Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), chiamato dal pontefice, disegnò rapidamente una serie di progetti, tra i quali fu scelto quello dell’elefante, anche per la meraviglia che aveva suscitato l’arrivo di due elefanti a Roma, nel 1630 e nel 1655. Già il 28 aprile 1666 la Dataria versava i primi contributi per l’esecuzione dell’opera e per il rifacimento della scalinata di accesso alla chiesa. La gestione finanziaria dei lavori fu affidata al padre domenicano Giuseppe Paglia (c.1616-1683), anche se non si può escludere una sua partecipazione nella sistemazione della piazza, essendo egli versato in materia di architettura. Il gesuita, padre Athanasius Kircher (1602-1680), fu incaricato dal papa di interpretare i geroglifici dell’obelisco e di redigere i testi da scolpire sulla base del monumento. Si seppe, allora, che l’obelisco, di granito rosso, era dedicato al Faraone Uahabre (VI sec. a.Ch), l’alleato di Israele che vide Nabuccodonosor II (c.634-c.562 a.Ch.), re di Persia, distruggere il suo regno e la città di Gerusalemme (587 a.Ch.). L’esecuzione della scultura fu affidata, dal Bernini, a Ercole Ferrata (1610-1686), suo fidato collaboratore. I lavori terminarono l’11 giugno 1667. Qualche anno più tardi, il poeta toscano Ludovico Sergardi (1660-1726) scrisse: “Vertit terga Elephas, versaque proboscide clamat: Kiriaci fratres hic ego vos habeo” (frati Domenicani, siete dove l’elefante volge le terga e grida con la proboscide rivolta all’indietro). L’elefante è popolarmente chiamato “Pulcin de la Minerva”
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