Ai censori Marco Antonio Oratore e Aulo Postumio Albino, consoli nel 99 a.Ch., si deve la costruzione di un vero e proprio Porto Fluviale che completò l’opera di Marco Emilio Lepido, console nel 187 a.Ch., e Marco Emilio Paolo, console nel 255 a.Ch., sulla sponda sinistra del Tevere (Testaccio). Per la via fluviale arrivavano grandi quantità di merci e cibarie, sia dall’interno, navigabile per 30 miglia, sia dai più lontani paesi. In epoca papale, nei primi statuti di Roma del 1363 si parla del “Porto della Ripa Romea”, mentre quelli espressamente dedicati al Porto di Ripagrande sono del 1416 ma sono evidenti rifacimenti di altri più antichi. Fino ad Innocenzo XII (Antonio Pignatelli – 1691-1700) le attrezzature portuali erano ancora ridotte al minimo e le rive del Tevere erano raggiungibili mediante rampe sterrate. Nel 1697, papa Pignatelli modernizzò l’approdo facendo costruire le rampe di accesso al fiume in muratura e, presso porta Portese, su disegno di Mattia De Rossi (1637-1695) e Carlo Fontana (1638-1714), un edificio per uso di dogana con magazzini per le merci e locali per gli uffici. Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti – 1800-1823) fece erigere sul porto una piccola lanterna che servisse di segnale notturno alle navi; Gregorio XVI (Mauro Alberto Cappellari – 1831-1846) migliorò le banchine e fece costruire magazzini. Il porto riceveva le merci direttamente dalle navi di medio tonnellaggio, che potevano risalire il fiume, mentre i carichi trasportati da navi più grandi venivano scaricati su battelli a fondo piatto che venivano trainati fino a Ripagrande da bufali fino al 1842 quando due battelli a vapore, la Archimede e il Blasco de Cary e Papin, li sostituirono. Intorno al 1887 si dette inizio alla costruzione dei muraglioni del “Lungotevere Ripa” che causarono la scomparsa del Porto di Ripagrande e di tutte le sue strutture, magazzini, banchine e l’edificio della Dogana innocenziana.
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