Piazza e via di Santa Cecilia (R. XIII – Trastevere) (nella piazza convergono: via di San Michele e via di Santa Cecilia che arriva fino a via dei Genovesi)
La piazza e la via prendono il nome dalla basilica eretta sulla casa dove la vergine subì il martirio.
Urbano I (222-230), che è detto il fondatore della chiesa, deve in effetti aver elevato al culto il “dominicum” di Santa Cecilia [1], che fu martirizzata, col marito Valeriano ed i cognati Tiburzio e Massimo, sotto l’imperatore Marco Aurelio (161-180).
Nel concilio romano, tenuto da papa Simmaco (498-514), si trovano già le firme dei preti del titolo di Santa Cecilia.
Nella chiesa di S. Cecilia in Trastevere, il 22 novembre del 545, mentre papa Vigilio (537-555) [2] celebrava la festa della Santa, l’intero quartiere e le uscite della chiesa vennero occupati dalle truppe imperiali. E prima che il papa avesse recitato la oratio ad complendum, super populum, un impiegato imperiale, lo scriba Antimo, accostò il pontefice e gl’intimò di seguirlo. Scesi alla vicina spiaggia del Tevere, dov’era pronta una barca, partirono per Costantinopoli (chiamato da Giustiniano I (527-565) [3]), mentre il popolo, che li aveva seguiti, a seconda del proprio partito, ingiuriava o benediceva. “Videntes romani, quod movisset navis, in qua sedebat Vigilius, tunc populus coepit post eum iactare lapides, fustes et cacabos, et dicere: Fames tua tecum mortalitas tua tecum! Male fecisti cum romanis, male invenias ubicumque vadis” [4].
Il tempio aveva tre navate [5], 12 colonne, nello spazio di mezzo, sostenevano la chiesa superiore, quattro di esse erano collocate a capo del coro; in una chiesa sottoposta era accolta la cripta dei santi.
La tribuna è ancora adorna dei mosaici del Papa Pasquale I (817-824), il cui capo è cinto di nimbo quadrato (che è solito indicare l’odore di santità per i vivi). Nella fascia, i distici che celebrano l’opera papale.
Pasquale I (817-824) riedificò la Basilica ex fondamentis [6] e vi annesse un grande monastero dedicandolo a santa Cecilia e a Sant’Agata. Dalla via Appia, dove la martire giaceva in una cripta del cimitero di Calisto [7], ne trasportò il corpo nella nuova chiesa deponendolo nella confessione. Infatti, il Liber Pontificalis dice che Pasquale I rinvenne le spoglie della Santa, involte nei panni d’oro, nel cimitero di Callisto, vicino al giovane Valeriano suo marito.
La chiesa riparata nel 1283, con l’opera anche di Arnolfo di Cambio [8] (1232-1302) che vi eseguì il tabernacolo, fu ancora restaurata nel 1599 dal nipote di Gregorio XIV (Niccolò Sfondrati - 1590-1591), cardinale Paolo Sfrondati [9] che, nell’opera di rifacimento, fece subire al tempio le alterazioni, forse le più gravi [10], per quanto il cardinale Troiano Acquaviva, nel 1725, ed il cardinale Giorgio Doria-Pamphili, nel 1823, vi contribuirono poi per la loro parte [11] . .
Nei lavori compiuti [12] dal 1892 al 1902, che posero in evidenza alcune parti originarie e la casa romana, venne in luce il “calidarium” della casa patrizia [13], dove la santa avrebbe subito il tentativo di soffocamento per tre giorni, tra i vapori del calidarium stesso, e poi sottoposta alla decapitazione [14]. Ma poiché fu soltanto ferita dai tre colpi, che la legge romana consentiva, agonizzò ancora tre giorni prima di morire.
Nei lavori eseguiti nel 1899-1901 [15], a spese del cardinale Mariano Rampolla, che volle essere qui sepolto (1929), Gian Battista Giovenale rinnovò la cripta con un sontuoso lavoro bizantineggiante, e da essa si scende negli avanzi sotterranei dell’antica "domus", che si stendono sotto la chiesa.
Rimontano ad epoche diverse resti: di pavimenti romani in mosaico di un locale termale visibile pure dall’alto, del locale granaio con sette silos, del larario con un antico simulacro di Minerva, una colonna dell’epoca repubblicana, di epigrafi, frammenti, ecc..
La statua, ch’è sotto l’altare, ritrae una delle espressioni più originali dell’arte nostra e riproduce la posizione che aveva la santa così come la vide il Maderno (1556-1629).
Pitture dell’XI secolo ornano ancora la basilica, ma le colonne antiche che dividevano le navate sono scomparse sotto i pilastri di rafforzamento commissionati, nel 1823, dal cardinale Giorgio Doria Pamphili per ovviare al peso che esercitava sull’edificio il lacunare [16] fabbricato dal cardinale Troiano d’Acquaviva, nel 1725.
