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STRADE DELLA ROMA PAPALE

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Il porporato si era impegnato a sistemare alla corte pontificia, non senza aver cercato di imparentarli con le maggiori famiglie della nobiltà romana, suo fratello Cristoforo (+1479) signore di Carbognano (marito della Contessina Malatesta, figlia di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini) e due suoi nipoti Cecco e Pietro Paolo (+1489), che si erano trasferiti in Roma dalla nativa Forlì.
Nel 1482, nel palazzo, morì Roberto Malatesta (1440-1482), fratello della Contessina Malatesta, cognata del cardinale Nardini.
Il palazzo, per il quale il cardinale spese 30.000 ducati, occupava l’isolato compreso tra via di Parione (oggi via del Governo Vecchio), via della Fossa, via del Corallo e via di San Tommaso in Parione (oggi via di Parione). Si trattava di un nucleo medievale con tre torri, che aveva fatto parte della difesa di Monte Giordano, roccaforte degli Orsini de Monte.
Delle tre torri, le due di maggior grandezza caratterizzavano l’area scelta dal cardinale Nardini, mentre la terza è ancora visibile nel cortile di un palazzo d’angolo con Via Sora.
L’imponenza dell’edificio realizzato dal cardinale rispondeva ai canoni di una dimora nobiliare del rinascimento con i suoi tre cortili loggiati e si sviluppava attorno alle due antiche torri, nella sua parte vecchia, dalla parte di via della Fossa, dove il prelato prese stanza, mentre la parte nuova, su via del Governo Vecchio, costituiva una sorta di zona di rappresentanza.
Quando divenne chiaro che il ramo dei Nardini, cui apparteneva il cardinale, si stava avviando ad una ineluttabile estinzione, questi predispose nel suo testamento la creazione di un collegio per ventiquattro studenti, appartenenti alla nobiltà povera, da avviare al diritto canonico, alla teologia, alle arti ed alla filosofia (il cardinale lasciò al collegio anche la sua fornita biblioteca).
Per questo il cardinale lasciò il complesso (notaio Beninbene) all’Ospedale del SS Salvatore, in San Giovanni in Laterano, che avrebbe dovuto gestire il collegio, da situarsi nella parte antica del palazzo, con le rendite ricavate dall’affitto della parte nuova e di alcune altre case site in Viterbo e prossime a Santa Maria in Portico, ugualmente facenti parte del lascito.
Nonostante la cura che il cardinale aveva speso nel concepire il collegio e il suo sostentamento, questo si dimostrò ben presto insufficiente (1489) al punto che, pur aumentando la retta mensile, si addivenne alla riduzione del numero dei convittori da 24 a 6 ed infine, verso la metà del XVIII secolo, alla fusione di questo collegio con altri, perseguenti lo stesso fine (il collegio umbro e il collegio Fuccioli).
La parte nuova fu affittata a diverse personalità altolocate alcune legate ad un periodo di marcata instabilità come Giovanni d'Armagnac, vescovo e conte di Castres (1420-1473), il cardinale Giovanni Battista Orsini (ante 1450-1503), morto avvelenato in Castel Sant’Angelo, si crede per mano di Alessandro VI (Rodrigo Borgia – 1492-1503), Franceschetto Cybo (1450-1519), dissoluto figlio di Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo – 1484-1492) e ancora il cardinale Giovanni Maria Ciocchi Dal Monte (1487-1555), poi Giulio III (1550-1555).  Il card. Giacomo Du Puy (+1563), e suo nipote Antonio Du Puy (1547-1607), vescovo di Bari promossero nel palazzo attività legate alla letteratura ed alla poesia al punto da farne uno dei centri della cultura romana.
Il cardinale Antonio Serbelloni (1519-1591), attraverso un importante restauro, riportò la casa “antica” all’antico fulgore.
L’importanza di tali affittuari portò alla contesa tra i parroci di San Tommaso in Parione e di Santa Maria in Vallicella che ricorsero al tribunale del vicariato per l’ottenimento di quelle anime nelle rispettive parrocchie.
Dal 1593 al 1608 il palazzo ha anche ospitato il Seminario Romano, allora di recente fondazione, fino a che i Gesuiti, al fine di dargli una collocazione stabile, non acquistarono due case contigue in via del Seminario (vedi – Pigna).
Seguirono i cardinali: François de Joyeuse (1562-1615), vescovo di Narbona, che si impegnò nel restauro della parte “moderna” del palazzo (prospicente via del Governo Vecchio) e il cardinale Bonifacio Bevilacqua Aldobrandini (1571-1627), del quale Gaetano Moroni nel Dizionario Di Erudizione Storico-Ecclesiastica, dice “Era questo porporato di costumi integerrimi, di un naturale allegro, gioviale, ameno, amante dei divertimenti e dei letterati”.
Ultimo della serie, lo spagnolo cardinale Gabriel Trejo y Paniagua (1562-1630) che dovette cedere il palazzo alla Camera Apostolica (1624) per ordine di Urbano VIII (Maffeo Barberini – 1623-1644) che aveva deciso di destinarlo agli uffici e alla residenza del Governatore di Roma.
Più di 100 anni dopo, nel 1755, Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini – 1740-1758), acquistato il palazzo Madama (vedi Piazza Madama – Parione), vi spostò il Governo di Roma e da quel momento la via prospicente l’ingresso di Palazzo Nardini prese il nome di via del Governo Vecchio.
Ancora per oltre un secolo, dal 1755 al 1870, si può supporre che il palazzo sia stato ancora oggetto di locazioni, senza però conoscerne la natura né i tempi, tuttavia sono da segnalare dei restauri del palazzo operati da Francesco Vespignani (1842-1899), per conto della proprietà (arciospedale del Ss. Salvatore ad Sancta Sanctorum), nel 1868 e nel 1881.
Con l’arrivo del governo sabaudo il palazzo Nardini ha ospitato gli uffici della Pretura, fino al 1964. Dal 1964 il palazzo è disabitato fino alla sua occupazione da parte del Movimento di Liberazione delle Donne, nel 1976.
Da quando il Movimento verrà spostato nel palazzo del “Buon Pastore” alla Lungara, nel 1987, il palazzo Nardini è rimasto vuoto, oggetto di qualche sporadico restauro da parte della regione Lazio, ma essenzialmente abbandonato nel mezzo dell’eterna battaglia tra la destinazione speculativa e quella culturale.

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