Piazza Campo dei Fiori (R. VI – Parione - R. VII - Regola) (vi convergono: vicolo del Gallo, via dei Cappellari, via del Pellegrino, via dei Baullari (che la traversa), via del Biscione, via dei Giubbonari, via dei Balestrari, via della Corda)
Da alcuni, il nome della piazza, è derivato da quella Flora che, secondo Plutarco, fu amata da Pompeo. Flavio Biondo (1392-1463) dice di lei: “Ebbe la casa sua presso il Teatro di Pompeo....Fu la casa di costei spianata, e in suo onore fu quel campo chiamato Flora, come anche insino ad oggi si chiama; et è uno delli più belli campi e 'l più frequentato che stà in Roma, massimamente che, dopo la rovina del teatro di Pompeio (come ne la nostra “Roma restaurata” dissemo), vi fu sopra da non so chi degno da Flora, et indegno d’alcuna loda, edificata una bellissima ed ornatissima casa con gran dispesa per Casa Orsini”.[1]
Altri invece attribuiscono il nome ad una Terenzia che avrebbe lasciato questo campo al popolo romano, istituendovi giuochi floreali.
Centro urbano splendido, ai primi del ‘500, vi abitavano già quasi tutti i cardinali. Tutti i cortei papali, per S. Maria Maggiore, vi transitavano, e così tutti i viaggiatori che provenivano dalle porte Asinara e del Popolo. Nel suo ingresso solenne del 1536 vi passò Carlo V.
Per tutto questo movimento vi si accentrarono le locande di Roma [2]. Fra queste, v’è quella del Sole (Taberna Solis a via del Biscione), tutt’ora esistente, e ch’è perciò più antica di quelle dell’Orso e del Montone. La tradizione dice che la locanda del Sole fu costruita con parti del teatro di Pompeo. Certo che, una locanda che aveva alloggiato principi ed ambasciatori, (nel 1489 l’ambasciatore di Francia Guglielmo di Pethana) non meritava di ritrovarsi all’attuale livello, dopo sei secoli di onorato esercizio.
Anche Vannozza Cattanei (1442-1518), la madre dei figli di Roderigo Borgia (papa Alessandro VI - 1492-1503), pur senza esercitarla, ebbe qui una delle sue “hosterie” quella della Fontana, all’angolo dell’odierna via dei Cappellari e il vicolo del Gallo, che fu da lei comprata il 10 di novembre del 1500 per 1370 ducati di carlini, 10 perducati.
La piazza sulla quale, fino ai tempi di Eugenio IV (Gabriele Condulmer - 1431-1447), vi pascolavano cavalli e giumenti che convenivano al mercato equino e granaio del sabato e lunedì. Il mercato che vi durò fino ai tempi di Leone XII (Annibale Clemente della Genga - 1823-1829), fu anche campo di corse e, spesso, luogo di esecuzioni [3], uso che continuò fino alla metà del XIX sec.
Il 9 settembre 1553, capodanno ebraico, vi furono bruciati tutti i libri religiosi ebraici, sequestrati in città, compresi quelli della Sinagoga. Altra esecuzione memorabile fu quella di sabato 5 luglio 1659, quando cinque donne furono condannate per avere venduto o somministrato “acqua Tofana”[4]. Ebbero però scritto sulla loro tomba a S. Giovanni Decollato: “Domine, dum veneris indicare, noli nos condemnare”.
Pure memorabile fu quella di Giordano Bruno, il 9 febbraio del 1600: “Giovedì fu abbrugiato vivo in Campo dei Fiori quel frate di San Domenico di Nola, heretico pertinace, con la lingua in giova (mordacchia per serrare la lingua), per le bruttissime parole che diceva...(Avviso [5]). Il suo monumento, ch’è sulla piazza, fu inaugurato il 2 giugno 1889.[6]
Appunto perché centro notevole, vi si affiggevano sentenze, editti, bandi, e Bolle; uso che continuò fino al XVIII sec.
