Dal diario di Don Giuseppe Canovai: Oggi per la prima volta in vita mia ho visto la morte. E la morte per di più di una persona a me ben cara, e a chi non cara di quanti la conobbero? Ieri sera eravamo a cena, anzi avevamo finito, e leggevo a mio padre alcuni capitoli della vita di S. Francesco, ad un tratto udii nella strada il rumore di un automobile...capii subito, dopo istante fui fuori, nel buio della notte, per la straduccia davanti a casa un'automobile manovrava per rivolgere la macchina, mi fermai un istante al cancello guardai ... poi il contadino di mio zio mi venne avanti "Sa il Commendatore" conchiusi la sua frase con un gesto disperato. Dopo pochi minuti l'automobile ci portava agli Squarciarelli su per la strada bianca di polvere degli Squarciarelli si vedeva in fondo la villetta al raggio di luna con una sola finestra illuminata. Scendemmo e sotto la pergolatina le mie previsioni furono purtroppo confermate. Fu la prima volta che vidi gli occhi di mio padre rossi di pianto e qual dolore più grande che veder piangere i genitori? Quale più grande? Forse nemmeno il perderli. Salimmo la scaletta e rividi il volto del mio povero zio per l'ultimo ultima volta. Posso forse dire l'impressione che mi fece il vederlo? Restai scosso? Tremai? Non so ancora stamani dopo appena poche ore ho la mente stravolta e i sensi offuscati al pensiero. Non scorsi cambiamento in lui, era tale e quale lo avevo veduto pochi giorni prima, l'ultima volta che lo andai a trovare dopo il viaggio di Assisi. M'inginocchiai al suo letto, baciai le sue mani e nella sua camera recitai il Rosario e pregai con fede. Come non si può pregare con fede davanti ad un morto? Il mio povero zio non è, lo so: ma allora sentii che è vero che è santamente vero che a questo corpo è unita un'anima che sopravvive alla morte. No, egli non è tutto distrutto, il suo spirito è nel luogo dei giusti che merita per il lavoro incessante, per la coscienza che tenne sempre alta e netta, per la fede dei padri che, contro ogni dubbio, mantenne prezioso retaggio nel cuore. In quell'istante in cui entrai per la prima volta nella stanza di morte di mio zio posso dire di essere divenuto uomo di aver capito in un istante cos'è la vita. La sua infinita nullità la sua piccolezza. Dopo tanto lavoro, dopo tante speranze, ora che raggiungeva il culmine cui da tanto mirava, se lo toglie la morte. E a che allora tutto questo? E perché affannarsi al raggiungere la vetta con proprie forze senza chinare la coscienza ad alcun servaggio? O certo al di là della cerchia che comprendere non può l'umana comprensione, v'ha premio alla virtù e castigo al delitto. Da tanto tempo egli enormemente soffriva nel corpo, stancato dalla lenta e penosa malattia, nello spirito, costretto all'inazione ed all'ozio, abituato com'era a continue attività e perenne lavoro. Perciò quasi un senso d'invidia ho per lui che può giustamente dire "bonum praelium praeliavi" ed aver trascorso la vita senza cadere, andando dritto alla meta e salda tenendo la propria coscienza. Oggi egli non è più e non so se delle sostanze da lui con oneste fatiche radunate qualcosa me ne venga a me quale eredità, certo che una me ne lascia assai superiore assai più preziosa del denaro e di qualunque ricchezza: l'esempio di una vita intemerata di una coscienza onesta, di una ferrea volontà, la sua bara è per me un’ara, un tacito ammonimento, un fulgido esempio, un programma di vita al quale mi dedicherò con tutte le forza e che egli dal cielo degnerà benedire incoraggiare e sostenere nelle difficoltà».
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