Sono rimaste del portico le quattro colonne ioniche provenienti da quello delle Terme Aureliane, ubicate fra il Gianicolo e S. Francesco a Ripa. Portico che precede la facciata barocca ed ha nella trabeazione un lungo fregio dai piccoli medaglioni di santi a mosaico che risale al XII secolo.
Pure al XII secolo risale il campanile romanico (1113) [17] che ha ancora le due vecchie campane, donate dal cardinale Guido da Bologna, una del 1342 e l’altra del 1353.
Nel centro dell’atrio, cui dà accesso un grande portale barocco a tre aperture, v’è il grande “cantharus” o “calix marmoreus”, dal quale l’acqua che sgorga, serviva, in antico, alle abluzioni dei fedeli e simboleggiava “il refrigerio che godono le anime dei beati nel celeste giardino”. (“Paradiso” XIV, v.27)
Nel monastero [18], tenuto lungamente dai Benedettini, seguirono gli Umiliati e, intorno al 1530, le suore benedettine, per concessione di Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1534), le quali ancora vi abitano.
Hanno nel loro coro pitture di Pietro Cavallini (1273-1316) che rappresentano il “Giudizio universale”, affresco che stava prima sotto il portico dell’antica facciata.
Le suore [19] di clausura posseggono pure, nel loro convento, un presepio artistico, attribuito ad Alessandro Algardi (1595-1654), rinvenuto in una bottega ebrea del Teatro di Marcello ed acquistato dal principe Boncompagni che lo donò alla figlia monaca. Solo una volta il presepe è stato esposto a S. Bartolomeo all’isola.
Una chiesa, detta di “Sant'Agata ad Colles Iacentes”, perché “Iacentes” erano detti nel medioevo i colli gianicolensi, fu edificata da Pasquale I (817-824) al di là della basilica di Santa Cecilia, e fu da lui concessa all’ospedale di S. Pellegrino, presso il Vaticano, con l’ordine che i suoi monaci salmeggiassero nella vicina chiesa di Santa Cecilia. Ma di questo tempio di Sant’Agata non rimane alcun vestigio ne è possibile stabilirne con precisione il sito.
Avverte l’Armellini di non confonderla con la suburbana “Sant'Agata in colle pino” o “in lardario”, eretta da papa Simmaco (498-514) sul cimitero (Coemeterium S. Agatae ad girolum) che si estende sotto la villa Pamphili, la già vigna Pellegrini sull’Aurelia. Il cimitero è detto anche [20] dei Santi Processo e Martiniano, corrieri di S. Pietro, le cui salme Pasquale I trasportò nella basilica di San Pietro, dove una cappella è a loro dedicata.
Sulla Piazza di Santa Cecilia [21], in angolo con piazza dei Mercanti v’è una torre appartenente al secolo XIV dove, si dice, abbia avuto sede il primo banco dei Genovesi. La costruzione è di piccoli tufi regolarmente squadrati e lavorati a cortina, mentre gli archi sono in mattoni. Le colonne del portico provengono da antichi monumenti, e i capitelli hanno le forme embrionali del capitello ionico; la mostra delle piccole finestre è composta da lastrine di marmo.
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[1] ) Prima “Titulus Gordiani”.
[2] ) Papa Vigilio (537-555), favorito dal generale Belisario e da sua moglie Antonina, si era sostituito, nel marzo del 537, a S. Silverio papa ( 536-537), figliuolo del defunto pontefice S. Ormisda (514-523), facendolo dimettere. e benché protetto dall’imperatrice Teodora - moglie di Giustiniano I - fu riconosciuto dal clero romano solo alla morte di Silverio (dicembre 537).
[3] ) L’imperatrice Teodora aveva mandato a Roma Antonio Scribone, proprio per catturare il Pontefice.
[4] ) Dal “Liber Pontificalis”.
[5] ) “Sopra le colonne della navata maggiore, Pasquale I aveva fatto dipingere le serie dei pontefici romani da S. Pietro fino a lui”.
[6] ) Non si conosce chi edificò la preesistente Basilica.
[7] ) Pasquale I, colto da sopore mentre “lucescente dominica” assisteva al mattutino in S. Pietro, ebbe dalla stessa Santa l’indicazione precisa del suo loculo.
[8] ) Anche il candelabro del cero pasquale è un suo lavoro.
