Piazza e via di Porta S. Lorenzo (R. XV – Esquilino) (vi convergono: via di Santa Bibiana, via di Porta San Lorenzo, via Tiburtina, via di Porta Labicana)
Sulla destra della via, subito prima di piazza Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590), la Porta Tiburtina [1], fatta edificare, nel 403, da Arcadio e Onorio, si chiamò Taurina dalle teste di toro che l’ornano (bucrani) e Tiburtina per la strada che porta a Tibur (Tivoli), strada che prima, nelle mura serviane, usciva dall’Esquilina [2].
Il restauro di Arcadio (377-408) e Onorio (384-423), ricordato dall'iscrizione che si legge sul fronte esterno della porta, dice che la costruzione avvenne: “egestis immensis ruderibus” (asportazione di ruderi immensi).
Sull'arco della porta è appoggiato l'acquedotto augusteo dell'Acqua Marcia, Tepula e Giulia, restaurato da Tito nel 79 e poi da Caracalla (212-213) come è ricordato dalla lapide che vi è posta. “Aquam marciam variis kasibus impeditam purgato fonte excis et perforatis montibus restituta forma adquisito etiam fonte novo antoniniano in sacram urbem suam perducendam curavit”.(L’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Pio Felice Augusto, Partico Massimo, Britannico Massimo, pontefice massimo, condusse nella sua sacra città l’acquedotto Marcio, bloccato da diversi incidenti, dopo aver ripulito la sorgente, tagliato e perforato le montagne, restaurato il tracciato e dopo aver anche messo a disposizione la nuova sorgente Antoniniana).
Il nome di Flavio Macrobio Longiniano, prefetto di Roma nel 403, che è inciso sopra l'arco, fa pensare che egli s’occupasse della costruzione della porta.
Nella torre di destra armi di Paolo III (Alessandro Farnese - 1534-1550) e Paolo IV (Gian Pietro Carafa - 1555-1559), da cardinali, e in quella quadrata di sinistra lo stemma di Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590).
Il 20 novembre 1347, presso la Porta Tiburtina, furono uccisi dai Romani Giovanni, Pietro e Stefano Colonna, che volevano violare, in armi, l’autonomia comunale e le mura di Roma. Furono sepolti poi in Aracoeli.
Una tradizione dice che le due teste taurine, poste sulla chiave esterna ed interna dell'arco della porta, l’una carnosa e l'altra scarnita, significhino che i forestieri arrivano poveri e ripartono ricchi. (Roma “che spiani le crespe della panza - a chiunque ricorre da te”)
A destra della porta, che ha adesso l'arco al livello della strada moderna, seguendo un altro tratto di mura, ridotto da Sisto V ad uso di acquedotto dell'Acqua Felice, dopo alcune torri, si vede la traccia di una porta chiusa, che il Nibby crede essere stata la Collatina.
Nell'VIII secolo la porta fu chiamata di S. Lorenzo dalla basilica omonima, della quale dice il Liber Pontificalis; “Eodem tempore fecit (Costantine) basilicam sancto Laurentio martyri; via Tiburtina in agrum Veranum supra arenario cryptae... In quo loco construxit absidam et exornavit marmoribus purphyreticis”
Fu costruita in modo che il pavimento della basilica corrispondesse al piano delle gallerie cimiteriali, di qui il dislivello che esiste sotto il presbiterio (Basilica ad corpus).
Sisto III (432-440) “Fecit autem basilicam sancto Laurentio, quod Valentinianus Augustus concessit, ubi et optulit dona”. Anche una casa per l'abitazione gratuita dei poveri vi fu costruita da Sisto III (432-440) che: “Item ad beatum Petrum, et ad beatum Paulum apostolos, et ad Sanctum Laurentium pauperibus habitacula construxit”.
Questa basilica chiamata major del sud [3] fu poi riunita ed incorporata alla prima, che divenne l’aula maggiore, mentre il nartece fu nel XIX secolo trasformato in cappella sepolcrale di Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti - 1846-1878).
Attorno alla basilica costantiniana si aggrupparono a Roma col tempo molti oratori ed edifici minori, cui erano annessi monasteri e case d'abitazione, tanto da formare, come a S. Pietro e a S. Paolo, un piccolo borgo che fu protetto dalle incursioni da un muro di cinta, probabilmente turrito.
Di questo, esistevano ancora vestigia sotto Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644): “Basilicam olim totam muro ad instar castri circumdatam fuisse, argumento sunt equidem muri reliquiae, quarum pars magna, viam tiburtinam attingens adhuc superest”.
Rinnovata da Pelagio II (579-590) che: “fecit supra corpus beati Laurenti martyris [4] basilicam a fundamento constructam et tabulis argenteis exornavit sepulcrum eius” [5].
Il Pontefice “demovit tenebras” della Basilica alzando le pareti e sollevandone il tetto cosicché: “his quondam latebris sic modo fulgor inest”. Prolungò la navata aggiungendo due colonne ed ornò di mosaico l'abside e l'arco trionfale.
Provvide anche a demolire la collina dirupata sovrastante la basilica, che minacciava di schiacciarla: “Eruta Planicies Patuit Sub Monte Recisa – Estque Remota Gravi Mole Ruina Minax”. Nell'iscrizione, elencati i lavori, si accenna agli assedi e alle continue rappresaglie dei Longobardi e conclude: “Tu Modo Sanctorum Cui Crescere Constat Honoris – Fac sub Pace Coli Tecta Dicata Tibi”.
