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Ugualmente i monaci Benedettini dell’Abazia di Farfa, proprietari di vasti territori nella zona, aprirono una cappella (c.998), che dava le spalle a Piazza Navona, senza raggiungerla, dedicata a Sant’Andrea, molto probabilmente, in corrispondenza della nostra chiesa, non lontano dai “carceres” dello Stadio di Domiziano. La storia di una prima chiesa, dedicata a San Giacomo Magno, inizia con il testamento dell’infante Enrico di Castiglia (1230-1303), terzo figlio maschio del re di Castiglia, Ferdinando III (1217-1252). Già nel 1259, l’infante aveva finanziato la costruzione della chiesa e di due ospizi per i pellegrini connazionali (per uomini e donne: uno presso la chiesa di Santa Caterina da Siena, alle spalle del Pantheon ed il secondo presso San Biagio in Mercatello, ai piedi dell’attuale gradinata del Campidoglio). In vista dell’Anno Santo 1450, sotto Nicolò V (Tommaso Parentucelli – 1447-1455), Alfonso de Paradinas (1395-1485), canonico della Cattedrale di Siviglia, finanziò la costruzione di una nuova chiesa, forse affidata all’opera di Bernardo Rossellino (1409-1464), e, per testamento, dopo la sua morte, nel 1485, lasciò il necessario per terminare la chiesa e un grande ospizio adiacente, che sostituì i due antichi ospizi, di cui abbiamo accennato. La chiesa, a pianta quasi quadrata con tre navate, era di dimensioni inferiori all’attuale per aver ricalcato gli interassi dello Stadio di Domiziano (forse sovrapponendosi alla cappella di Sant’Andrea). La chiesa si apriva su via della Sapienza (all’epoca chiamata via di San Girolamo, oggi corso del Rinascimento), senza arrivare sul filo stradale. Alessandro VI (Rodrigo Borgia – 1492-1503), forse con il concorso di Bramante (1444-1514), fece ampliare la chiesa alle dimensioni attuali e fece eseguire una facciat, ed un ingresso anche su piazza Navona. Con il matrimonio di Ferdinando II di Aragona con Isabella di Castiglia (1474-1504), anche se i due regni rimasero formalmente separati, si creò una situazione di collaborazione, anche se contrastata da visioni di ispirazione nazionalista, tra le istituzioni spagnole presenti a Roma: San Pietro in Montorio (vedi piazza di San Pietro in Montorio - Trastevere), Santa Maria in Monserrato (vedi via di Monserrato – Regola) e la nostra chiesa. Il cardinale Bernardino López de Carvajal (1456-1523) che fu, nel 1491, governatore di San Giacomo degli Spagnoli e, nel 1492, ambasciatore comune di Ferdinando II d’Aragona e di Isabella di Castiglia a Roma, favorì lo scambio di artisti che operarono nelle tre istituzioni spagnole. Con la morte di Isabella di Castiglia, nel 1504, che lasciava il suo regno nelle mani di suo marito Ferdinando II, i Regni di Castiglia e di Aragona, furono uniti anche sul piano legale per essere, da quel momento, nelle mani di un unico sovrano. Nel 1506, la nostra chiesa, da chiesa del regno Catalano, divenne Chiesa Nazionale Spagnola, allo stesso titolo che Santa Maria in Monserrato (vedi via Monserrato – Regola) che era stata la chiesa del regno d’Aragona. In conseguenza di questo cambiamento di statuto, Leone X (Giovanni de' Medici – 1513-1521) dette incarico ad Antonio da Sangallo (1484-1546) il Giovane di ampliare la chiesa ed a Pellegrino Aretusi da Modena (1463 – 1525) di affrescarne gli interni. Nel 1518, Antonio da Sangallo, progettista della chiesa di Santa Maria in Monserrato, realizzò una chiesa più grande, da via della Sapienza a Piazza Navona, con navate di pari altezza, coperte con volte a crociera: realizzò, inoltre, la cappella dedicata al santo patrono, San Giacomo Maggiore e un campanile, dietro la facciata, alla sinistra della chiesa entrando da piazza Navona. Nel 1579, Gregorio XIII (Ugo Boncompagni – 1572-1585) approvò la Confraternita della “Resurrecciòn”. La maggiore occupazione della Confraternita era la cura degli infermi che