|
Negli ultimi lavori della basilica, non è stata trovata traccia di un edificio anteriore a quello del IX secolo. Un documento del V-VI sec., le “Gesta Pudentianae et Praxedis” narra di un “Presbyter Pastor” che avrebbe pregato Papa Pio I (140-155) di trasformare in chiesa (Titulus) le “thermas Novati quae iam tunc in usu non erant”. Il pontefice acconsentì e dedicò la “ecclesiam sub nomine sanctae Praxedis in vico qui appellatur Lateranus ubi constituit et titulum romanum in quo loco consecravit baptisterium”. Dal “Liber Pontificalis” si sa che papa Adriano I (772-795), nell’anno 780, e papa Leone III (802-806). rinnovarono il “Titulus Praxedis”. Dal momento che non c'è un testo, che accerti positivamente, che le terme di Novato siano quelle comunemente indicate nel luogo dove fu posto il “titulus Praxedis”, si può pensare che Pasquale I (817-24), che fu prete di questo titolo, assunto al papato, rinnovasse la chiesa, mutandola di luogo. Del resto, il “Liber Pontificalis” nell´informarci della ricostruzione del “Titolo Praxedis”, dice “in alio non longe demutans loco”. La basilica attuale è opera dunque di Pasquale I (817-824) ed era costituita da un’aula absidata, a tre navate separate da undici colonne per lato, con un transetto, poco più largo delle tre navate, illuminato da dodici finestre. Sopra la trabeazione della navata centrale erano 24 finestre di stile carolingio e cinque finestre nella parte bassa dell’abside. Decisamente la chiesa di Pasquale I era una chiesa piena di luce dove i mosaici dell’abside e dell’arco trionfale erano il punto focale della basilica. Sotto l’altare maggiore, munito di ciborio, era una confessione a pianta semicircolare con ingresso dai due lati dell’altare e, molto probabilmente, esisteva una “Scola Cantorum” davanti al presbiterio, a giudicare dai resti marmorei oggi conservati nella Cappella del Crocifisso. La Cappella di San Zenone fu pure realizzata da Pasquale I in onore di sua madre Thodora. L’ingresso della chiesa era provvisto di un atrio porticato e la sua facciata era ornata a mosaico di cui ancora si possono trovare tracce vicino alla finestra di sinistra. Le colonne antiche, per la loro uniformità sembrano provenire da un unico tempio antico, mentre i capitelli sono in stucco e sono stati realizzati all’inizio del XVII secolo, probabilmente durante il pontificato di Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini - 1592-1605), al tempo del cardinale titolare (1600-1605) Antonio Maria Gallo (1553-1620) se fanno fede i galletti inseriti nel pistillo dei capitelli. Alla chiesa erano affiancati due oratori dedicati a San Giovanni Battista ed a Sant’Agnese e, dietro l’abside, un monastero affidato a monaci greci. A metà del XII secolo papa Anastasio IV (1153-1154) concedesse l’officio della chiesa ai Canonici di Santa Maria del Reno (agostiniani). Tale concessione, fu revocata da papa Celestino III (1191-1198) e, nel 1198, dal suo successore, Innocenzo III (1198-1216), fu concessa ai monaci Vallombrosani (benedettini) che la detengono ancora. Nell’attuale chiesa si notano tre archi che inglobano tre antiche colonne per parte e che dividono la navata centrale in quattro parti uguali. Questi archi furono introdotti nel XIII secolo, probabilmente con l’arrivo dei monaci Vallombrosani, per rinforzare la stabilità della chiesa. In questo periodo fu anche realizzato il protiro ancora visibile in via di S. Martino ai Monti e un campanile sfruttando, per la sua fondazione, l’estremità sinistra del transetto. Per ristabilire la simmetria, fu creata la cappella del Crocifisso nel lato opposto del transetto. Fra il 1489 e il 1504, il cardinale titolare (1489-1503) Antoniotto Pallavicini (1441-1507) chiuse i varchi di comunicazione, rimasti aperti, tra il presbiterio e il campanile, dal lato sinistro e con la cappella del Crocifisso dal lato destro, costruendo un muro (per ogni lato) sul quale si trovano due porte per lato (di cui una sola è una vera porta) e realizzò, nella parte alta, due balconate comunicanti con il monastero, ad uso dei monaci (in quella di sinistra è oggi installato l'organo della chiesa, costruito dalla ditta Tronci nel 1884). Nel 1564, divenne cardinale titolare (1564-1584) Carlo Borromeo (1538-1584) che, in conseguenza delle conclusioni del concilio di Trento (1545-1563), espanse il presbiterio verso l’aula, fece realizzare due balconi alla base dell’arco trionfale per l’esposizione delle reliquie (una parte del mosaico dell’arco trionfale andò distrutta), fece costruire il portale d’ingresso alla chiesa (ancora visibile nell’atrio), coprì con volte a botte le navate laterali e aprì otto grandi finestre nella navata centrale (chiudendo le 24 finestre carolinge antiche). Nel 1594 divenne titolare (1594-1600) il cardinale Alessandro de’ Medici (1535-1605), poi papa Leone XI (1º aprile 1605-27 aprile 1605), che commissionò la decorazione della navata centrale con otto affreschi sulla passione di Cristo, posti sotto le finestre aperte da Carlo Borromeo, opera di diversi pittori tra cui Giovanni Balducci (1560-1631), Paris Nogari (1536-1601), Girolamo Massei (c.1540-c.1620), Agostino Ciampelli (1565-1630) e Baldassarre Croce (1558-1628). Più tardi, dopo il concilio di Roma del 1725 (di portata locale) ed in applicazione dei principi espressi dallo stesso sopra il rinnovato culto dei martiri, cominciò la ricerca dei corpi di Santa Prassede e di papa Pasquale I sotto l’altare maggiore. Ciò portò il cardinale titolare (1728-1731), Ludovico Pico della Mirandola (1668-1743) a rivedere completamente l’impianto dell’altare maggiore e del ciborio, ad opera di Francesco Ferrari (1703-1750), ricostruendo il ciborio e ricomponendo la scalinata d’accesso e di discesa alla cripta (1728-1734), così come le vediamo oggi (L’edificazione del ciborio, pur pregevole, e la drastica riduzione delle finestre del Borromeo ha delegato il mosaico di Pasquale I ad un ruolo di secondo piano). Anche l’abside fu interessata dai cambiamenti del XVIII secolo perché fu decisa la chiusura dell’ultima finestra centrale per ospitare un quadro (c.1730) di Domenico Muratori (1661-1742) che presenta Santa Prassede mentre, con una spugna, raccoglie il sangue dei martiri. I controsoffitti a cassettoni nelle quattro sezioni della navata centrale sono stati realizzati nel 1868. La volontà di ritrovare l’aspetto primitivo della chiesa portò nel XX secolo al rifacimento della pavimentazione in stile neo-cosmatesco, nel 1918, e al ritrovamento della parete laterizia della facciata dalla quale fu tolto l’intonaco, nel 1937. In questa occasione furono ritrovate le due finestre a tutto sesto che affiancavano la centrale. Le tre finestre furono ripristinate nella forma medievale e fornite di transenne da Antonio Muñoz (1884-1960), responsabile del restauro.
|