|
Via dei Vascellari - (vascularii) (R. XIII – Trastevere) (da via dei Genovesi a lungo Tevere Ripa)
“Il nome di questa strada deriva dalle fabbriche, spacci ed abitazioni che vi ritengono la maggior parte dei fabbricatori e venditori di ogni sorta di vasi di creta che in Roma sono chiamati “Vascellari” (Rufini - 1847).
Da un altro lato, “Nomina sunt consequentia rerum”, infatti in questa strada già detta di “Sant’Andrea degli Scafi” abitavano e lavoravano appunto quegli arsenalotti [1] che dall’ IX secolo al XVI, fabbricarono navi per la marina pontificia [2].
La chiesa di “Santa Andrea de Schaphis [3]”, che era annessa alla Pia Casa di Ponterotto [4], divenne nel 1575 oratorio della Compagnia del Santissimo Sacramento di Santa Cecilia e, nel secolo XVIII, divenne proprietà della Compagnia dei Figulini o Vascellari [5].
La chiesa fu anche data in commenda ai vescovi Tuscolani che sembra “vi posero la loro abitazione in un locale a lei retroposto”.
L’edificio che accoglie la Pia Casa degli esercizi è quanto rimane del palazzo dei Ponziani (Santa Francesca Romana), il quale aveva un porticato, ed in alto una galleria scoperta, che dominava gli splendidi giardini della casa.
La strada finiva un tempo al ponte Senatorio (Ponte Rotto) con la piccola chiesa di S. Salvatore “de Pede Pontis” [6] che risaliva al X o all’XI secolo. Fu distrutta nel 1884 [7].
________________
[1] ) “Arsenalotto”: In origine, operaio dell’arsenale di Venezia, nell’uso attuale, operaio di un arsenale marittimo in genere.
[2] ) I Papi costruirono la maggior parte delle loro navi sul Tevere, giacché in Trastevere avevano stabilito il loro arsenale (ne è rimasta traccia nel nome di via dei Vascellari). Una “schola sandalariorum” è nominata in un documento farfense del 1115. Delle 24 galere e 6 navi da trasporto, partite, al comando del cardinale Carafa, nel 1472 (Sisto IV), buona parte furono costruite nell’arsenale Tiberino. Ma anche prima, sotto Leone IV (847-855), nel cantiere alla Longara, fu costruita, nel 849, quella flottiglia che, con galee di Napoli, Gaeta e Amalfi, sconfisse i Saraceni. Nell’autunno del 1455 “si dispiegava lo sguardo degli spettatori, prospettiva ai nostri giorni inusitata, su 25 legni da guerra sui cantieri,16 galere, 6 fuste, una galeazza, alcune navi, tende, maestro soldati, artiglierie, prelati, popolo e il Papa (Callisto III - Alonso de Borgia - 1455-1458) in mezzo, per più vedere all’armata navale”. Il successivo 31 maggio (1456) il Pontefice scese a Tevere e attaccò la croce alla spalla del cardinale legato Scarampo, benedicendo la flottiglia che partiva (e che ebbe vittoria: “li christiani, hebbero vittoria contro dello Turco, delli quali ne foro morti più di sessantamile, et lo Turco campò lui con poche persone”.). E più tardi Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) riuscì ad allestire una flotta di 16 triremi e Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) 10 galere per liberare la spiaggia dai corsari che l’infestavano e con la costituzione "In quanta" del 23 gennaio 1588, fissò la somma di scudi 102.500 per la loro dotazione.
[3] ) Nella chiesa, fondata nell’821 da Pasquale I (817-824), si faceva la processione "dei Bocaletti". Ne conserva ancora qualche campione l’oratorio dei Vascellari che, nel XVIII secolo, sostituì la Compagnia del Sacramento, che officiava la chiesa fin dal 1575. La chiesa era anche detta “S. Andrea de clavis”; “de schiaffis”; “degli scacchi”; “delle scafe”; i quali nomi potrebbero avere origine dalle piccole barche del Tevere, che presso quella Chiesa avevano una stazione. Dal 1942, il tempio è stato convertito in magazzino da falegname e la pala coi tre santi patroni dell’“Universitas figulorum”, Andrea, Cecilia e Maria Salomè, sono al Vicariato, sparito il secolare “paliotto” (rivestimento della parte anteriore dell’altare) in maiolica. Oggi (2018) vi si svolgono delle esposizioni d’arte.
