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SECCO FIORE
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T´ha dispiumato, spietata, la vita, etèreo flabello d´una canna, irridendo i tuoi sogni e t´ha rapita, al suono di una falsa ninna nanna.
T´ha scortato, la morte, alla sua valle, per macellarti, trepidante agnello, coprendoti, sollecita, le spalle, offrendoti un sudario per mantello.
Io, per serbare intatto il mio dolore, ho piantato, caparbio, un secco fiore, rubato al vecchio libro dei ricordi, nell´angolo più tenero del
cuore.
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Quindi, irrefrenabilmente, come bolle d´aria trattenute forzosamente sott´acqua e poi rilasciate, esplodono in superficie, si materializzano: diventano poesia.
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TU MI PARLI DEL PARADISO
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Tu mi parli di Paradiso, ma io sono solo, contro la vita, come un cucciolo gettato sull´autostrada, come un bimbo, piangente e
smarrito, tra i mille volti spiritati, d´un carnevale forsennato e ossessivo
Tu parli del Paradiso, su questa terra che non ha pietà, dove il sangue del genocidio marchia d´infamia la nostra età.
Non parlarmi del paradiso, finché vivo per cogliere l´angoscia d´una lacrima o il lampo d´un sorriso.
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Non ho mai creduto alla universalità del messaggio poetico, nè la mia ambizione può anelare a tanto: considero pertanto questo episodio della mia vita solo come un momento di rigorosa
meditazione e di conflittualità interiore.
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COMPAGNI MUTI
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Solitudine gremita di fissi volti affiochiti.
Cari volti, amici d´un tempo remoto e lavato.
Compagni muti che affollate vuote giornate di solitudine grata.
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Scrivo poesie da venticinque anni: venticinque anni di severa introspettiva, nonostante la refrattarietà all´autocommiserazione e le ineluttabili contraddizioni comportamentali.
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A MIO PADRE
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Padre, anziano e mai vecchio, padre, fiero e mai domo, che vale cincischiare all´infinito l´annoso cartiglio della commedia? Scorre,
la vita, come un ruscello in tortuosi meandri montani e la sua quiete diventa, a valle, la sua fine.
Guizzano, lesti, i fremiti nelle verdi acque dei tuoi occhi che, muti, s´accendono della vita che fu, mentre le dita adunche del tempo
crudo scavano, sul volto tuo solenne, copiose le rughe di dolore.
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Ora ho deciso di schiudere, seppure con imbarazzo, una parte non secondaria del mio io, per sottrarla ad una inespressa desolazione.
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ERO ANCORA UN BAMBINO...
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Ero ancora un bambino, ero solo un piccolo bimbo, ma già la guerra, la perfida guerra aveva distrutto il mio mondo di
cioccolata... i miei sogni di cioccolata...
Era tutto troppo bello, troppo bello quello che giaceva, a pezzi, ai miei piedi, quello che ancora oggi, da allora, giace, a pezzi, ai
miei piedi.
M´hanno ucciso un futuro di cioccolata così come hanno ucciso i ragazzi, nei deserti e sui monti e sopra e sotto i mari, uccidendo il loro
futuro ch´era, forse, più dolce del mio.
Hanno ucciso, hanno ucciso... ucciso... Era tutto troppo bello, quello che ancora oggi, da allora, giace, a pezzi, ai miei piedi.
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Pensare costa fatica, ma pensare da poeta può essere l´epilogo d´un cammino, spirituale ed intellettuale, tormentato e gravoso.
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LA MONGOLFIERA
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Sole sole, Una cicala sega l´afa ferma destate.
Vorrei agguantare quattro lembi di questo cielo, poi fletterli e annodarli e sulla mongolfiera del silenzio assolato dondolare
sospeso sul giardino dei sogni.
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Queste mie poesie vogliono essere una proiezione all´esterno, l´atto liberatorio d´una vita pensante che svèlle, finalmente, le gabbie dell´abitudine e del conformismo e volta le
spalle al realismo glaciale della quotidianità. Una necessità espressiva e magica.
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ERA L´EPOCA
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Com´erano giovani, i miei genitori, in quelle foto sbiadite del dopoguerra, a Venezia, tra i colombi di piazza san Marco, i
petulanti bisnonni dei colombi d´oggi.
Era l´epoca dei Borsalino, degli ampi doppio petto, con gli enormi pantaloni afflosciati, alla Clarke Gable, mi pare;
era l´epoca dell´odore di vaniglia e di mele cotogne, dei biscotti appena sfornati a forma di esse maiuscola, dei cestini colmi di
uova sode e colorate di rosso, che annunciavano la Pasqua;
era l´epoca del boschetto di pini e roverelle, quello sotto casa, quello che, allora, mi sembrava una tundra spettrale...
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