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L’ipotesi che si trovasse sopra un mercato della carne (Macellum magnum) sembra essere stata definitivamente scartata. Come in altre caserme dell’epoca (Ostia) nella caserma stessa erano collocati un certo numero di spazi di culto, e, nel caso specifico, come risulta dagli scavi archoelogici, uno dedicato a “Iuppiter Redux” ed un “mitreo” di notevole fattura artistica (chiuso al pubblico). L’idea della costruzione di una chiesa, in onore del protomartire Stefano, prese forma dal ritrovamento delle sue spoglie, in terra santa nel 415, al tempo dell’imperatore Onorio (395-423) e di papa Innocenzo I (401-417). Le spoglie del protomartire, lapidato per ordine del Sinedrio, in Gerusalemme, nel 36 d.Ch., furono trasportate in numerose località, in Europa, tanto da giustificare il sospetto che una buona parte siano false. Considerando i risultati archeologici di datazione dei materiali della chiesa (travi del tetto del 455 d.Ch.), è possibile che l’iniziatore dell’impresa, sul Celio, sia stato papa Leone Magno (440-61), ma il “liber pontificalis” attribuisce l´opera a papa Simplicio (468-483), che probabilmente la portò a termine. Il primo documento sinodale, che ne comprova l’esistenza, è del 499, dove è citata come “Sancti Stephani a Coelio Monte”, avente un solo sacerdote. La chiesa era officiata dai canonici della basilica lateranense che vi rimasero fino al 1540. La chiesa, costruita interamente con materiale di spoglio (ciò che esclude qualsiasi ipotesi di riimpiego di un edificio preesistente) era di forma di circolare (la prima a Roma), formata da tre cerchi concentrici, rispettivamente di 22 m, 42 m e 66 m di diametro. Nel cerchio più interno era posto l’altare maggiore ed il tamburo centrale, sovrastante, era sorretto da 22 colonne di stile ionico. A ridosso del muro esterno, erano poste quattro cappelle a croce greca, della profondità della navata più esterna ed erano aperti otto ingressi, posti nello spazio tra due cappelle, che furono murati, in gran parte, già nel VI secolo. Secondo un’epigrafe ormai perduta, la chiesa fu restaurata da papa Giovanni I (523-526) e quindi da papa Felice IV (526-530), con mosaici e marmi e, nel cerchio più interno, fu creata una tribuna per la “schola cantorum” e per la cattedra vescovile [costituita da un sedile, di epoca imperiale, che ora si trova a destra dell´ingresso, privo (XIII sec.) di spalliera e di braccioli]. La cappella dei SS Primo e Feliciano, quale la possiamo ammirare oggi, fu creata da Teodoro I (642‐649), che vi fece trasportare le reliquie dei due martiri, dalla via Nomentana, e vi seppellì suo padre, vescovo di Gerusalemme. Papa Adriano I (772‐795) fece sopraelevare la parte presbiteriale centrale. Tre secoli dopo, la navata più esterna era rimasta senza tetto, comprese le cappelle periferiche, ad eccezione di quella di Teodoro I. Papa Innocenzo II (1130-1143) intervenne (1139-1143) con una ristrutturazione importante che escluse la navata esterna e le tre cappelle periferiche, oramai andata perse, facendo costruire un muro perimetrale all’altezza della seconda navata e costruendo un atrio d´ingresso ed un monastero adiacente, che troviamo ancora oggi. Per la copertura della parte centrale, fu necessario ridurne l’ampiezza con un muro diametrale, sorretto dal cilindro (per irrobustire il cilindro furono chiuse 14 finestra su 22) e da due nuove colonne intermedie. Agli inizi del XV secolo, la chiesa era, di nuovo, in stato di abbandono, tanto che in uno scritto dell’umanista Flavio Biondo (1392-1463) si parla dei mosaici e dei marmi in una chiesa senza tetto. Niccolò V (Tommaso Parentucelli – 1447-1455) la fece ripristinare (1453) ad opera di Bernardo Rossellino (1409-1464), che restaurò la chiesa e in special modo ne protesse il muro perimetrale, ma eliminò coscienziosamente i rivestimenti medievali ed anche numerose epigrafi antiche. Nel 1541 la chiesa fu concessa all’Ordine di San Paolo, dei monaci ungheresi che sostituirono i canonici lateranenzi. L’invasione dell’Ungheria da parte dell’impero Ottomano (1541-1649) e la conseguente drastica riduzione dei seminaristi paolini, portò alla fusione (1580) del Collegio Ungarico con quello Germanico, sotto la tutela dei padri gesuiti. Durante il processo di fusione, ospite della chiesa e del convento fu l’Ordine Agostiniano, con una “fronda” riformatrice, in provenienza da S. Maria del Popolo, poi sistemata presso la chiesa di S. Paolo alla Regola ed, in fine in quella di San Nicola da Tolentino, dove fondarono il loro seminario. L’Ordine dei Gesuiti, come Collegio Germanico-Ungarico per la formazione dei preti secolari, gli subentrò, appena compiuta la fusione, nel 1580. Nel 1582, i Gesuiti fecero eseguire, a Niccolò Circignani, detto il Pomarancio (1530-1590), e ad Antonio Tempesta (1555-1630), un ciclo di immagini, sulla parete circolare interna, rappresentanti i vari tipi di tortura subita dai martiri, al fine di informarne i padri seminaristi, destinati a terre da evangelizzare. Per compensare la demolizione (1778) della chiesa nazionale ungherese di Santo Stefano (VIII sec.), che fece posto alla sacrestia vaticana, Pio VI (Giovanni Angelo Braschi – 1775-1799) donò agli Ungheresi la chiesa di S. Stefano Rotondo, facendovi costruire una cappella dedicata a Santo Stefano re d´Ungheria (969-1038). Nel 1802, fu, di nuovo, restaurata, ma durante il XIX secolo, le infiltrazioni d’acqua provocarono il distacco degli affreschi perimetrali che furono restaurati qui e là, senza particolare riguardo. Nel 1880, le suore Carmelitane, allontanate dalla chiesa di S. Teresa alle Quattro Fontane, per la costruzione del Ministero della Difesa, furono ospitate nel monastero attiguo, che oggi, dal 1954, è occupato dalla casa generalizia delle Suore missionarie del Sacro Costato.
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