabit ut leo, morietur ut canis".
Nel monastero si radunava pure il Tribunale dell’Inquisizione [8] e la Congregazione dell’Indice e, quando alla morte di Paolo IV (Gian Pietro Carafa - 1555-1559), nel 1559, il popolo bruciò le carceri del Sant’Uffizio a Ripetta [9], Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572) le istituì alla Minerva e non pro forma se Pasquino diceva:
"Brucia, impicca, buon Pio - brucia in nome di Dio: Con tutti i tuoi tormenti - A me non mi spaventi; Con tutto il tuo potere, - Non mi farai tacere; Io son duro, di sasso - Ti sfido, o Satanasso".
ed ancora aggiungeva:
"Quasi fosse d’inverno - Brucia Cristiani, Pio, siccome legna, Per avvezzarsi al caldo dell’inferno".
Anche dopo l’ultima invasione francese (1808-1813), precisamente dal 1814 al 1825, alcune celle del convento furono usate come carceri.
Fra le diverse tombe [10] gentilizie, troviamo quelle di Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini - 1724-1730), Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521), Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1584), Paolo IV (Gian Pietro Carafa - 1555-1559) e Urbano VII (Giovanni Battista Castagna - 15 settembre 1590-27 settembre 1590).
Nella cappella dei Carafa, appunto quella di Paolo IV, vi furono sepolti i nipoti del Pontefice, giustiziati da Pio IV (Giovanni Angelo Medici - 1559-1565).
Dice un avviso: "Delli corpi loro seguì questo: il Cardinale [11] fu portato nella chiesa Transpertina, il duca et il conte d'Aliffe et don Leonardo furono portati la mattina per tempo in Ponte. Il duca in un cadeletto [12] piccolo e assai miserabile, come giaceva con una veste de pelle, intorno con due torse [13] rosse, per ciascun capo, il conte d'Aliffe et don Leonardo erano coricati in terra su due miserabili tappeti lunghi 2 brazzi o circa et poi tutti infangati et calpestati dal numero delle genti che andavano a vedere. Il Cardinale è stato portato poi a seppellire alla Minerva et si dice anco il duca. Gli altri dui dicono che li parenti trattino di condurgli a Napoli".
Anche la tomba di fra Giovanni da Fiesole [14] (l'Angelico 1395-1455), la cui epigrafe fu attribuita a Niccolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-1455) che tanto lo predilesse, è adesso presso l’uscita prossima all’abside. Deve aver subito una prima sistemazione quando nel 1600 i Domenicani soppressero la cappella di San Tommaso della famiglia Rustici e poi dei Cenci, per aprire la porta che dà su via Beato Angelico [15] (già via della Fossa) mentre per ordine del Papa (Clemente VIII) venne murata l’altra porta sull’attuale via di Santa Caterina, perché “serviva più tosto per passo che per bisogno”.
Nell’ultima sistemazione avvenuta, il teschio del Beato Angelico fu ritrovato e rinchiuso in una cassetta di piombo recante la scritta: "Cranio attribuito a Fra Giovanni da Fiesole nel reperimento del 21 luglio 1915".
La lapide, che in origine era in terra, fu posteriormente murata alla parete e troncata dopo il quarto verso, ed è così rimasta, anche adesso che è stata rimessa in terra. Mentre "in sepulcro lapideo tanto viro digno tumulatus, quod Nicolaus V Pont. Max. duobus epitaphiis graphice exornavit curavit...". In realtà i due epitaffi non furono opera di Niccolò V, giacché alla morte del Beato, il Papa era moribondo, ma del fiorentino Lorenzo Valla (+ 1457). I distici completi dicevano:
" Non mihi sit laudi quod eram velut alter Apelles, Sed quod lucra tuis omnia, Christe, dabam: Altera nam terris opera extant, altera coelo: Urbs me Ioannem flos tulit Etruriae”.
