p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1
p1

STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via delle Quattro Fontane [1] (R. II - Trevi; R. I Monti; XVIII - Castro Pretorio) (da Piazza Barberini  a via Nazionale)

È una delle cinque strade costruite da Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) che irradiava da Santa Maria Maggiore ed ha, ai due termini estremi, due obelischi, quello della Trinità dei Monti e quello dell’Esquilino. La strada che è oggi divisa in tre settori: via Agostino de Pretis [2], via Quattro Fontane e via Sistina, si chiamava allora, dal nome del pontefice, “via Felice”..

Tutta la zona attraversata dalla nuova strada, era sistemata di vigne, orti e giardini.
Il primo palazzo costruito, fu quello dei Mattei, al quadrivio con via XX settembre.

Muzio Mattei, per compiacere Sisto V, su disegno di Domenico Fontana fece alzare l’edificio, che fu poi compiuto dal cardinale Francesco Nerli.
Appartenne anche ai Massimi, ed agli Albani [2bis] che l’ampliarono con disegni di Alessandro Specchi (XVIII sec.).

Il cardinale Alessandro Albani decorò il cortile, le case, e gli appartamenti con molte antichità fra le quali gli stupendi intarsi marmorei (opus sectile marmoreum) che stavano nella chiesa di Santa Andrea Catabarbara Patricia, prossima a quella di Sant’Antonio in via Carlo Alberto.
Gli intarsi provenivano dalla basilica eretta (317) da Giunio Basso [3], trasformata dal Papa Simplicio (468-483) e dedicata a Sant’Andrea.

Ricca di pregevoli mosaici, questi andarono in gran parte distrutti dai monaci antoniani francesi, del vicino ospedale di Sant’Antonio, i quali avevano trovato, che il bitume che sosteneva i mosaici poteva essere trasformato in pillole curative.
La chiesa, che andò distrutta nel 1686, sarebbe stata così chiamata dal patrizio Valila che vi preabitava, “cata (ad) barbarum patritium”; altri, più semplicemente, la derivano da una “Barbara Patritia”.

Il cardinale Alessandro Albani fondò [4] nel palazzo una famosissima biblioteca alla quale concorsero quella del cardinale Nerli, del cardinale Rasponi, di Cassiano del Pozzo, cui si era aggiunta la biblioteca dell’Accademia dei Lincei.
La biblioteca Albani andò in gran parte dispersa nel 1798 ma fu molto reintegrata da Don Carlo e dal cardinale Giuseppe Albani.

Interessante, nel cortile più piccolo, per la rappresentazione di insegne militari, un bassorilievo dedicato da un Vullanius a Pompeo Odimeto generale di Traiano (98-117).

Ultima acquirente fu Maria Cristina, regina vedova di Ferdinando VII di Spagna (1808-33), e da lei passò al suo genero principe Del Drago.

All’angolo del palazzo la fontana dell’Arno (o dell'Aniene), che insieme a quella del Tevere e della Fedeltà, poste negli altri due angoli del quadrivio, furono disegnate dal Fontana (1587), mentre quella della Fortezza nel 4° angolo è attribuita a Pietro Berrettini da Cortona (1556-1569).[5]

Dal centro del detto quadrivio si scorgono tre obelischi: quello sul Quirinale e l’altro sull’Esquilino che ornavano l’ingresso del mausoleo di Augusto ed un terzo alla Trinità  dei  Monti, imitazione romana d’epoca imperiale, che con geroglifici e immagini    faraoniche   di   Seti   (14 sec. a.C.)  e   di   Ramesse    il   Grande    (14-13 sec. a.C.), riproduce malamente un antico obelisco.

All’angolo opposto del palazzo, ora Del Drago, c’è il fianco della chiesa di San Carlo o San Carlino alle Quattro Fontane [6] (vedi piazza e via del Quirinale - Trevi) .