Caratteristico è quello fattovi affiggere da Clemente XII (Lorenzo Corsini - 1730-1740) il 19 giugno 1736, contro gl’inconvenienti della notte di S. Giovanni: ”L’apostolico zelo della Santità di Nostro Signore che sempre in vigila di maggiori vantaggi spirituali del suo gregge, avendo con estrema amarezza del suo animo, inteso, per mezzo della congregazione dei prefetti, i gravissimi scandali, vane osservazioni, superstizioni ed altri inconvenienti che si commettono da molte persone di quest’alma città, in occasione che, sotto vano pretesto, di prendere la guazza, nella notte della vigilia della Natività del Glorioso Precursore S. Giovanni Battista, si portano uomini e donne unitamente fuori delle Porte e specialmente in Prati, come in altri luoghi disabitati dentro le mura e temendo per tali eccessi, giustamente adirato il Signore, sia per punirci con nuovo orribile flagello, come già fece nell’anno scorso nel giorno appunto di detto Santo, con tempesta e grandine in pregiudizio notabile delle vigne ed altri frutti della terra ecc. ecc.” . Seguivano penalità severe contro i trasgressori.
Fino al 1744, tale bando fu affisso a Campo dei Fiori ogni anno, nel mese di giugno, ma, da quell’anno, Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758) lo soppresse dicendo: “Lasciamo correre, nasca quel che ha da nascere, nascerà...qualche altro suddito allo Stato”.
Aveva proprio ragione Pasquino:
“Ecco il papa che a Roma si conviene: Di fede possiede quanto basta; manda avanti gli affari della casta, e sa pigliare il mondo come viene”.
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[1] Sorta sui ruderi e con i materiali del Teatro di Pompeo : “Domus Ursinorum propinqua cum horologio campi Florae, quam eximius Franciscus venetus vicecancellarius fundavit, postea vero a Reverendus Petro Reghino Siculo presbytero card. intus et extra variis exornata est statuis atque picturis”.
[2] ) Vi fu collocata anche una « piscaria » e vi fu trasferito il mercato da Piazza Navona, il 16 ottobre 1869 dal senatore Alberto Cavalletto (1813-1897).
[3] ) « 17 febbraio 1798 – Oggi a colpi di scure è stato atterrato, in Campo di Fiori, il trave che serviva per il tormento della corda. Lo stesso è accaduto agli altri travi di simile fatta”. La soppressione fu ordinata da monsignor Buscal governatore di Roma e Pasquino:
“É venuto monsignor Busca Ha levato la corda e la frusta Ma ci ha messo il bel giochetto ch’è chiamato cavalletto”.
Però le esecuzioni capitali vi si fecero fino al tempo di Pio IX.
[4] ) “6 luglio 1659 – Notificazione con la quale si avverte il pubblico di Roma che i segni del veleno, propinato da alcune donne, recentemente condannate, sono il vomito, la sete e la febbre, e che l’antidoto consiste nel « succo di limoncello o aceto”. (archivio di Stato, Bandi, volume 23).
[5] ) Avvisi o foglietti si chiamavano le notizie che uno o due volte la settimana venivano da Roma trasmesse all’estero in fogli manoscritti ed i cui raccoglitori si dicevano "fogliettanti o menanti" perché "menavano la pubblica opinione senza discrezione e senza riguardi". "Neppure era infrequente il caso che svelassero segreti di Stato o raccontassero fatti privatissimi con una spregiudicatezza ignota ai tempi attuali". Bolle ed ordinanze proibirono la diffusione di queste "Notizie scritte" ed ai compratori, scoperti, spettava la forca. (Morale = Nessun insegnamento morale educa, meglio del palo, alla rettitudine.).
[6] ) Giordano Bruno il 9 febbraio del 1600 fu portato da Tordinona a Campo di Fiori per essere bruciato.
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