Fino al XIII secolo le due basiliche restarono separate.
Onorio III (Cencio Savelli - 1216-1227), nel 1218, le riunì distruggendo le absidi e facendo della Basilica Costantiniana la confessione di quella di Sisto III. Fu terminata sotto Alessandro IV (Rinaldo di Jenne - 1254-1261) [6].
Un lungo e grandioso portico congiungeva San Lorenzo con la porta omonima. Di questo portico è notizia al principio del VII secolo, come pure risulta che gli accessi dalla Basilica al cimitero di Ciriaca erano ancora aperti: “a tergo altaris (S.Ciriacae) loca conspiciuntur in modum cryptarum quae ut coniicitur sunt ex coemeterio praedicto, ideoque illorum aditus sunt cancellis recludendi”.
Nel cimitero, sulla tomba mai spostata del martire, v’era un’iscrizione damasiana, oggi perduta che diceva: "Verbera carnifices, flammas, tormenta, catenas vincere Laurenti sola fides potuit. Haec Damasus cumulat supplex altaria donis martyris egregii suspiciens meritum".
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[1] La porta Tiburtina delle mura aureliane fu impostata su un’arco di Augusto che permetteva il passaggio, sopra la via, di tre acquedotti (Marcia, Iulia e Tepula). Le modifiche alla porta aureliana furono operate da Stilicone (359-408) in nome dell’imperatore d’Occidente Onorio.
[2] Dalla porta Esquilina partivano a raggiera tre grandi strade: la via Tiburtina vetus, già Gabina, che si dirigeva verso la porta omonima, la via Prenestina verso porta Maggiore, ove si divideva in due con la via Labicana e la via Merulana, che seguendo un tracciato da nord a sud, giungeva fino al Laterano e alle pendici settentrionali del Celio. Una quarta via, della quale ignoriamo il nome e che ha anch'essa come meta porta Maggiore, è oggi rappresentata dalle moderne via Labicana, dal viale Manzoni e dalla via Statilia. Strada certo posteriore alla cinta serviana, non avendo una porta particolare di uscita. All’angolo di via Statilia con Piazza Santa Croce in Gerusalemme furono scoperti cinque sepolcri, tutti allineati e a contatto fra loro, altri se ne rinvennero lungo la strada e così pure nella prossima via Conte Verde. (Nell’area a destra della Labicana fra via Principe Eugenio, Conte Verde e Bixio la stazione della II cohors Vigilum).
[3] “Basilica sanctae Dei Genetricis iuxta basilicam S.Laurentii”.
[4] Vi si conservano anche i resti dei martiri S. Stefano e S. Giustino. Di Santo Stefano forse qualche parte perché il corpo è a Venezia nella chiesa di San Giorgio Maggiore. Le reliquie di Santo Stefano vi furono portate nel 1709 da pellegrini reduci da Costantinopoli e da allora, ogni anno, il giorno successivo al Natale, il Doge si recava ad onorare quelle reliquie con un cerimoniale di una fastosità immensa. L'isola di San Giorgio preesistente, probabilmente, alla stessa Venezia e la prima chiesa a S. Giorgio, risale all'anno 790, mentre il documento dogale il più antico si riferisce alla donazione fattane ai Benedettini. Il primo monastero è del 982, ma incendi, terremoti, crolli e vetustà ne ebbero più volte ragione; sempre però ricostruito ed abbellito. Dal 1700 la Chiesa ebbe per eponimo anche Santo Stefano e, fino all'inizio del XV secolo, tutta la parte monumentale dell'isola ebbe strutture gotiche. Nel 1443 vi restò prigioniero Cosimo dei Medici con Michelozzo Michelozzi che vi portò il gusto rinascimentale che intonò alla riedificazione dell'isola. Circa la metà del 500 fu il Palladio (1808-80) a rifare il Cenobio e la chiesa quale oggi la vediamo. Nell’800 vi fu tenuto il conclave per l'elezione di Pio VII (dal 30 novembre 1799, al 14 marzo 1807) e, sei anni dopo, i Benedettini furono sloggiati dai Francesi che misero tutto a soqquadro asportando una cena del Veronese che, per rinunzia del Canova, è rimasta a Parigi. Con la caduta della Repubblica di Venezia (24 agosto 1849), l'isola alloggiò caserme, depositi di armi austriache e poi italiane. Trasformata in porto franco ebbe baracche, tettoie, casupole e le immense sale furono divise per averne piccoli ambienti. Nel 1951 con la cessione per 25 anni alla Fondazione Cini, l'isola sta riprendendo l'antico splendore.
[5] Vi si conserva pure la pietra col segno delle piaghe di S. Lorenzo, dispostovi appena tolto dalla graticola del martirio. Quest'ultima è a S. Lorenzo in Lucina (Vedi Piazza e Via di S. Lorenzo - Colonna).
[6] Solo dal 1873 si incominciò il seppellimento dei cadaveri nei terreni presso la basilica di San Lorenzo, lungo la via Tiburtina (Verano), per quanto il cimitero fu cominciato a costruire sotto l'impero di Napoleone, compiuto in parte sotto l'impero e benedetto giovedì 3 settembre 1835.
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