I Trinitari Scalzi di Spagna la fabbricarono, insieme al convento, nel 1640 abbattendo tre case ivi esistenti e da loro acquistate per 4711 scudi.
Architettura del Borromini [7], si dice abbia la stessa circonferenza di uno dei piloni che sostengono la cupola della basilica di S. Pietro in Vaticano.

Altra chiesa, quasi di fronte all’attuale teatro delle Quattro Fontane, era quella di S. Dionisio [8], edificata nel 1619 dai frati Scalzi francesi della Santissima Trinità del Riscatto [9]. Aveva un orto chiamato “orto del Greco”, dove, si dice, la prima volta in Roma, sotto Clemente VIII (1592-1605), fosse coltivata la pianta del sedano, importata da un greco di Scio [10], forse per conto del cardinale Luigi Cornaro (1517-1584), pronipote della regina di Cipro e nel 1576 “fece venire i primi selleri in Roma; gli faceva fare nel suo palazzo vicino alla fontana di Trevi" (palazzo della Stamperia acquistato ai Cornaro da Clemente XII nel 1738 per adibirlo a sede della Calcografia Camerale). "Per regalo grande, ne mandava  un  paro al  Papa e uno alli Cardinali e Principi.”.

Il palazzo dei Barberini si trova a destra di chi scende verso la Piazza omonima. Originariamente Tafani, avevano sullo stemma tre vespe. Arricchitisi col commercio in Ancona trasformarono le vespe in api ed il cognome in Barberini, da un castello posseduto in Val d’Elsa (Siena) dov’è la casa di Francesco Barberini, poeta contemporaneo di Dante (1265-1321).
La fortuna della famiglia fu Maffeo (Urbano VIII), che cardinale e poi papa (il Papa che consacrò la chiesa di S. Pietro il 18 novembre 1626, 1300 anni dopo che Papa Silvestro aveva consacrata quella costantiniana) portò la famiglia [11] alla ricchezza ed al fastigio principesco.

Disse Pasquino:

“Urbano VIII, celebre sarà fra gli altri papi
perché pascé male il gregge, ma nutrì bene le api”.

Infatti i Barberini avevano potuto in pochi anni possedere 105 milioni: trarre dalla Camera Apostolica quaranta milioni d’oro, pure indebitandola per otto: assicurarsi rendite annue ecclesiastiche e laicali per 400.000 scudi.

Urbano VIII  (Maffeo Barberini - 1623-1644) per creare una reggia alla sua famiglia, fece acquistare dal nipote Francesco, cardinale camerlengo, l’abitazione e i giardini già del cardinale Carpi e proprietà del duca Sforza di Milano, che arrivavano dalle Quattro Fontane fino a piazza Grimana [12] (attuale Barberini), così detta dal cardinale Domenico Grimani, figlio dell’ammiraglio veneto Antonio, che vi aveva la vigna, ed annessa abitazione nell’odierna via Rasella (palazzo Tittoni [13], a ridosso del quale fu fatta scoppiare la bomba [14] che procurò a Roma la strage delle Fosse Ardeatine).

In questo posto (oggi via delle Quattro Fontane), dove sorgevano, nel giardino dei Barberini, i ruderi del “Capitolium Vetus” il santuario di Giove,  Giunone e Minerva, col tempio della dea Fides servata, (prossimo il circo di Flora) dove si custodivano allora i trattati, che poi furono conservati sul “Capitolium Fulgens”, si potevano vedere anche, al nord dell’odierno edificio, i ruderi di un grande palazzo del I secolo e mattoni del II, facenti parte forse di quella località amena per cui sovente solevano gli imperatori “in sallustianos hortos ire”, qui dunque il cardinale Francesco cominciò ad edificare la reggia Barberini nel 1624.[15]

Carlo Maderno, Francesco Borromini [16] e Gian Lorenzo Bernini si susseguirono nella direzione dei lavori.