[4] ) Fondata nel 1805 da Don Gioacchino Michelin, parroco della chiesetta di San Salvatore "de Pede Pontis".
[5] ) “Figulino” o “Vascellario”: Fabbricante di vasi di terra cotta.
[6] ) Una leggenda riguarda la chiesa di San Salvatore de Pede Pontis: Un’immagine della Vergine che era venerata nella cappella dei Santi Processo e Martiniano, nella Basilica Vaticana, fu sottratta da ladri che, spogliatala dei gioielli, la buttarono poi nel Tevere, da ponte Elio, dopo averla legata ad un grosso sasso. Nonostante il peso, l’immagine galleggiò miracolosamente, andando a fermarsi ad uno dei piloni del ponte Palatino. Leone I (440-461), allora regnante, informato del prodigio, si recò in barca a trarla dalle acque, ed affermando essere quella la residenza scelta dall’immagine, la mise “sopra il ponte (Era la riva sinistra, mentre « de Capite Pontis » la destra) dentro un tabernacolo tumultuario (provvisorio) per allora, dicendo questo essere il luogo scelto da Maria. Si mutò poi in marmi il piccolo altare. Da questo, il nome di ponte Santa Maria dato al ponte Palatino. “Dopo qualche tempo insorse fra i Trasteverini una gran differenza, che, come accade, tosto crebbe in una formata battaglia. Si armò dall'una e dall'altra parte. I Trasteverini, sempre fieri, come quelli che sono lontani dalle morbidezze, lusso e delizie che sono in mezzo a Roma, vollero, o la pretendessero come cosa loro, o per torla dispettosamente a’ Romani, vollero mettere in salvo, e tutta per Trastevere, la veneratissima immagine; la tolsero dal ponte e la venerarono dentro la chiesa vicina di S. Salvatore (de Pene Pontis), appendendola poi in alto ad una trave, acciò che non fosse rubata. Finì la contesa, e finì quasi la venerazione della sacra immagine, come fuor di suo luogo, e perché tenuta per lungo tempo chiusa, e per timor delle armi, non più frequentata”. “L’abate Conscio, allora di S. Cosimato, come quegli che aveva giurisdizione su colassù, la chiese al curato di quella chiesa, per rinnovarla e accrescerle la devozione nella chiesa del suo monastero. Si cominciò a litigare in giudizio, e le frombole, e le mani di quella vicinanza cominciarono a minacciare a’ monaci, al monastero, ai Procuratori contrari e fino ai giudici, dicendo che dalla viola gli avrebbero tutti fatti passare alla rossa, cioè dalla violacea mantelletta, alla porpora tinta nel proprio sangue. Si misero guardie alla chiesa, con ordine che si era tenesse un miglio lontano di essa ogni monaco. Un giorno a certo don Angelo Monaco, giovane semplice e divoto, sembrò improvvisamente detta immagine sfolgorasse di luce. Per persuadersi che non si trattava di un'allucinazione, vista un'alta credenza non lontana e spintala sotto l'immagine, vi salì su, per mezzo d'altro appoggio, taglia la fune con un coltello, e prende la tavola dipinta portandola ai monaci di San Cosimato, i quali per paura di trafugamento, armarono la chiesa di ferri e ben acuti al di fuori, come in un monistero, temendo la violenza”. (Caroccio)
[7]) Proveniente da San Bonosa “lì 29 ottobre 1825, l'università dei padroni maestri calzolai solennizzò la festa dei santi Crispino e Crispiniano nella chiesa di S. Salvatore a Ponte Rotto, donatagli l’anno scorso da Sua Santità” (Leone XII).
|