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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via di SanVito (R. XV – Esquilino) (da via Merulana a via Carlo Alberto)

La via ha preso il nome dalla chiesa omonima cui si appoggia l'arco di Galieno (254-268), già porta Esquilina nella zona degli horti [1] e della villa Caserta [2].

La Porta Esquilina prendeva il nome della quinta regione augustea [3] così chiamata, secondo alcuni, dalle “Excubiae[4] che vigilavano il colle per difenderlo dalle insidie che il re dei Sabini, Tito Tazio, tramava contro la città quadrata.

Altri lo attribuiscono invece agli Ischi (Aesculi=Ippocastani) che in quel tempo ricoprivano il colle.

Delle quattro punte dell’Esquilino: Oppius, Fagutal, Carinae e Cispius, la porta occupava quest'ultima.

Pure sul Cispio, dai tempi più remoti, era sacro a Giunone Lucina un buco dal quale credevasi uscita la voce che prescrisse alle donne sterili di offrire la palma della mano ai colpi dei luperci per divenire feconde. Ivi, più tardi, fu dalle matrone dedicato un tempio dove cominciò a celebrarsi il sacrificio del 1º marzo, le Matronali.

Dalla porta Esquilina partivano la via Labicana e la Prenestina [5] che, nel recinto Aureliano, furono portate sotto i due archi del monumento dell'Acqua Claudia (Porta Maggiore). La Labicana per Labico (Monte Compatri) a destra, e la Prenestina per Preneste (Palestrina) a sinistra.

Nel 262 d.Ch., Marco Aurelio Vittore, dov’era la porta, costruì, in onore dell'imperatore Publio Licino Galieno (254-268) e di sua moglie Salonina, un arco, del quale sono scomparsi i due fornici minori [6].
Sul colmo dell’arco “...a quel pezzo di catena, che vedesi pendente nel mezzo di quest'arco, erano appese le chiavi dell'antico Tuscolo, in memoria della vittoria che contro di essa Città ottennero i Romani nel 1191” (Notizie 1816) .
Le chiavi, che vi rimasero fino al 1825, hanno avuto altre attribuzioni e cioè Tivoli e Viterbo  [7].

Posta accanto all’arco di Galieno, la chiesa di San Vito, Modesto e Crescenzia, antichissima chiesa, che fin dal secolo IX fu chiamata "in Macello", dal prossimo “macellum Liviae[8].

Eretta, sembra, fin dal IV secolo fu restaurata da Stefano III (752-754) ma, diruta per l'abbandono e dal tempo, fu di nuovo eretta nel 1477 da Sisto IV (Francesco Della Rovere - 1471-1484).

Quasi rovinata nel 1566 restò, pur semi abbandonata, titolo cardinalizio (il titolo rimonterebbe a Gregorio Magno 590-604) finché nel 1620 non fu riparata dal duca di Paliano, Federico Colonna (1601-1641) [9].

La chiesa fino al 1900 aveva l'entrata dov'è adesso l’abside, e la pietra che si vede ora a sinistra, entrando, coperta da una grata di ferro(?) si chiama “scellerata” perché qui trasferita dal vicolo omonimo [10], dove si vuole, fossero stati uccisi molti martiri.

In concorrenza con Stefano IV (768-772), fu eletto nella chiesa, per un giorno solo (31 luglio 768), l'antipapa Filippo, prete del monastero di S. Vito in Campo (dal “Campus Esquilinus”) detto il monastero maggiore, la cui origine rimonterebbe al papa Ilario (461-468).

Altre due chiese, presso San Vito, erano Santa Scolastica della quale è notizia fin dal 977 [11], e Sant’Andrea delle Fratte [12] riedificata nel XIII secolo.

____________________

[1]              Nel III sec. d.Ch. dal Celio all'Esquilino si formò una vasta zona di fertili piantagioni alla quale hanno concorso, con gli antichi orti di Mecenate, quelli posteriori dei Lamia, dei Laterani insieme agli horti di Gallieno, Vario e Pallante.

[2]              Ivi la chiesa di Santa Alfonso de´ Liguori, costruita nel 1855. Ivi si venera l'immagine "Mater de Perpetuo Succursu” che stava a S. Matteo in Merulana, le cui origini risalgono al secolo IV. Aveva annesso “l'hospitale dei malati della famiglia del Papa, quando i Pontefici abitavano in San Giovanni". Fu titolo trasferito poi a Santo Stefano. Vi fu trucidato Sergio, figlio di Cristoforo, capo della fazione franca, che Adriano I (772-795) fece tumulare in S. Pietro. La chiesa di S. Matteo fu distrutta al principio del XIX secolo.