“Gloria pictorum speculumque decusque johannes Vir Florentinus clauditur hocce loco Religiosus erat frater sacri ordinis almi Dominici ac verus servulus ipse Dei Discipuli plorent tanto doctore carentes, Penelli similem quis reperire queat? Patria et ordo fleant summum periisse magistrum Pingendi cui par non erat arte sua” [16].
Nell’antica chiesa il coro non era nell’abside, ma nella navata centrale, come nelle basiliche. Fu ridotto com’è adesso nella sistemazione dei monumenti funebri di Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521) e Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1534) quando (1540) furono comprate ed abbattute, per l’ingrandimento, alcune casette dietro la chiesa.
Fin dal 1460 vi si era costituita una confraternita allo scopo di "maritare, ovvero di dotare povere zitelle, per essere tale opera tanto necessaria e degna di lode, quanto è necessario e lodevole di conservare la pudicizia e proibire che molte anime, per la povertà o poca cura, non trabocchino nelle insidie e nei lacci del demonio".
Il 25 marzo, per la festa dell’Annunziata, il Papa, in pompa magna, si recava alla Minerva e, dopo la messa solenne, assegnava le doti che erano di 100 scudi. Le dotate con le torce in mano andavano in processione da Santa Maria alla Minerva a Santa Chiara ed erano chiamate le "ammantate" perché per andare in processione "si facevano un manto con la tela loro donata, ma per non tagliarla, la adattavano intorno al corpo con migliaia di spille e con un lavoro lungo e paziente. Pure a furia di spille usavano farsi un originale decorazione sulle spalle, a forma di ostensorio o di stella, o delle iniziali di Maria o di altro simbolo religioso" [17].
Il cardinale Giovanni Torrecremata o Torquemada (1388-1468), zio dell’Inquisitore di Spagna, morto nel 1468, è appunto ritratto in questa cerimonia, in un quadro che è sull’altare prossimo alla sua tomba.
Presso l’altare maggiore sta adesso la statua del Redentore, scolpita da Michelangelo nel 1521 [18] per la tomba di Girolamo Porcari, dove allora fu collocata, sotto un ricco baldacchino illuminato da ceri e lampade ed arricchitosi di ex voto, "specialmente delle donne che ne invocavano la benedizione per il loro matrimonio".
Nella sagrestia, nel sec. XV, erano custoditi gli archivi del Popolo Romano ed allora esisteva ancora la "cella" [19] del tempio di Minerva Chalcidica.
Sulla porta interna della sagrestia esiste un affresco dipinto dall’artista Vincenzo Armanno, nato alla fine del XVI sec. che, condannato al carcere per aver mangiato carne durante la Quaresima, si vide cambiata la pena in semplice ritiro di penitenza presso i Domenicani [20]. Per vincere la noia dipinse due affreschi di cui uno perduto.
Dietro l’altare della sagrestia c’è la camera dove (in Piazza Santa Chiara nel convento delle Domenicane) morì, il 29 aprile 1380, Santa Caterina da Siena. "Fu spettacolo pieno di tenerissimo affetto il vedere Caterina che con grande umiltà e riverenza chiedere la benedizione dell'addoloratissima madre e questa alla sua figliuola piuttosto col pianto che con le parole si raccomandava". "La salma della santa dal convento venne portata sulle spalle del beato Stefano Maconi, suo discepolo, alla chiesa della Minerva, onde rimase esposta tre giorni. Fu tumulata prima nel piccolo cemeterio della Chiesa, poi collocata al suo interno, ai piedi dell'ultimo pilastro di destra di faccia alla cappella del Rosario. Successivamente entro la cappella stessa; dopo la canonizzazione (Martino V - Oddone Colonna - 1417-1431), sotto l'altare della medesima e finalmente il 9 agosto 1855 sotto l'altare maggiore".