erano raccolti nell’ospedale spagnolo che, alla fine del XVI secolo, era stato sistemato nei locali dell’antico ospizio maschile, adiacente la chiesa. La confraternita era anche al centro delle magnifiche processioni annuali per la Pasqua e per la festa del Santo patrono, ma anche dei festeggiamenti per le vittorie militari dei re cattolici, così come per la nascita o la morte di membri della casa reale ed, in generale, per celebrarne la grandezza. In queste numerose occasioni venivano innalzati archi di trionfo sulla piazza o, eventualmente catafalchi, venivano accesi fuochi d’artificio e veniva addobbata a festa (o a lutto) la facciata della chiesa e dei palazzi di pertinenza spagnola. Con l’occupazione francese di Roma (1798-1799) la nostra chiesa fu saccheggiata, come quella di Santa Maria in Monserrato e, quando il potere papale fu ristabilito (1815), le due chiese nazionali spagnole si trovarono in uno stato di estremo degrado. Nel 1826, la nostra chiesa fu abbandonata dagli Spagnoli, che scelsero di concentrarsi su quella di Santa Maria in Monserrato, sulla quale riversarono molte delle opere d’arte smontate dalla chiesa di piazza Navona. Altre furono inviate in Spagna. La chiesa, abbandonata, fu utilizzata come legnaia, fino a che la Camera Apostolica non la mise all’asta, nel 1878. Vi fu un tentativo di Pio IX di recuperarla in intesa con la rappresentanza spagnola, ma il tentativo non ebbe successo. Durante il regno di Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci – 1878-1903) si riuscì a venderla alla chiesa protestante, ma, quando la notizia fu resa pubblica, si formò un movimento di protesta, guidato dall’avvocato romano Carlo Marini, capitano della guardia palatina, detto “muso duro” , che ottenne l’annullamento della vendita dalla Corona Spagnola. Fu allora che Leone XIII insistette con il padre Jules Chevalier (1824-1907), fondatore dei Missionari del Sacro Cuore, perché si facesse carico della chiesa e di gestisse come tale, dopo un adeguato ripristino. L’operazione ebbe pieno successo con il contributo di Leone XIII, dei fedeli e della Congregazione dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù. Nel 1879, padre Jules Chevalier (1824-1907) acquistò la chiesa ed incaricò del suo restauro l’architetto Luca Carimini (1830-1890), che modificò la parte superiore della facciata su piazza Navona, facendone l’ingresso principale, e realizzò un’abside ed un transetto dal lato di via della Sapienza, oggi corso Rinascimento (forse in questa occasione fu abbattuto il campanile). La chiesa fu consacrata di nuovo, sotto Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci – 1878-1903) e dedicata alla Madonna. Nel 1938, l’architetto Arnaldo Foschini (1884-1968) fu incaricato dell’allargamento di via della Sapienza per la creazione di corso Rinascimento. Per realizzare questo progetto fu necessario abbattere gli edifici (XVII-XVIII sec.) compresi tra le scomparse via del Pino, via del Pinnacolo e via della Sapienza, ma anche l’abside ed il transetto della nostra chiesa. Il Foschini ricostituì la facciata Est della chiesa nell’attuale posizione, mentre l’altare maggiore fu spostato dal lato di piazza Navona e fu creato un ingresso nella nuova facciata Est, per farne l’ingresso principale. La decorazione interna fu completamente rifatta, meno gli affreschi, realizzati tra il 1517 e il 1522 da Pellegrino da Modena (1460-1523) nella cappella di San Giacomo. Gli affreschi restano l’unica testimonianza pittorica della chiesa spagnola precedente. La chiesa cui è sovrapposto un piano abitabile, che aveva fatto parte degli ospizi spagnoli, così come parte degli edifici laterali (ex ospizi), ospita oggi la casa generalizia dei Missionari del Sacro Cuore. Paolo VI (Giovanni Battista Montini – 1963-1978) istituì la chiesa come titolo cardinalizio nel 1965.
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