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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via_dei_quattro_cantoni-Villa_Sforza

Infatti risulta che, nel 1620, Domenico Fedini (1575-1629), fiorentino, canonico di Santa Maria Maggiore, uomo coltivato, dedito ai fatti d’arte (a lui si deve il patrocinio del Bernini giovane nella ricostruzione della chiesa di Santa Bibiana – vedi via omonima - Monti) abbia preso in enfiteusi un terreno “prope et conspectu venerabilis monasteri S. Lucie in Silice”, di proprietà di Giovanni Santarelli per farvi edificare un casino circondato da un ampio giardino.
Domenico Fedini, muore nel 1629 e lascia i suoi beni e oneri al cugino Camillo Lottini che, forse per mancanza di mezzi, trascura i beni ereditati, tra cui il casino ed il giardino e contrae debiti tra cui il canone d’affitto del terreno dei Santarelli.
Poco prima della vendita all’asta del casino, richiesta dai creditori Santarelli, Camillo Lottini riesce a vendere, alla fine del 1634, casino e giardino a Paolo Sforza (1602-1669), marchese di Proceno. Il marchese Sforza si assunse, nella transazione, tutti i debiti del Lottini, nei confronti del capomastro che aveva costruito il casino e realizzato il giardino, come dei fitti arretrati dovuti ai Santarelli.
In vista del suo matrimonio con Isabella Bentivoglio Mattei (+1641), celebrato, nel 1639, nella basilica di San Martino ai Monti, lo stesso marchese realizzò, da subito, la villa Sforza che inglobò il casino esistente e che, a difetto di documenti cartacei, viene descritta assai fedelmente nelle piante di Roma del Falda del 1676 e da quella del Nolli del 1748.
Nella pianta del Falda si riesce a intravedere l’assetto della villa che era di forma rettangolare compatta con accesso porticato al giardino ed una superba altana, mentre dalla parte di via dell’Olmata (che non si vede nella pianta del Falda) quanto oggi è visibile (solo le sette finestre centrali) a meno della doppia rampa di scale che, da curvilinea, è oggi rettilinea (modificata nel XIX secolo).
I lavori di realizzazione della villa terminarono nel 1640, mentre il giardino, ingrandito da successive acquisizioni, raggiungerà la sua sistemazione finale solo dopo il 1660.
Per matrimoni successivi, la famiglia Sforza si era imparentata con la famiglia dei Mattei: la moglie di Paolo Sforza, in prime nozze (1639), fu Isabella Bentivoglio Mattei (+1641), come già detto, e con quella dei Salviati: Caterina Sforza (c.1630-1698), figlia di Paolo Sforza (seconde nozze – 1642) e di Olimpia Cesi (1618-?), sposò (1663) Francesco Maria Salviati (1629-1698), il duca di Giuliano.
Fu il duca Francesco Maria Salviati che affrancò la villa ed il giardino, dei quali era venuto in possesso per eredità, dall’enfiteusi della famiglia Santarelli per la somma di 4000 scudi, nel 1692.
Nel 1734, il monastero di San Filippo Neri, delle suore oblate dette Filippine, acquistò dagli eredi di Antonio Maria Salviati (1665-1704), figlio di Caterina Sforza e di Francesco Maria Salviati, la villa con il giardino.
Le suore ingrandirono la proprietà con acquisti successivi, fino a possedere l’intero isolato (Nolli 1748) e realizzarono un ampliamento della villa, da ambo i lati della facciata principale, tuttora riconoscibile ai lati delle sette finestre della parte centrale che rimase intatta con ancora i segni araldici di casa Sforza. I lavori furono realizzati dal capo mastro muratore Giovanni Carlo Bossi, sotto la direzione dell’architetto Gaetano Fabrizi (1688-1750), dal 1734 al 1743.
Con Roma Capitale, il monastero fu sequestrato (1873) dallo Stato Sabaudo che attribuì gli edifici al servizio delle Dogane del Ministero delle Finanze, che lo occupano ancora oggi.

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