Nel primo quarto del XVII sec., fu demolito il convento a Santa Chiara e il cardinale Antonio Barberini fece trasportare alla Minerva le pareti della cameretta di Santa Caterina con le pitture del Perugino. (Vannucci Pietro 1446-1523). Nel coro delle domenicane a Magnanapoli tre affreschi si ritengono provenienti dalla stessa camera.
Annessa al convento, vi era la biblioteca Casanatense originata dal testamento del 5 ottobre 1698 dal cardinale Gerolamo Casanate che legò (donò) ai frati i suoi libri ed 80.000 scudi per l’impianto e la manutenzione di una pubblica biblioteca.
I Domenicani fecero causa ai gesuiti, per l'impedimento da essi posto all’elevazione del fabbricato [21] [progettato dall'architetto Antonio Maria Borioni (+1727)] che veniva a trovarsi sul fianco della chiesa di Sant’Ignazio. Nel 1719 Monsignor Alessandro Albani conciliò la vertenza. La biblioteca fu inaugurata e aperta al pubblico il 3 settembre 1701 e fu restaurata, ampliata ed abbellita, nel 1840 (diario Pilor).
In antico, la Piazza della Minerva era in parte ingombrata delle rovine delle vicine terme Agrippiane che occupavano all’incirca la zona compresa tra la Minerva, San Giovanni della Pigna, Piazza dei Caprettari e via Monterone.
Da un lato della piazza, nel sec. XV, v’era il palazzo dei Porcari [22]; di fronte alla chiesa una casa de' Crescenzi che, attraverso diversi proprietari, pervenne nel XVIII sec. al Cardinale Imperiali che la ampliò. Clemente XI (Giovanni Francesco Albani - 1700-1721) la destinò all’Accademia dei Nobili Ecclesiastici [23] che vi risiede anche oggi.
Dall’altro lato della Chiesa vi era il convento che, dopo il 1870, fu del demanio che vi collocò, prima il Ministero della Pubblica Istruzione e, dopo, quello delle Poste e Telegrafi.
In mezzo alla piazza l’elefante (il Pulcin della Minerva) postovi nel 1637 dal Bernini su ordine di Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644) che ne dettò l’epigrafe [24], nella quale dice che tale animale fu scelto per dimostrare che "occorre una robusta mente per sostenere una solida sapienza".
L’obelisco, che è sulla groppa dell’elefante [25], proviene dai due templi dedicati ad Insidie e Serapide, risale al VI sec. a.Ch., quando l’ultimo dei Faraoni lo innalzò prima di cadere nelle mani (597 a.Ch.) di Nabucodonosor (604-562 a.Ch.) [26].
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[1] ) Minerva Calcidica - Si crede che debba essere il tempio che Pompeo eresse alla dea, cui Domiziano (81-96) "quam superstitiose colebat”. Nel "Curiosum et Notitia Urbis” del IV secolo, fra gli edifici della IX regione (Circus Flaminius), è ricordato un tempio di Minerva fra i templi di Iside e quello dei Divi, attribuendogli il titolo di Chalcidica. Avanzi del detto tempio restavano ancora alla fine del Rinascimento.
[2] ) L’archeologia recente ha stabilito che il Tempio di Minerva Campense sia da collocarsi al posto della chiesa sconsacrata di Santa Marta, in Piazza del Collegio Romano (vedi). La chiesa di Santa Maria sopra Minerva ed il convento relativo si troverebbero sopra i “Saepta Iulia” e il Tempio di Iside e Serapide. Attualmente tra via della Minerva e via di Sant’Ignazio.
[3] ) Celestino III (Giacinto Bobone Orsini - 1191-1198), con Bolla del 7 maggio 1194, aveva posto la chiesa della Minerva come dipendenza di Santa Maria in Campo Marzio.
[4] ) Allora il livello del pavimento era un poco più basso di adesso e la chiesa semplice e chiara appariva simile a S. Maria Novella, opere entrambe dei frati Sisto e Ristoro (XIII sec.). Fu al principio dell’ottocento che le pilastrate furono rivestite di lucidi marmi e la volta ridipinta a colori striduli.