Nella galleria furono sistemati insigni capolavori di pittura. Nel salone del primo piano (che comprende circa 40 sale), la volta di circa 500 m² fu dipinta da Pietro da Cortona [17], che vi rappresentò il “ Trionfo della Gloria dei Barberini”.[18]

Al primo piano vi fu pure composta una biblioteca di oltre 60.000 volumi e 10.000 manoscritti, provenienti la maggior parte dalla Biblioteca Strozzi di Firenze (Leone XIII l’acquistò per trasferirla alla Vaticana).

Un teatro [19] che ha lasciato una notevole orma nella storia teatrale del secolo XVII, arricchiva ancora il palazzo che ebbe pure alla fine del ‘700 e nei primi dell'’800 un ampio sferisterio [20] nei suoi giardini.[21]

Nel palazzo abitò Carlo IV re di Spagna, con la moglie Maria Luisa, che vi morì nel 1819.

Bernini, nel centro della sottostante piazza, già Grimana, vi costruì una fontana detta del Tritone [22] ed un'altra (è adesso al principio di via Veneto) ne pose all’angolo dell’odierna via Sistina (già strada Felice aperta nel 1585).
Questa ultima fontana, che fu commissionata “acciò servisse ai bisogni del popolo e adornamento della città”, ebbe nelle api papali il motivo ornamentale ed un commento di Pasquino, che avendo notato nella lapide che v’è apposta, il XXII del Pontificato, mentre doveva essere ancora compiuto il XXI, essendo il pontefice malato disse:

 “Meglio cieco che indovino
il Papa gioca bazzica e sballa [24]”.

____________________

[1] )            All’incrocio fra via al Viminale e via De Pretis era l’area Candidi che traeva il nome da un’insula di proprietà di un certo Candido. All’angolo delle attuali via Nazionale e via De Pretis v’era un giardino dei Chigi dove il 15 agosto del 1668 si tenne un trattenimento teatrale ideato dall’architetto Carlo Fontana.

[2] )            L’umorista Gandolin (Luigi Arnaldo Vassallo 1852-1906), in un momento di acceso clericalismo a Roma, la chiamò “via de' Pretis".

[2bis]          Gli Albani, originari di Urbino, risalgono ad un Alemanno patrizio senese del 1277.
Nel 1509, per concessione di Giulio II, assunsero le  armi ed il nome dei della Rovere. Leopoldo I nel 1659 creò Agostino Chigi Delle Rovere, principe del Sacro Romano Impero.
Al nome Chigi Delle Rovere si aggiunse quello di Albani, nel 1735, per le nozze (1735) dell’ultima Albani, Donna Giulia Augusta (1719-1786), con Agostino Chigi della Rovere (1710-1769).
A Roma l’ultimo Principe di questa dinastia fu Don Agostino Chigi Albani della Rovere (1929 - 2002),

[3] )            Il titolo della primitiva aula, di epoca romana, era: “Iunius Bassus v.c. Consul Ordinarius Propria Impens A Solo Fecit Et Dedicavit Feliciter”.  La sala era detta “Aurisarium” e serviva come tribunale civile.
Altro esempio, legato a Giulio Basso è la chiesa di S. Andrea Catarbara o Catarbarbara  Patricia sull’Esquilino (dov’era  l’ospedale di S. Antonio del Fuoco a piazza S. Maria Maggiore)  che sorse, al tempo di papa Simplicio (468-483) probabilmente sotto Ricimero fra il 417 e il 483, dalla santus aula costruita e riccamente decorata dal romano Giunio Basso, console del 317, ad uso basilica per pubblici incontri. Gli avanzi della basilica vennero in luce nel 1930 , negli scavi per le fondamenta del Seminario Orientale fra le vie Napoleone III e via Emanuele Filiberto.

[4] )            Gli Albani, discendenti di Clemente XI (due rami: Bergamo ed Urbino) ebbero il principato da Innocenzo XIII il 14 maggio 1721.

[5] )            La strada fu aperta circa nel 1586 ed ebbe nome di "quattro fontane", prima che le quattro fontane fossero terminate.