[9] ) Il cardinale Paolo Emilio Sfrondati (1560-1618), titolare della basilica, “si proponeva di costruire una custodia per le sacre reliquie sotto l'altare maggiore, che secondo l'uso è volto ad oriente, il quale sito che, per costume istituito dagli antichi, era riservato alla inumazione dei corpi santi, veniva giudicato idoneo ad accogliere le preziose reliquie”. Mentre il 20 ottobre 1599 si scavava alla sua presenza il terreno, fu rinvenuta un’urna di marmo, una cassa di cipresso “lunga 6 palmi, larga 1.30, alta 2”. Dopo aperta dallo stesso Sfrondati, vi si trovò il corpo della beata vergine Cecilia, coperto di un velo di seta oscuro, “con la sua veste di seta intarsiata con fili d'oro, scalza, con un velo rivolto intorno alli capelli, giacendo con la faccia rivolta in terra, con li segni del sangue e tre ferite al collo”. “Con queste vestimenta dorate, delle quali Ella in vita si serviva, fu visto il suo sacro corpo da papa Pasquale, come attestano le di lui lettere ad Anastasio bibliotecario... Il corpo verginale appariva lungo cinque palmi e mezzo senza dubbio per l'antichità e la contrazione delle ossa”. La cassa, rinvenuta dallo Sfrondati, venne trasportata “nella cappella della navata destra del monastero e si poteva dai fedeli vedere la santa attraverso una fiancata”. “Insomma la vide tutta Roma, che per un mese non cessò di venerare e di implorare il patrocinio della sua concittadina. Papa Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini - 1592-1605) si recò subito sul posto ed il giorno della festa della Santa (22 novembre) prese parte alla processione con 42 cardinali, con gli ambasciatori di Francia, Venezia, il duca di Savoia, il senatore di Roma e tutto Trastevere. Il Papa volle poi discendere nella cripta dove furono pure sistemati i corpi dei santi Valeriano, Massimo e Tiburzio, del quale però mancava la testa. Per la cassa della Santa furono impiegati 254 libre d'argento e furono spesi 4380 scudi”. Il cardinale Sfrondati provvide poi che la santa “fosse retratta in una statua marmorea. Ne fu dato incarico al ventiquattrenne Stefano Maderno (1576-1636) che la ritrasse nella postura di questo corpo giacente”.
[10] ) “Scomparve dalla tribuna il seggio episcopale di marmo, indizio che i pontefici tenevano cappella in Santa Cecilia, ai lati del seggio il luogo dove li cardinali assistevano il Papa”.
[11] ) Francesca Bussa de’ Leoni (Santa Francesca Romana) sposò Lorenzo de’ Ponziani dov’è ora la sacrestia, che nel XIV secolo era la cappella di questa famiglia, che aveva le sue case vicino a Santa Maria in Cappella (Via dei Vascellari). “Ceccolella”, proveniente dalla dimora paterna di Santa Agnese de Cryptis (via dell’Anima-Parione), vi morì nel 1440.
[12] ) Lavori tutti a spese del titolare cardinale Mariano Rampolla del Tindaro.
[13] ) Nella tradizione della “gens Cecilia”, la casa fu fondata da Céculo, capostipite della “gens Caecilia”, figlio di Vulcano e di Preneste, nato da una scintilla che, sprizzata dalla fucina del Dio, era andata a cadere nel seno della donna e proprio in onore di lei, Céculo chiamò Preneste la nuova città (Palestrina).
[14] ) Poiché era stata condannata alla pena capitale, che portava per conseguenza la confisca dei beni, il patrizio Gordiano rivendicò la casa della martire “sub defensionis sui nominis domum Caeciliae suo nomine tutelavit clarissimus vir Gordianus”. E questo per il desiderio della Santa che aveva detto “ut domum meam ecclesiam consecrarem”.
[15] ) Nello stesso periodo, sulla Portuense, furono rinvenuti avanzi di una conceria, che, unitamente ad alcune iscrizioni, trovate fra il ponte Rotto e Santa Cecilia, hanno fatto stabilire esser quella la località chiamata “Coraria Septimiana” (impianti per la lavorazione delle pelli), sede del “corpus corariorum”.
[16] ) Lacunare: Scomparto incassato di un soffitto o di una volta, ricco di ornamenti e decorazioni (sinonimo: cassettone).
[17] ) Fu il primo ad avere le finestre a doppia bifora, e nei piani inferiori vennero impiegate mensole del secolo X.
[18] ) Presso la chiesa e il monastero, nel ‘400, vi era un ospedale intitolato a Santa Cecilia, ma assai ristretto, perché “habebat unum servitorem”.
[19] ) Allevano gli agnellini, la lana dei quali serve a confezionare i palli che il Papa dà ai patriarchi e arcivescovi.
[20] ) In una bolla di Innocenzo III (Lotario dei conti di Segni - 1198-1216) è detto: “qui dicitur S. Agathae in introitu urbis Romae”.
[21] ) Fin dei tempi di Claudio (41-54) e di Tito (79-81) il grosso degli Ebrei venuti a Roma, si fissò vicino alla chiesa di Santa Cecilia, presso la quale, nel medioevo, esistette una “via de Corte Judei nanti al palazzo”.
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