Piazza del Pantheon (ora Piazza della Rotonda) (Colonna - Pigna - S. Eustachio) (vi convergono: via del Pantheon, via della Rosetta, via Giusiniani, Salita de' Crescenzi, via della Rotonda, via della Minerva, via del Seminario, via degli Orfani)
Il più antico documento Romano nel quale appaia il nome di Pantheon, data dal tempo di Nerone (54-68), nel 59, e da una tavola arvalica[1] che fu trovata nel 1866 dov'era il Tempio della dea Dia, lungo la via Portuense. Il Pantheon fu dedicato da Marco Vespasiano Agrippa nel 27 a.C. e con le sue terme che, nella loro primitiva costruzione, si estendevano fra la Minerva, e San Giovanni della Pigna, Piazza dei Caprettari e via Monterone, formavano un complesso grandioso.
Il Medio Evo favoleggiò[2] di una rivolta in Persia, rivelata dalla statua, che, fra le altre, stava a rappresentare nel tempio di Giove Capitolino i regni soggetti ai Romani. Queste statue, che avevano al collo un campanello si muovevano volgendo il dorso e facendo suonare il detto campanello, avvertivano che quel tal regno si era ribellato. Così nel caso della Persia, avendo il sacerdote di guardia avvertito il suono, ne informò il senato che stabilì di incaricare Agrippa di domare la rivolta. Questi, che aveva perso tre giorni di tempo per accettare l'incarico, ebbe nella notte la visione di Cibele che gli assicurò la vittoria, se avesse poi dedicato un tempio a lei ed a Nettuno. “Dopo di che con apparato di uomini e di navi, e con cinque legioni, andò e vinse tutti i persiani, imponendo loro un annuo tributo che avrebbero pagato al Senato Romano. Di ritorno a Roma edificò il tempio che venne dedicato a Cibele madre degli Dei, a Nettuno Dio del mare e a tutti gli altri numi e lo chiamò Pantheon”.
Anche per la sua costruzione sorse la leggenda che, per dare la curvatura a quella cupola così grande, i romani avrebbero creato una collina artificiale sulla quale sarebbe stata modellata la cupola stessa e poi svuotata a lavoro compiuto. In base all'esame della muratura si vuole che l'edificio sia opera di Adriano (117-138), il cui nome non compare affatto sul monumento[3].
Dopo l'incendio dell'80, fu restaurato da Diocleziano (81-96) e da Traiano (98-117), ma fu l'imperatore Adriano (117-138) che lo ricostruì interamente, cambiando la forma rettangolare in rotonda ed alzandone di 2 m il livello, ma riproducendo sul timpano l’iscrizione antica “Marco Agrippa fece essendo console per la terza volta”. Settimio Severo (193-211) e Caracalla (211-7) “Pantheum vetustate corruptum cum omni cultu restauraverunt”.[4]
Prossimo al Pantheon fu, sotto Settimio Severo, l’ “Insula Felicles” (Felicula-dolce), il grattacielo Romano che oltrepassava in altezza i 20 m stabiliti da Augusto e i 18 m da Traiano.
Alla fine del IV secolo, la zona, come del resto Roma tutta, splendeva per i suoi portici, fori, archi, terme, templi, ippodromi ecc., e ben poteva scrivere Claudio Rutilio Namaziano nel 416: “Fecisti patriam diversis gentibus unam, Urbem fecisti quod prius orbis erat”.
Ma da allora i barbari e poi i cittadini cooperarono alla distruzione di tanta bellezza.
La carenza delle leggi, la diserzione delle classi dirigenti aggravarono nel V e VI secolo la situazione e se il Pantheon poté attraversare, quasi immune, tale periodo lo dové forse alla sua stessa imponenza.
Nel VII secolo il vescovo di Roma Bonifacio IV (608-15) chiese all'imperatore Foca (602-10) di dedicare il tempio di Agrippa, al culto cristiano. Avutone l'assenso, il Pontefice per testimoniare riconoscenza del dono a lui fatto dall'imperatore, fece levare una colonna commemorativa nel “Forum Magnum”.
L'esarca bizantino Smaragdo pose sulla colonna una statua di bronzo dorato dell'imperatore Foca, lasciandone il ricordo con una magniloquente iscrizione, collocata sul basamento (ora scomparsa). Fu questa colonna l'ultimo monumento onorario del Foro, tanto più gradito anche al Pontefice perché l'Imperatore, con un suo decreto, stabiliva pure che Roma dovesse essere onorata e rispettata quale “caput” del cattolicesimo, mettendo fine a quella controversia del primato, che il vescovo di Roma aveva sostenuto contro il patriarca di Costantinopoli.
