Piazza Santa Maria in Trastevere (R. XIII – Trastevere) (vi converge: vicolo di Santa Maria in Trastevere, confina con piazza di Sant’Apollonia e piazza di San Calisto)
La Piazza prende il nome dall’antica basilica che vi si trova [1]. Si dice che qui Alessandro Severo (222-235) avesse assegnato ai cristiani un “hospitium”, ovvero “taberna meritoria”. Ciò che conforterebbe questa affermazione, è una sentenza emessa dall’imperatore, su una controversia sorta fra un collegio di “propinarii” (Osti) ed una “trasteverina, presso l’hospitium” ovvero “taberna meritoria”, cui allude un’epigrafe copiata nel secolo VIII: “Haec domus est Christi semper mansura pudori Iustitiae cultrix plebi servavit honorem” (G. B. De Rossi).
Una leggenda afferma che nel 753 a.U.c., nel posto ch’è adesso vicino alla Confessione e su cui è scolpito: “Fons olei”, sarebbe scaturita una quantità d’olio. È detto nelle “Mirabilia”: “Trans Tiberim, ubi nunc est S. Maria, fuit templum Ravennatium, ubi terra manavit oleum tempore Octaviani (Imperatore Augusto - 12 a.Ch.-14 d.Ch.) et fuit ibi domus meritoria, ubi morabantur milites, qui gratis serviebant in Senatum”.
In questo posto Calisto I (217-222) avrebbe istituito una “domus ecclesia” [2] e Giulio I (337-352) nel 340 trasformò la “domus” in forma basilicale “trans Tiberine regione XIIII iuxta Callistum”.
Da Giulio I, il titulus diventò “titulus Iulii” e sebbene il “titulus Callixti” fosse distinto dalla basilica di Santa Maria, pure fu adoperato promiscuamente “Titulus Iulii” et "Callixti” per quanto poi il “titulus Callixti” primitivo proseguisse la sua storia come chiesa minore, seppur titolo cardinalizio (vedi Piazza di San Calisto - Trastevere).
Nel 501 vi fu tenuto, in prima sessione, quel concilio, detto poi “palmaris” dalla sentenza che fu proclamata “ad palmam” nel Foro, approvato da Simmaco (498-514) che stabiliva “summa Sedes a nemine judicatur” (La Somma Sede non può essere giudicata da nessuno).
Giovanni VII (705-707) fu il primo a restaurare questa basilica che, come è scolpito sulla cattedra vescovile, è stata la prima eretta a Roma in onore di Maria Vergine [3]. Lo seguirono Gregorio II (715-731) e Gregorio III (731-741) ed Adriano I (772-795) che ingrandì la basilica e vi trasportò i corpi dei SS. Calisto e Calepodio. Restauratori ne furono pure Leone IV (847-855) e Benedetto III (855-858) mentre Innocenzo II (Gregorio Papareschi - 1130-1143), dei Papareschi di Trastevere [4], la riedificò quasi dalle fondamenta , lavoro che fu terminato da Innocenzo III (Lotario de´ Conti di Segni - 1198-1216).
È in questo periodo che vennero alzate le 24 colonne di granito bruno, sottratte al Serapo Campense [4bis], che nelle volute dei capitelli hanno, malamente e bestialmente scalpellati nel 1870, le figure d’Iside, di Serapide e di Arpocrate.
Anche in questo tempo, forse sotto Eugenio III (Bernardo dei Paganelli - 1145-1153), fu compiuto il mosaico della facciata, forse restaurato da Pietro Cavallini (1273-1316) e poi ancora sotto Nicolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-1455) [5], Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572), Clemente XI (Giovanni Francesco Albani 1700-1721), Leone XII (Annibale Clemente Della Genga - 1823-1829) e Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti - 1846-1878) che, dopo Pio V e Clemente XI, fu il maggior restauratore della Basilica che allora appariva “deforme con semplice tetto e rozzamente fatto”.
È fra i mosaici dell’abside, più volte restaurati, che figurano, in sette quadri, le storie della Vergine. Sotto il terzo, rappresentante il parto della Vergine, è accennato al prodigio dell’olio. Infatti, nel quadro è riprodotto un edificio su cui è scritto “Taberna meritoria” e dal quale esce un rivo e cioè il “fons olei”, al di sotto è scritto: “Iam puerum iam summe Pater post tempora natum. Accipimus genitum tibi quem nos esse coevium Credimus hincque olei scaturire liquamina Tybrim”. (In questo luogo, secondo la leggenda, il giorno della nascita di Gesù Cristo sgorgò una polla d’olio, per cui fu detta comunemente fons olei.)
A destra della tribuna la cappella della Madonna della Strada Cupa. L’immagine fu segata dal muro di una vigna della “signora Clarice de’ Nobili”, situata alle radici di S. Pietro in Montorio, in una strada ripiena di fienili, chiamata “strada cupa” e ebbe tale venerazione che il prato di San Cosimato, in cui mette strada cupa, era diventato una chiesa, “non riuscendo a contenere la gente inginocchiata nella strada” [6].
Tra le epigrafi, memorie e sepolcri [7] che sono nella chiesa, tra gli altri quello del presbitero Maréa, morto nel 555. Marea resse la Sede Apostolica, quando il papa Virgilio stette tre anni fra Costantinopoli e Calcedonia per la lotta con l’imperatore Giustiniano I. Essendo stato barbaramente mutilato dai Goti, il vescovo di Selva Candida [8], che avrebbe dovuto sostituire il pontefice, fu sostituito dal presbitero Maréa che ne assunse le funzioni. Egli le esercitò con grande autorità e riuscendo a stroncare anche un incipiente eresia, come rilevasi dall’epigrafe:
Digne tenes praemium, Marea, pro nomine XPI Vindice quo, vivit sedes apostolica Praesulis in vicibus clausisti pectora saeva, Ne mandata patrum perderet ulla Fides Tunque sacerdotes docuisti crismate sancto Tangere bis nullum judice posse Deo Te quaerunt omnes, te secula nostra requirunt
e finisce:
Requiescit in pace Mareas presbiter; qui vixit...