[5] ) “Repentite” è in riferimento di quelle donne che avevano vissuto in maniera dissoluta e che mostravano pentimento e intenzione di espiare i loro peccati ritirandosi a vita monastica
[6] ) Il primo convento dei Domenicani a Roma, quello di Santa Sabina sull’Aventino, era stato loro assegnato da Onorio III (Cencio Savelli - 1216-1227), ma troppo lontano dalla città per esercitarvi la loro missione. Da questo la concessione di Gregorio X (Tebaldo Visconti - 1271-1276) nel 1275 e la Bolla di Giovanni XXI (Pietro di Giuliano - 1276-1277) nel 1276, che assegnarono il convento alla Minerva, con l’accordo delle suore di Santa Maria in Campo Marzio da cui la Minerva dipendeva.
[7] ) Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini - 1277-1280) nel 1280 fece iniziare la costruzione della chiesa, da fra’ Sisto e fra’ Ristoro architetti di S. Maria Novella. Con elemosine e lasciti furono poi completati chiesa e convento.
[8] ) Vi fu pronunciata la sentenza contro Galileo, e nel medesimo salone “Feria IV dicembre, die 22, junii 1633 – Galilaeus de Galilaeis, fiorentinus, abjuravit de vehementi in Congregatione et iuxta formulam”.
[9] ) Locali del Sant’Uffizio, dove erano le stalle Borghese ed è ora l’Università di Economia e Scienze Finanziarie.
[10] ) Vi era anche la tomba di Lucrezia d’Alagno, abitante nel soppresso vicolo di Madama Lucrezia (davanti la basilica di San Marco a Piazza Venezia), il cui padre era stato senatore nel 1428. Favorita di Alfonso I (1442-1458) d’Aragona, detto il “Magnanimo”, alla sua morte, ritornò nella sua casa a Roma, dove morì improvvisamente nella chiesa della Minerva nel 1478, dove fu sepolta.
[11] ) Il cardinale Carlo Carafa (1517-1561) fu strangolato in Castel S. Angelo e gli altri decapitati per aver fatto uccidere la duchessa di Paliano. Pasquino disse che “4 C” avevano tormentato Papa Pio IV: Cardinali, Carafa, Concilio, Colonna. Il Cardinale fu finito con un lenzuolo del letto, perché 2 lacci che gli erano stati alternativamente applicati, si ruppero in mano al boia.
[12] ) Cadeletto: barella per portare i corpi morti.
[13] ) Torse: Cuscini
[14] ) Giovanni da Fiesole, nasce presso Vecchio di Mugello nel 1387; nel 1407 col fratello entra a Fiesole nel convento di S. Domenico; tra il 1437 e il 1445 esegue la decorazione pittorica di S. Marco a Firenze; nel 1445 – dipinge la cappella del Santissimo in Vaticano, oggi demolita; diviene Priore del convento di Fiesole tra il 1449 al 1451; nel 1455 torna a Roma e vi muore.
[15] ) Via Beato Angelico, parte del Collegio Romano e della chiesa di S. Ignazio, erano il posto occupato dal tempio di Iside. Mentre quello di Serapide occupava la chiesa e la piazzetta di S. Stefano del Cacco, spingendosi sino a Piè di Marmo. Nei pressi della Minerva v’era la Basilica Alessandrina che Alessandro Severo (222-235) “istituerat inter Campum Martium et Septa Agrippiana... quam efficere non potuit, morte preventus”.
[16] ) Chiamato Beato, fin dal 1480, dalla voce popolare. Nel 1914, la lastra tombale fu spostata dal muro al pavimento, ma i resti mortali furono rinvenuti alla profondità di m.1,30 dall’attuale, in una tomba quattrocentesca. Il 27 gennaio 1958 per ordine del tribunale della causa di beatificazione, è stata fatta la riesumazione e sono state rinvenute 2 cassette: una con il teschio e l’altra con le ossa.
