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Via Lata (R. IX – Pigna) ( da via del Corso a piazza del Collegio Romano)
Nell’epoca romana (ed anche nel medioevo), la strada, chiamata “Lata” partiva dal lato orientale del Campidoglio. La strada usciva dalla porta Ratumena e terminava all’altezza di via del Caravita “senza giungere al Campo Marzio, perché, in corrispondenza della lapide al 1° miglio, già denominavasi Flaminia”.
In corrispondenza dunque del Caravita, la strada passava sotto un arco dell’acquedotto della Vergine, chiamato Claudio, del quale furono rinvenuti parecchi resti sotto Pio IV (Giovanni Angelo Medici - 1559-1565).
Un altro arco, “L’Arcus novus” [1], dedicato a Diocleziano e Massimiliano (286-305), era di fronte a S. Maria in via Lata. Prossima all’arco vi era la torre degli Aldemari, già posseduta, dal secolo XI, dai Sasso di Susanna. Gli Aldemari la donarono poi alle monache di S. Ciriaco. L’arco [2] e la torre furono demoliti da Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo - 1484-1492) quando, nel 1491, ricostruì la chiesa di Santa Maria in via Lata.
Un’antica tradizione dice che, dov’è ora la chiesa, Santa Maria in via Lata, avessero dimorato gli apostoli Pietro e Paolo e che S. Luca vi avrebbe scritto gli “Acta Apostolorum” [3].
Negli scavi fatti è stata trovata, al livello della via, ruderi di un’antica casa del III sec. [4] che potrebbe esser quella in cui S. Paolo “mansit biennio toto in suo conducto” mentre “praedicabat regnum Dei et docens quae sunt de Domino Jesu Christo cum omni fiducia sine prohibitione”. Sembra certo che un oratorio, risalente a San Pietro (Bruzio Theatre Urbis Roma), sia stato riconosciuto come un’antica stazione apostolica, dove Sergio I (687-701), nel '700, avrebbe edificato una memoria alla Madonna, costituendola poi in Diaconia. La vicinanza dei conti di Tuscolo, che avevano la loro abitazione nelle case poi dei Colonna [5] in piazza Santi Apostoli, sembra possa confermare le notizie che si hanno d’ingrandimenti e restauri di via Lata, fatti da Teodoro (VIII sec.), padre di Adriano I (772-795 – Conte di Tuscolo) e da Teofilatto e Teodora (sec. IX-X) genitori di Marozia, sposa di Alberico I (+925), conte di Tuscolo, di cui Gregorio Magno (590-604) fu un illustre antenato. Arricchita di reliquie da Leone IX (Bruno von Egisheim-Dagsburg - 1049-1054), Eugenio IV (Gabriele Condulmer - 1431-1447) vi unì, nel 1433, il monastero di S. Ciriaco delle Camilliane che furono poi trasferite da Nicolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-55). L’attuale facciata fu edificata da Alessandro VII (Fabio Chigi - 1655-1667). Nella chiesa ebbero luogo i funerali di Letizia Bonaparte il 6 febraio 1836 [6].
San Ciriaco in Diburo [7] fu chiamata la chiesetta, annessa al monastero di S. Ciriaco, dietro l’abside di S. Maria in Via Lata, con il prospetto su piazza del Collegio Romano. La chiesa e l’annesso monastero, che avevano il cimitero all’altezza del cortile del futuro palazzo Doria, furono poi detti "de Cammilliano”, quando l’arcus Diburi fu detto "Camillianum” [8]. Il cimitero del convento venne alla luce "nell'occasione che il principe Pamphili spianava il giardino per fabbricare la stalla nel palazzo di donna Olimpia Aldobrandini".
La casa della canonica, trasformata in palazzo dal cardinale Fazio Giovanni Santori (1447-1510) [9], fu fatta cedere da Giulio II (Giuliano Della Rovere - 1503-1513), al quale il Santori doveva il cardinalato, al nipote Francesco Maria Della Rovere, duca d’Urbino. I della Rovere vi aggiunsero il magnifico cortile, attribuito al Bramante (1444-1514). Nel 1581, la proprietà passò agli Aldobrandini, ed in seguito, per il matrimonio di una Olimpia Aldobrandini con Camillo Pamphili [10], la proprietà passò a questi ultimi che ne sono attualmente proprietari [11].
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[1] Sempre in epoca romana, presso “l’arcus novus” dedicato a Diocleziano (285-305), a destra della Flaminia, erano sorti grandi porticati, in congiunzione con quelli del Traianeo, comprendenti anche degli edifici, come la caserma della prima corte dei vigili ed il “catabulum” (stazione di vetture pubbliche), porticati che si estendevano per circa 150 m., fino alle falde del Quirinale e comprendevano il posteriore “porticus Costantini” ed il sito dell’Apostoleion di Narsete.
[2] ) 1491 – “Die 23 augusti, coeptum fuit opus S. Mariae in via Lata, videlicet destruere dictam eclesiam et aliam novam aedificare cum demolitione arcus triunphalis supra quem in aliqua parte erat aedificata...”.