[6] )            La zona attualmente compresa fra la via Nazionale ed il Pincio, per un verso, il Palazzo Reale e le mura di cinta della città per l'altro, era il quartiere "ad malum punicum", una delle parti più aristocratiche e ridenti di Roma. È qui che Domiziano eresse il "Templum Gentis Flaviae" che rimase fino al IV secolo. Vi furono tumulati i 3 Imperatori, Giulia, figlia di Tito ed altra gente Flavia. Il tempio scomparve per la ricchezza dei suoi marmi preziosi, per quanto fosse stato destinato a rimanere: "cum Sole et Astris cumque luce romana". Tra la via XX settembre e la salita delle 4 Fontane, della villa di Tito (79-81), abitata e abbellita da Claudio Censorino (268-270), è stato rinvenuto, nel costruire le palazzine, un "Mitreo" collocato in un'aula rettangolare semisotterranea di un grande fabbricato dell'età di Settimio Severo (193-211). Ad "malum punicum" nacque Domiziano (81-96) in una casa presso Sant’Andrea al Quirinale che, proprietà di Vespasiano, divenne il mausoleo della Gente Flavia.

[7] )            Pure del Borromini il chiostro ottagonale allungato a due piani con colonne raccordate da  archi  e  trabeazione,  detto  chiostro  di  Carlino. Le  statue nelle  nicchie  dei  pilastri centrali : S. Giovanni de Matha e S. Felice di Valois, sono d’Isidoro Uribesalgo, ospite dei Frati Trinitari nell’ultimo ‘800, che li donò ai frati per gratitudine. Tra le statue quella di uno schiavo, alterato nei connotati da un frate perché non eccitasse qualche devota. Le statue non sono più in loco.

[8] )           Fu il venerabile Gerolamo Hêlie, che dopo la conferma di Clemente VIII nel 1601, fondò nel 1620 questo convento di S. Dionigi Areopagita, qui professò la regola primitiva e fondò poi la riforma degli Scalzi di Francia (+ 1637).

[9] )            L’area della Chiesa demolita fa parte di quella sulla quale è stato costruito il palazzo per l'Ufficio Italiano dei Cambi, già nel palazzo Mellini presso la Galleria di S. Marcello (via dell’Umiltà). Il palazzo, che ha un volume complessivo di circa m³ 100.000, è stato costruito dagli architetti Paniconi, Passarelli e Pediconi ed è lungo 70 m. La sua struttura è in travertino con elementi in granito rosa ed un terminale di rame. L’ingresso di rappresentanza che è in via Quattro Fontane, con un grande atrio a pareti vetrate, ha un pittoresco sfondo su via Piacenza e da questa parte ha pure le facciate in travertino e gli infissi di ferro. E poiché vi domina abbondantissimo il vetro con un succedersi di finestroni, serviti da serrande, il palazzo è stato battezzato dal popolo:  “sing sing”.

[10] )            La patata fu importata in Italia dai Carmelitani Scalzi tra il secolo XVI e XVII.

[11] )           Nella prima cappella a sinistra nella chiesa di Santa Andrea della Valle, cappella detta Barberini perché fatta da lui prima di esser papa, si veggono i ritratti dei suoi genitori, scolpiti in porfido (nella foto si vede solo il padre).

[12] )           Fu anche detta platea de Sfortia dalle proprietà degli Sforza, conti di Santafiora e duchi di Segni (ora piazza Barberini).

