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Nel 1584, il cardinale Filippo Boncompagni (1548-1586) nipote di Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585), arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore (1581-1586), riuscì a portare il Patriarchio tra i beni del capitolo di Santa Maria Maggiore al fine di farne la sede del penitenziere di Santa Maria Maggiore e di incrementare il reddito dei canonici, dato che il Patriarchio era venuto in disuso come palazzo papale. Con Sisto V (Felice Peretti – 1585-1590) iniziarono una serie di interventi che porteranno alla distruzione del Patriarchio. Il primo intervento consistette nella realizzazione di una nuova strada che unisse le chiese di Santa Prassede ( vedi via omonima - Monti) e di Santa Pudenziana (vedi via Urbana - Monti) che, passando sul fianco sinistro della Basilica liberiana, portò alla demolizione della “Sala Regia” e del lato corto della “L”. Domenico Fontana (1543-1607), l’architetto caro a Sisto V, iniziò i lavori nel 1587. Il resto del palazzo si avviò ad un lento degrado, tanto che il cardinale Domenico Pinelli (1541-1611), nuovo arciprete della Basilica dopo Filippo Boncompagni, si rifiutò di apportare i necessari restauri. I proventi del palazzo si limitarono, in quelle condizioni, ai prodotti dell’orto e all’affitto dei locali rimasti, divenuti depositi di sementi. Anche Paolo V (Camillo Borghese – 1605-1621) intervenne nella pianificazione urbana della zona di Santa Maria Maggiore, provocando il cambiamento definitivo verso la situazione attuale. Infatti, già con Sisto V la residenza estiva dei Papi si era spostata dal Vaticano al Quirinale creando una vera e propria fuga dal Rione Borgo dei prelati di corte che, cercando una nuova sistemazione decorosa intorno al Quirinale, si riversarono su Santa Maria Maggiore, facendo salire il costo degli affitti e dei terreni. I canonici di Santa Maria Maggiore erano appunto in cerca di un maggior reddito e, già nel 1582, avevano pensato di lottizzare il terreno del ¨Patriarchio” per ricavarne una serie di case da affittare. In questo furono favoriti da Paolo V che, con una sua Bolla del 1615, permise la lottizzazione del terreno del “Patriarchio” con la realizzazione di nuove strade quali la via Paolina che taglia in due il terreno del Patriarchio e la via dei Quattro Cantoni che riceve le vie dell’Olmata e la Paolina. La lottizzazione fu pure possibile grazie all’abbondante disponibilità d’acqua proveniente dall’Acquedotto Felice, realizzato da Sisto V nel 1587, che forniva acqua alla zona di Termini ed al Quirinale. Il lottizzatore, di quel momento fu la famiglia Santarelli, proprietaria di lotti limitrofi, la quale, appoggiata dai suoi esponenti laici ed ecclesiastici ben introdotti nella corte pontificia, riuscì a sottoscrivere un accordo (1610) con il Capitolo di Santa Maria Maggiore per la realizzazione di abitazioni per i canonici che saranno realizzate tra il 1613 e il 1614. Si ricorse anche allo strumento dell’enfiteusi che permetteva ai singoli, con piccoli capitali, di edificare case particolari su piccole superfici. Il primo, di molti altri, ad approfittare di questa possibilità fu Odoardo Santarelli che prese in enfiteusi lo spazio di due stanze dell’antico palazzo per costruirvi una casa con giardino per Aurelio Ridolfi jr., minorenne che il Santarelli aveva in affidamento. Così tutto il lotto delimitato da via dell’Olmo, via Paolina, via dei Quattro Cantoni e via di Santa Maria Maggiore, si riempì di una seria di piccole case con giardino rispondenti alle esigenze della classe medio-alta della società romana. Nel 1636, la famiglia Ravenna, banchieri originari di Chiavari, acquistò una serie di piccole case su via dell’Olmo, allo scopo di realizzare la residenza romana della famiglia. La famiglia Ravenna conservò il palazzo fino al 1816 e lo restaurò, nel 1725, in occasione dell’Anno Santo. Nel 1816 il palazzo Ravenna ospitò un monastero di suore agostiniane del Divino Amore, fondato da suor Rosalia Bussi (Fondatrice dell’Istituto del Divino Amore di Roma proveniente da quello di Montefiascone da cui le suore furono temporaneamente cacciate dalle truppe francesi). Le suore rimasero nel palazzo fino al 1848, quando furono espulse dalla proprietà per mancato pagamento dell’affitto. In realtà, la proprietà del palazzo passò dai Ravenna al conte Giacomo Carrara, poi a Giuseppe Giovenale, ma non si è a conoscenza degli anni dei passaggi di proprietà. Tra il 1850 e il 1855 il palazzo ospitò le truppe di occupazione francese. Nel 1855, Giuseppe Giovenale vendette il palazzo alla Camera Apostolica che lo destinò a caserma dei Carabinieri Pontifici. Nel 1870, (niente di più naturale) vi si stabilì la caserma della Guardia di Finanza, dedicata al generale Raffaele Cadorna (1815-1897, fino ai nostri giorni. È da notare, lungo la via dell’Olmata, l’abbassamento del livello stradale (uno dei due ingressi, ancora visibile, è stato murato e si trova a circa due metri dall’attuale livello stradale) dovuto alla sistemazione della zona di Santa Maria Maggiore e alla creazione di via Cavour, dopo la presa di Roma.
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