[3] ) La Commissione pontificia degli studi biblici ha nel 1913, affermato: 1° - Gli Atti degli Apostoli sono di S. Luca 2° - Il tempo della composizione si deve ritenere prossimo alla fine della prima cattività di S. Paolo a Roma. 3° - Le disformità dalla storia biblica o profana non sono tali da poter mettere in dubbio l’autorità storica degli Atti degli Apostoli. Gli Atti al capitolo XXVIII dicono (S. Luca parla in prima persona): “...dopo 2 giorni arrivammo a Pozzuoli dove trovammo dei fratelli e, pregati da loro, ci trattenemmo 7 giorni, e poi c’incamminammo verso Roma. Di là i fratelli avendo udito le cose nostre, ci vennero incontro fino a “Forum Apii” e alle “tres Tabernae...fino al fosso di Appio e alle tre taverne” per prestare omaggio e appoggio al prigioniero. “Paolo, vedendoli, ringraziò Dio e prese coraggio. Arrivati a Roma, Paolo ottenne di abitare a sé, sotto la custodia di un soldato” [I cristiani di Trastevere costituivano già un considerevole nucleo quando andarono incontro a Paolo di Tarso (61 d.C.)]. È tradizione che la prima dimora di S. Paolo in Roma fu nel quartiere dell’Arenula (corrotto in Regola) nella via dei Cuoiai (vicus Coriariorum o Coriarius), dove sorse la prima chiesa dedicata a S. Paolo (S. Paolino alla Regola - vedi). In questo quartiere erano le conce delle pelli, ciò che permetteva a S. Paolo di lavorare secondo il suo mestiere di cuoiaio ed anche per la vicinanza degli ebrei coi quali doveva intendersi, oltre che per la vicinanza del tribunale giudaico e del tribunale imperiale di appello. L’affermazione degli “Acta Pauli” (apocrifi) che dicono aver Paolo, arrivando a Roma, preso in fitto un granaio fuori città (harreum extra urbem) e l’altra, pure apocrifa, che pone la dimora di S. Paolo a S. Maria in via Lata, sono smentite, tra gli altri, dal Parisi che ai documenti della letteratura e della tradizione ha aggiunto anche quelli degli scavi, ai quali si è interessato direttamente Antonio Munôz.
[4] ) La chiesa, è stato accertato, era stata fabbricata sui “Saepta Julia” (Più recentemente, nel 2012, il Prof. Carandini pone i Septa Julia sul fianco destro del Pantheon e suppone che la Chiesa di S. Maria in Via Lata sia fondata su di un Horreum-magazzino). Vicino alla chiesa si trova nel medioevo l’indicazione topografica “diburium” o “deburo” ricordo del “diribitorium” che serviva un tempo per lo scrutinio dei suffragi.
[5] ) I Colonna fanno la loro prima comparsa nella storia con un Pietro, nel 1101: "Petrus de Columna Cavas oppidum de iure Beati Petri invaserat". Pietro fu forse un figlio di Gregorio di Tuscolo, fratello di Benedetto IX (Theofilatto III dei Conti di Tuscolo - 1032-1044 e 1049) e prese il nome dal castello Colonna sulla via Labicana. Fu questa piccola rocca che fece chiamare de Columna quel ramo dei Tuscolo. Per loro impresa (blasone) usavano i giunchi col motto "Flectimur non frangumur undis". Altri attribuisce l’origine del loro nome alla vicinanza della loro abitazione in Roma, alla Colonna Traiana.
[6] ) Morte di Letizia Bonaparte (dal Diario del principe Agostino Chigi) - Sabato 6 febbraio 1836 – “Questa mattina a S. Maria in via Lata si è fatto il funerale alla Madonna Letizia senza alcuna paratura e col cadavere esposto in terra. Vi è stato del diverbio sopra l’abito ed ornamento regio, e sopra l’armi già imperiali di Francia, cioè l’aquila coi fulmini, che il cardinale Fesch voleva adottare ed a cui poscia ha dovuto rinunciare, e nello scudo dell’arma, che è stata posta sulla porta della chiesa non vi era più la N”. Era defunta da 5 giorni, infatti si legge: “Martedì 2 febbraio – Ieri verso le 8 di Francia, morì Madama Letizia Bonaparte, madre dell’imperatore Napoleone, in età di 87 anni, da molto tempo allettata per rottura di una coscia in conseguenza di una caduta e quasi del tutto cieca”.