[17] ) Notificazione dell’Arciconfraternita dell’Annunziata di Roma, con la quale si prescrive il vestire delle zitelle che si ammettono al sussidio dotale, con avvertenza che esso verrà ritirato a quelle che portano "guardinfante (struttura che teneva ampia la gonna) o vestiti di seta o scollature"(Archivio vaticano, bandi sciolti, anno 1657-1662). Le ammantate, capo velato, ricoperto il collo, il mento, la bocca, avevano scoperto un solo occhio per poter vedere. Questa foggia sembra richiamarsi a quella delle matrone romane recantisi al tempio della Pudicizia, come si vede da statuette fittili e metalliche, una delle quali è al museo Kircheriano (Pigorini) di Roma.
[18] ) L’ultima scultura di Michelangelo è la Pietà, così detta “Rondanini” che il Buonarroti lasciò incompiuta dopo averci lavorato fino a otto giorni avanti la sua morte (1564). Nel 1952 il gruppo è stato acquistato con 135 milioni (di lire) dal comune di Milano. Le altre due Pietà: una a S. Pietro nel primo altare di destra; l’altra, quella chiamata “Nicodemo” in un altare dell’abside della cattedrale di Firenze.
[19] ) Vi fu rinvenuta la Minerva “Giustiniani” oggi in Vaticano.
[20] ) Una pena usata pure presso quei reverendi Padri: "domenica 8 agosto 1728 – Questa mattina, per tutto il tempo dei divini uffici della Minerva, fu accanto alla porta esposto con mordacchia alla bocca e candela in mano, un fruttarolo con cartello: “Per bestemmie ereticali, dieci anni di galera”. E nel 1791 vennero bruciati sulla piazza con solenne autorità dai fedeli i libri magici e le carte proterve del Cagliostro (Giuseppe Balsamo). Il Cagliostro, condannato prima a morte, poi al carcere perpetuo (morì a S. Leo il 5 settembre 1795), ebbe bruciati dal boia i suoi manoscritti in piazza della Minerva: "L'esecuzione è durata tre quarti d'ora”.
[21] ) I Domenicani s’erano già opposti prima che i gesuiti alzassero la cupola della chiesa di S. Ignazio, perché temevano mancanza di luce ed aria per il loro convento. Disse Pasquino che questa chiesa era senza cupola, come quella della Madonna di Loreto (Marche) era una cupola senza chiesa.
[22] ) Dov’è adesso l’albergo della Minerva era il palazzo dei Conti nel XIX sec.
[23] ) Nel 1811 li soprannominarono “i pizzardoni” per essersi levati tutti la “perucca”, secondo la disposizione del Papa (Pio VII - Barnaba Niccolò Chiaramonti - 1800-1823) ed essere comparsi senza capelli.
[24] ) « Sapientis Aegypti – insculptas obelisco figuras – ab elephanto belluarum fortissima – gestari quisquis hic vides – Documentum intellige – robustae mentis esse – solidam sapientiam sustinere ».
[25] ) “aleph-indi= bue dell’India.
[26] ) Gli altri obelischi rinvenuti nell’Iseo Campenese sono quello di Ramesse II (detto Sesostri XIV-XIII sec. a.Ch.) sul monumento dei 500 di Dogali; l’altro di villa Mattei pure di Ramesse II; il quarto a Piazza del Pantheon di Seti I e Ramesse II ed un quinto che è a Firenze nel giardino di Boboli, di Sesostri (Ramesse II), da lui innalzato a Tebe davanti al Tempio di Ammone. Ancora un altro che si trova ad Urbino e che fu donato alla città dal cardinale Annibale Albani nel 1737. Si trattava dell’obelisco di Hofra o Apries (595-569 a.Ch.), faraone della XXVI dinastia.
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