Piazza della Trinità dei Pellegrini (R. VII – Regola) (vi convergono: via di Capo di Ferro, via dell'Arco del Monte, via di San Paolo alla Regola, via dei Pettinari)
La piazza, chiamata “campo della regione Arenula” o “Campus Scottorum”, fu poi, nel XVI secolo, detta dei Pellegrini da quando “l'anno 1548 alcuni pii scolari, fra i quali San Filippo Neri, cominciarono ad radunarsi nella chiesa di S. Girolamo della Carità (a via Monserrato, vicino a Piazza Farnese), ove sotto la direzione del loro padre spirituale Persiano Rosa, si dedicarono ad opere di cristiana pietà”.
Dal neo eletto papa Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi dal Monte - 1550-1555) fu formata la confraternita della Trinità dei Pellegrini, nell’anno giubilare iniziato nel mese di febbraio del 1550, a causa della sede vacante che terminò il 6 gennaio 1551.
Finito il giubileo “non potendo la carità stare oziosa, il Santo Fondatore deliberò, e nel tempo stesso animò i confratelli, a voler sovvenire i poveri convalescenti”. L’anno seguente cominciò questa nuova opera, senza che fosse abbandonata l’altra di assistenza dei Pellegrini e poiché la casa già affittata non era sufficiente, Paolo IV (Gian Pietro Carafa - 1555-1559), con motu proprio del 13 novembre 1558, le assegnò una delle più antiche chiese romane, quella di "San Benedetto in Arenula[1] e un edificio attiguo precedentemente ampliato”.
La chiesa di San Benedetto [2] detta anche “Scottorum”, (dalle vicine case degli Scotti, baroni romani, che avevano annessa un’abbazia appartenente ai monaci di Farfa), fu demolita e, al suo posto, la compagnia della Santissima Trinità costruì nel 1614 l’odierna Santissima Trinità dei Pellegrini.
L’ospizio annesso, ingrandito ancora con l’acquisto delle case adiacenti, ospitò i dimessi dagli ospedali che potevano così “per alcuni giorni vivere con agio e nutrirsi di cibi sani ed atti insieme a corroborare le loro languenti forze”.
Ma negli anni giubilari il suo funzionamento fu proprio miracoloso, basti pensare che in un solo anno giubilare alloggiò 582.760 Pellegrini.
Per il 1575, Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) “mandò tanto di straordinario, che a volerlo raccontare parrebbe quasi un’hiperbole, basta che dall'opera et dagli effetti si poteva raccogliere qual fosse il maestro, come si dice volgarmente, perché non si sgomentò detta Compagnia per la potente mano adiutrice che aveva, di ricevere 7 et 8000 pellegrini per ciascuna sera, e si fece conto particolarmente nel mese di maggio et hospitato successivamente 119.476 persone”.
Solo nel 1599 l’ospizio si trovò senza fondi tanto che dovette impegnare ogni suo avere ma, al termine del giubileo del 1600, “rimasero fondi così cospicui, raccolti dalla pubblica carità, da poter riscattare i pegni e iniziare la fabbricazione di una chiesa più ricca”.
Secondo una leggenda, una volta “vi furono alcuni artigiani che, fidatisi della Divina Provvidenza, chiusero le botteghe e vennero per tutto l'anno santo ad impiegare in quest'opera le fatiche loro. Occorse che, lavati i piedi a certi, e poi consegnati a chirurgi, non si videro più, onde si giudica che siano stati Angeli in forma di Pellegrini...”.
La pratica della lavanda dei piedi fu iniziata da Gregorio XIII e seguitò nel tempo da Paolo Giordano Orsini (1541-1585), dal cardinale Marcantonio Colonna (1523-1597), Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini - 1592-1605), Federico Borromeo (1564-1631), Cesare Baronio (1538-1607) [3], Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili - 1644-1655), donna Olimpia Maidalchini Pamphili (1591-1657), Alessandro VII (Fabio Chigi - 1655-1667), la regina Cristina di Svezia (1626-1689) che “con le proprie mani lavò i piedi a 12 pellegrine et a ciascuna donò un doblone d'oro” [4]. Così pure Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758) e tanti altri illustri uomini fecero parte della compagnia.
Anche il servizio era fatto da questi personaggi “in camera appartata vi erano i cardinali che tagliar dovevano le vivande e mandarle poi, per i coppieri di suoi, al servizio dei pellegrini”.
Nel 1575, uno di essi così ne scrisse: “Fummo presi da quelli gentil uomini a uno per uno per la mano e fummo menati in una stanzia e lì ci fecero sedere, e a nostro dispetto ci volsero lavare i piedi, cosa bellissima a vedere con quelli sciugatori bianchi e lisia (lisci) adorificha di salvia et altre erbe adorifiche, e poi ci menorno alla stanzia del dormire con carità e amore, cosa da far stupire tutto il mondo”.
L’Ospizio continuò nei secoli l’ospitalità per i pellegrini e gli indigenti e, nel 1849, già nella sede attuale, funzionò da ospedale da campo e vi morì Goffredo Mameli, ferito al Vascello nella difesa di Porta S. Pancrazio.
L’oratorio della Santissima Trinità, prospiciente la via delle Zoccolette, fu eretto sotto Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572), nel 1570, ancora vivente San Filippo Neri (1515-1595), per gli esercizi di culto della confraternita.
Assaltato e saccheggiato nel 1798 dagli ebrei, che vollero rifarsi su un oratorio che era uno dei luoghi sacri dove settimanalmente dovevano ascoltare una predica, venne restaurato, ma per ragioni di viabilità fu demolito nel marzo del 1940.
Di fronte alla Trinità dei Pellegrini, poiché “già qui anco era maggior Piazza che non adesso” (non esisteva il palazzo del Monte), stava l’antica chiesa di San Salvatore in Campo [5].
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[1] ) È fra quelle elencate da Cencio Camerario (1192).
[2] ) Presso la Chiesa v’era un'antica abazia di Benedettini. Nel 1550 la Confraternita occupò una casa offertale da Elena Orsini, nei pressi delle terme di Agrippa, all’Arco della Ciambella, dove i fratelli disponevano di un discreto numero di stanze e di un oratorio.
[3] ) Detto il « coquus perpetuus » ricevette il galero cardinalizio in refettorio e dal servo fece conservare il cappello rosso, perché lo tenesse in serbo per il giorno in cui sarebbe morto. E volle attaccargli un fiocco “sui generis” (ora di proprietà Simoncelli-Scialoia) costituito da tanti piccoli teschi infilzati nel nodo e ciondolanti come un macabro sonaglio dalle nappine. Nella cucina dell’oratorio annesso a San Giovanni dei Fiorentini si legge: “Caesar Baronius Coquus Perpetuus” scritto dal dotto cardinale quando era prete dell’oratorio ed addetto alla cucina.
[4] ) “Sua Maestà lasciò alla compagnia, insieme allo zinale, anche lo sciugatore che erale servito, opera di gran valore, per essere lavorato di punto in aria alla veneziana”.
[5] ) La demolizione dell’antica chiesa di S. Salvatore in Campo avvenne per l’allargamento del Palazzo del Monte di Pietà. Durante la prima Repubblica Romana (sorella della Repubblica Francese di Napoleone - 1798-1799), in questa piazza era il caffè di Michele Goggilla, luogo di incontro di ebrei, cristiani, preti e soldati francesi, che vi trattavano i loro affari.
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