[3]              La terza serviana.

[4]              Posti di guardia.

[5]              Dalla porta Esquilina partivano a raggiera tre grandi strade: la via Tiburtina vetus, già Gabina, che si dirigeva verso la porta omonima, la via Prenestina verso porta Maggiore, ove si divideva in due con la via Labicana e la via Merulana, che seguendo un tracciato da nord a sud, giungeva fino al Laterano e alle pendici settentrionali del Celio. Una quarta via, della quale ignoriamo il nome, è oggi rappresentata dalla moderna via Labicana, dal viale Manzoni e dalla via Statilia, avendo anch'essa come meta porta Maggiore. Strada certo posteriore alla cinta serviana, non avendo una porta particolare di uscita. All'angolo di via Statilia con Piazza Santa Croce in Gerusalemme furono scoperti cinque sepolcri, tutti allineati e a contatto fra loro altri se ne rinvennero lungo la strada e così pure nella prossima via Conte Verde. (Nell’area a destra della Labicana fra via Principe Eugenio, Conte Verde e Bixio la stazione della II cohors Vigilum).

[6]              Furono abbattuti nel 1447 da Sisto IV (Francesco Della Rovere - 1471-1484).

[7]              I Viterbesi mossero contro i Romani, il 6 gennaio 1201. Nell’ora dell’attacco viterbese il Papa, dopo aver solennemente celebrato la messa in San Pietro, stava esortando il popolo a pregar pel trionfo de’ loro fratelli uniti in guerra ed i nemici andarono in rotta; parecchi ne furono uccisi, altri rimasero sul campo di battaglia feriti, e moltissimi fatti prigioni. I Romani entrarono nella sera stessa in Viterbo, e nella mattina seguente, com´era uso, tolsero la catena di porta Salsiccia, che posero all’arco di San Vito, e la campana del comune, e la collocarono in Campidoglio ad eterna ricordanza di questa vittoria. (Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica – compilazione del cavaliere Gaetano Moroni romano – Vol. CI – pag.302   – 1860)

[8]              Nel « forum Esquilinum », centro della regione situato parte dentro e parte fuori delle mura Serviane v'era questo grande mercato, prossimo alla porta Esquilina, anzi “intrans sub arcum (Galieni) ubi dicitur macellum Livianum”, che fu edificato da Augusto e dedicato alla moglie. Restaurato fra il 364 e il 378, lasciò nel medioevo l'attributo “in macello” o “iuxta macellum”, a S. Vito e a Santa Maria Maggiore.

[9]          Il principe Federico Colonna, morso da un cane arrabbiato, chiese a San Vito la grazia per la sua guarigione e, ottenutala, fece  restaurare la chiesa, oramai fatiscente, per riconoscenza.
All’interno della chiesa si può ancora leggere la seguente lapide

FEDERICUS COLUMNA
PALIANI PRINCEPS
A RABIDO CANE ADMORSUS
B. VITO LIBERATORI SUO
AEDEM RESTAURAVIT
A. D. MDCXX

[10]              Vedi "via San Francesco di Paola" – Monti.

[11]            Il titolo completo era “SS. Benedetto e Scolastica in Massa Juliana” ma fu anche chiamato “Santa Scolastica super Suburra”. “Nella pianta di Roma dal IV secolo al XV secolo, ricostruita da Cristiano Hulsen nel 1926, tra la Chiesa di S. Prassede e quella di S. Vito”. (da Roma, Le Chiese scomparse di Ferruccio Lombardi - Fratelli Palombi Editori - 1996)

[12]            Santa Andrea de Fractis monastero forse succeduto a Santa Andrea in Massa Juliana fondato nel 1270, forse al posto della moderna Concezione. “Il complesso, fondato nel 1270 dal cardinale Ottobono e affidato a Monache Domenicane, sorse nell’area compresa tra la Basilica Liberiana e la Chiesa di San Vito, come anche indicato nella  pianta di Roma dal IV secolo al XV secolo, ricostruita da Cristiano Hulsen nel 1926.” (da Roma, Le Chiese scomparse di Ferruccio Lombardi - Fratelli Palombi Editori - 1996)

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Lapidi, Edicole e Chiese:

- Via di San Vito

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