Nel centro della piazza sta la fontana [9], forse trasformazione del cantaro (vasca per abluzioni posta nell’atrio delle basiliche paleocristiane) già nell’atrio basilicale, costruita da Adriano I (772-795) nel 795 e trasformata, dopo lungo abbandono, da Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini - 1592-1605) ed ancora rinnovata dal Comune di Roma, recentemente [10].
Coeva al campanile, v’è, unico esempio in Roma, una campana, fuori della cella campanaria (XII sec.), detta “laetula”, che dicesi trovata da Innocenzo II (Gregorio Papareschi - 1130-1143) nella ricostruzione del tempio, presso il “fons olei”, e collocata sulla sommità esterna del campanile. Le altre campane sono del 1508, 1600, 1667 e 1772.
Il palazzo a destra della Basilica è quello di S. Calisto del ‘500 in sostituzione di altro più antico. L’edificio nel 1608 fu, da Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572), dato ai Benedettini di San Paolo, in permuta del monastero di San Saturnino de Caballo, nella zona del Quirinale, su cui fu costruito il palazzo apostolico, dove essi passavano l’estate, fuggendo la malaria dell’Ostiense. Il palazzo dei monaci, passato dopo il 1870 al demanio, è ritornato nel 1929 alla Santa Sede. (vedi Piazza San Calisto - Trastevere)
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[1] ) Il capitolo della basilica godeva del “jus piscandi” sulle sottoposte acque, con esclusione di qualunque gabella.
[2] ) La “domus ecclesia”, che ebbe il titolo, sembrerebbe forse di quel Ponziano, dal quale si chiamò il cimitero sulla via Portuense, a destra della strada sotto Monte Verde (in via Anton Giulio Barrili presso le suore della Dottrina Cristiana Cluny). Il “dominicus” fu confiscato durante la persecuzione (211) che lo trasformò in una taverna per soldati, ma fu poi restituito da Alessandro Severo (Alessandro Severo, eclettico in fatto di religione, tanto da tenere nel suo Larario, tra altri personaggi, l’effigie di Cristo e aveva ornato le pareti della sua residenza di sentenze tratte dai libri sacri). La catacomba di Ponziano, che, come detto, si stende sotto l’altura di Monteverde, fu un cimitero di orientali. Vi si veneravano i santi Abolan e Sennen che, sotto Valeriano (253-259), furono prima inutilmente esposti alle fiere e dopo decapitati e tenuti per tre giorni ai piedi del Colosseo. Nelle catacombe, delle “Fenestrelle” davano su cubicoli o tratti di gallerie in cui dovevano essere sepolti i martiri. Ornamentazioni pittoriche e musive, di cui sono state rinvenute tracce, illustravano qualche tomba del detto cimitero.
[3] ) Nel Medioevo, la chiesa faceva parte della XIV regione, “Transtiberim” che era costituita dalle chiese delle regioni Arenula, Parione, Campitelli, Pigna e S. Angelo. Nel 1018, Benedetto VIII (Teofilatto II dei Conti di Tuscolo) mise Trastevere e l’isola alle dipendenze del Vescovo di Porto.
[4] ) Quell’urna sepolcrale del XII sec. priva di epitaffio, che si trova nel portico della chiesa, dovette appartenere ai Papareschi o agli Stefaneschi. Infatti il leone, che vi figura, è dovuto all’uso che in quel tempo aveva fatto adottare, come simbolo del partito guelfo, il leone. Il quale animale veniva perciò custodito in Campidoglio e lo fu per molto tempo. Nel 1328 il Priore degli Agostiniani, si rifiutò di celebrare la messa in S. Pietro per la incoronazione di Ludovico il Bavaro “fu da questo fatto gettare nella gabbia della fiera”.
[4bis] ) Oggi si crede piuttosto dalle Terme di Caracalla.
[5] ) Fino al ‘500, l’altare rimase al centro della chiesa ed il portico senza cancelli che furono collocati da Clemente XI (Giovanni Francesco Albani - 1700-1721). A partire dall’altare maggiore, la quinta delle colonne, che dividono la navata centrale dalla sinistra, ha uno dei capitelli ionici delle colonne di cipollino della basilica Emilia.
[6] ) Si diceva, in quel tempo, che l’aria di Trastevere era “insalubre et maligna per i venti perniciosi di Scirocco e Libeccio”. Ma, portata l’immagine della Madonna che si trovava nella scala di una casa, “per molti anni risplendeva di molti miracoli che di continuo ne faceva”, subito, “purgata l’aria et felicitata dalle sue antique sciagure, è stimata hora, massimamente, in questo contorno, salubre, temperata et proficua”.
[7] ) Vi sono seppelliti molti Corsi che abitavano nei pressi.
[8] ) Selva nera, detta candida dal martirio ivi subito dalle sorelle Rufina e Seconda, nel 260 d.C.. (vedi Via della Lungaretta - Trastevere)
[9] ) Credesi sia la più antica di Roma e probabilmente già esistente all’epoca romana.
[10] ) Quattro iscrizioni latine ricordano i restauri fatti alla fontana negli anni 1604 – 1659 – 1692 – 1873.
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