[13] )           I Tittoni furono a Roma fra i maggiori mercanti di campagna, ebbero un allevamento di cavalli così come gli altri grossi Silvestrelli, Piacentini, Serafini, Senni ed il principe Borghese, di Piombino duca Cesarini. I cavalli erano usati anche e molto spesso per brillare il grano. Terminata la mietitura, i cavalli venivano disposti dentro un chiuso e a 100 passi distante sopra un'aia battuta, venivano disposte le spighe ritte in piedi in covoni. Sei cavalli di fronte si lanciavano al galoppo e giravano scalpitando finché la paglia non si staccava dal grano. Il grano, subito dopo ventilato, si ammucchiava e si spediva dentro sacchi a Roma, e la paglia bruciata o trasportata come il grano su barrozze trainate dai buoi. Quei buoi dalle lunghe corna, venuti con le invasioni dei barbari e sconosciuti agli antichi romani che possedevano una razza indigena piccola e di color fulvo dalle piccole corna. Anche dei buoi le razze migliori erano possedute circa nel 1850 dai Rospigliosi, Graziosi, Tittoni, Silvestrini, Dantoni, Senni, Grazioli, Floridi, Serafini, Piacentini, Franceschetti e Rocchi. Mentre dei bufali, naturalizzati da oltre 12 secoli, i maggiori proprietari erano i Rospigliosi, i Cesarini e i Caserta.

[14] )           Per mano dei comunisti (Rosario Bentivegna, Salinari,  Pertini,  Calamandrei, Amendola, Capponi), che, per non essersi svelati, mandarono a morte 335 persone, (24 marzo 1944) trucidate dai tedeschi alle Fosse Ardeatine. La bomba uccise 33 soldati tedeschi il 23 marzo 1944 e sette civili italiani. La rappresaglia comportò la fucilazione di 335 italiani alle fosse Ardeatine.

[15] )           Fu terminata nel 1632.

[16] )           Il suo licenziamento procurò all’artista quell’ipocondria che lo spinse al suicidio.

[17] )           Pietro Berettini 1596-1669.

[18] )           Dal 1953 tutta l’ala sinistra del palazzo serve alla Galleria Nazionale dell'arte antica.

[19] )           La porta del teatro, di Pietro da Cortona, era nella via Barberini, già via Giovanni Amendola o viale regina Elena. Il teatro fu distrutto quando fu costruita la strada (via Barberini) nel 1932.

[20] )           Lo sferisterio fu  pure utilizzato come aerodromo. Sul giornale "La Capitale", in data 23 marzo 1880, si legge: "La mongolfiera alle 5:45, allo sferisterio era gonfia. Il signor Baudet, un uomo sulla quarantina, bevette il suo venticinquesimo sorso d'acqua e pronunziò la parola “attenti”. Poi “lasciate” e la mongolfiera si lanciò rapidissima in aria. D’un salto il Baudet si afferrò al trapezio ed eseguì alcuni giochi ginnastici. La Mongolfiera si librò virtualmente senza la menoma scossa nell'aria. Circa un'ora dopo il Bodet toccava terra fuori la Porta Pia senza il minimo incidente".

[21] )           La statua di Bertel Thorvaldsen (1770-1844), ora nei giardini, gli fu ivi eretta per aver egli avuto lo studio "alle stalle dei Barberini".  Il Thorvaldsen che restò in Roma dal 1797 al 1819 scrisse: "Sono nato il giorno che arrivai a Roma" ed Ippolito Taine, affacciandosi, così descrive a sua madre Palazzo Barberini: "Passano equipaggi diretti verso la campagna. I piccioni passeggiano sul selciato. Carpentieri raccomodano al gomito delle strade delle ruote di carretti. Piazza Barberini dopo il tramonto è un catafalco di pietra dove bruciano alcune fiammelle dimenticate, lumicini affogati nel lugubre sudario dell'ombra.....” (Taine Ippolito Adolfo – 1828-1893).

[22] )           La fontana è di Gian Lorenzo Bernini, ed è stata realizzata nel 1644.

[24] )           Urbano VIII sballò, perché morì il 29 luglio 1644 mentre era stato eletto il 6 agosto del 1623.

DSC_4826

Lapidi, Edicole e Chiese:

- Via Quattro Fontane
- Palazzo Barberini
- Appartamento Cornelia Costanza Barberini

Blutop