[7] ) Il Porticus Divorum¨ aveva una forma allungata ed, ai lati dell’ingresso, due tempietti o edicole fronteggiate da quattro colonne e da una gradinata. Era situato a sud est della villa pubblica, cioè sotto il palazzo e la Piazza Grazioli, fino alla via del Plebiscito. L’arco d'ingresso del “Portico Divorum”, ancora in piedi nel Medioevo, era un portico eretto da Domiziano (81-96) in onore di suo padre Vespasiano (69-79) e di suo fratello Tito (79-81), dopo che furono divinizzati, che fu chiamato tanto “Tiburium” quanto “Diburium”, evidente corruzione di “Divorum” (per altri archeologi evidente trasformazione di "Diribitorium”). (diribire – dishibere = scrutinare i voti). Plinio e Svetonio ne parlano come di un’opera grandiosa, cominciata da Agrippa e finita da Augusto. Dione Cassio aggiunge che l’edificio, ornato con lusso particolare, aveva molto sofferto per l’incendio dell’81 e che da allora il tetto della grande sala non era più stato ricostruito per mancanza di travi di una lunghezza così considerevole che, a detta di Plinio, avevano 100 piedi di lunghezza (circa metri 30) per 0,45 di spessore. Dopo il terzo secolo non è più ricordato, ma doveva trovarsi congiunto ai Saepta
[8] ) La denominazione dell’arco, da Diburium a Camilliano o Comigliano, potrebbe derivare dal nome della gente Camilla, di cui Marco Furio Camillo fu il capostipite, o dalla corruzione di “Campo Aemiliano”, per gli ampli possedimenti degli Aemilii, in questa zona, tanto che la Piazza del Collegio Romano, che si era chiamata Piazza di Comigliano, potrebbe aver dato il nome all’arco. Recentemente, 2012, è stato accertato, dal Prof. Carandini, che l’arco corrisponde all´ingresso laterale dell´ “Iseum et Serapeum”, nel lato verso la via Lata, e non ad un ingresso del “Porticus Divorum”.
[9] ) Già proprietà del cardinale Niccolò d’Acciapaccio (1382-1447) che ne aveva iniziato la costruzione (1447) poi proseguita dal cardinale Zeeck (1439-1465) e terminata dal cardinale Fazio Giovanni Santori (1447-1510) che l’aveva acquistata nel 1489.
[10] ) Camillo Pamphili era figlio di donna Olimpia Maidalchini e di Porfilio Pamphili e fu nominato, dallo zio Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili - 1644-1655) cardinale nipote e poi dispensato al fine di poter sposare donna Olimpia Aldobrandini, principessa di Rossano. Diceva Pasquino: “Magis amat Papa Olimpiam quam Olimpum”.
[11] ) Doria-Pamphili-Laudi – Famiglia genovese (forse originaria d’Oria – Brindisi) XI-XII sec.. Di parte ghibellina fu esiliata dal doge Boccanegra, ma alla rinuncia di questi al dogato (1344) rientrò a Genova. Di Branca d’Oria che uccise il suocero Michel Zanche (1275), dice Dante nel XXIII canto dell’inferno:
“...Egli è Branca d’Oria, e son più anni Poscia passati, ch’ei fu sì racchiuso.” “Io credo” dissi lui, “che tu m’inganni; Ché Branca d’Oria non morì unquanche, E mangia e bee e dorme e veste panni.” “Nel fosso sù”, diss'el, “de' Malebranche, là dove bolle la tenace pece, non era ancora giunto Michel Zanche, che questi lasciò il diavolo in sua vece nel corpo suo, ed un suo prossimano che 'l tradimento insieme con lui fece”.
Né basta a Dante aver messo il diavolo in corpo al d’Oria, ma contro i Genovesi scrive ancora:
“Ahi, Genovesi, uomini diversi d'ogne costume, e pien d'ogne magagna, perché non siete voi, del mondo, spersi?”
Un Oberto (Doria) vinse i Pisani alla Meloria (1284); Lambra vinse i Veneziani guidati da Nicolò Pisani (1351); e Luciano vittorioso su Vettor Pisani a Pola (1379) ed altri ancora, sui quali primeggia quell’Andrea (1468-1560) chiamato dai suoi concittadini “padre liberatore della patria, ed eletto dal 1528, censore a vita”. Il nipote Giovanni Andrea, sotto la guida di Giovanni d’Austria, combatté il 7 ottobre 1571 a Lepanto con Marcantonio Colonna , Agostino Barbarigo, Sebastiano Venier, Alessandro Farnese, e Andrea Provana contro Kapudan Pascià Muëssin Sade Alì che fu vinto e ucciso. Giovanni Andrea IV Doria, duca di Melfi (1704-1765) sposo di Eleonora Carafa, fu erede (1760) di Pamphili e dei Landi, dando origine all’attuale casa dei principi Doria-Pamphili-Landi. Le salme dei Doria, che risalgono tra il 1275 e 1305, riposano a San Fruttuoso (Camogli -Genova) a destra della chiesa, presso il chiostro di fattura romanica con loggia superiore, in tombe sormontate da archi acuti e facce di marmo nero poggianti su colonne binate. Furono i Benedettini Cassinesi che, nel X secolo, costruirono una chiesa e un monastero a San Fruttuoso, dove già avrebbero eretto una chiesetta i discepoli di San Fruttuoso, venuti dalla Spagna nel 260 per sfuggire alle persecuzioni.
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