La consacrazione del tempio avvenne il 13 di maggio fra gli anni 608 e 610 e fu dedicato a “Santa Maria ad Martires”
Una tradizione dice, che il Papa vi avrebbe fatto trasportare dalle catacombe 38 carrettate di reliquie dei martiri, seppellendole sotto la Chiesa. Nel 645, Costante II, ripartendo da Roma, tolse dal Pantheon quel poco che i Goti vi avevano lasciato e fece imbarcare per Costantinopoli le tegole di bronzo dorato che erano sul tetto del tempio.[5] I Romani protestarono, come solo potevano, incidendo cioè frasi e satire contro Foca, che si leggono ancora sulla colonna Traiana, sull'arco di Giano e su altri monumenti.
La Chiesa, fin dal XVI secolo ebbe un campanile (“Nolarium” in una lapide del 1270, in loco[6]) che fu abbattuto nel 1627. Era situato in cima all'angolo del frontespizio del portico, ed il Bernini lo sostituì poi con due campanili laterali “orecchie d'asino per il popolo”.
Vi si adattarono le quattro campane che già figuravano su una sola fila di quattro archetti del vecchio campanile, ma una si ruppe e le tre restanti scomparvero con l'abbattimento delle orecchie d'asino, coordinato da Guido Baccelli Ministro dell'Istruzione Pubblica nel 1883.
Nel Tempio fu da Bonifacio IV (608-15) depositato il “Volto Santo” detto della Veronica[7] e la cassa, che “lo conteneva, fu deposta in una finestra sopra la sagrestia; aveva 13 chiavi delle quali ne teneva una ciascun caporione dei 13 rioni della città, acciocché fosse più sicuramente conservata e custodita... Per ciascuna volta che lo sudario se mostrava, dovevano andare con 20 compagni per uno tutti armati intorno al sudario ad arma scoperta per infino allo loco suo deputato a serrarlo”[8].
I danni fatti al tempio, come detto sopra, furono riparati da Benedetto II nel 684 e Gregorio III ricoprì nel 735 il tetto, col piombo. Costruzioni e fortificazioni effettuatevi appresso, permisero all'antipapa Clemente III (1080-107) di trincerarvisi e fecero dare per qualche tempo alla chiesa la denominazione di “Santa Maria in turribus”[9].
In quel secolo il senatore, assumendo la carica, giurava di difendere la Rotonda del Popolo Romano.
Due caratteristiche cerimonie si svolgevano nella chiesa durante il medioevo: “il giorno dell'Assunta, festa solenne per la chiesa di Santa Maria ad Martires, con macchine ed altri congegni si faceva, in mezzo a nubi ed angeli vaganti, innalzare il simulacro della Vergine sull'alto della cupola, ove si faceva artificiosamente scomparire” e il popolo “traeva in folla a vedere quel meraviglioso spettacolo”.
L'altra cerimonia si compiva per la festa della domenica “della rosa”, tra l'Ascensione e la Pentecoste. Dopo l’omelia recitata dal Pontefice al popolo, durante la messa solenne, dal foro della cupola si gettavano nel tempio foglie di rose rosse in gran copia, “per rammentare ai presenti l'avvenimento della pioggia lignea figurativa, che doveva rigenerare il mondo col cristianesimo”.
L'altare maggiore era anticamente in fondo alla tribuna, solo alla fine del ‘400[10] venne trasportato ove attualmente si trova “ridotto ad isola” (ora ripristinato come prima).
Il foro della cupola ebbe anche lui la sua leggenda: si favoleggiò, per secoli, che la chiesa, che era buia, ebbe luce da quel foro, che fu aperto da un segno di croce fatto da un Pontefice. Ne parla nel 1831 il Belli:
Fu un miracolo, fu; perché ‘na vorta Nun c'erano finestre, e in concrusione Je dava lume er bucio de la porta. Ma un’omo santo che ciannò in priggione fece una croce, e ssultò alla vorta Se spalancò da sé quell'occhialone. E’n miracolo è mone: Ch’er muro co cquer buggero de vòto, Se la ride da sé e der terramoto.
E sempre un'attrazione fu per tutti, il salire quei 190 gradini della scaletta interna, per provare il brivido che dà l’affacciarsi su quel gran vuoto.
Ferrante, re di Napoli, quando nel 1475 “andò per tutta Roma per vedere gli edifizi” si arrampicò anche lui per l'estradosso della cupola ed anche Carlo V, nella sua seconda visita (1536) all’Urbe, vi salì accompagnato da uno dei Crescenzi che confessò poi al padre di aver avuto la tentazione di spingere nel vuoto l'imperatore, mentre questi, dal foro, stava osservando la chiesa. Ma il... saggio vecchio gli rispose che “certe cose si fanno ma non si dicono”.
In quell'epoca, nel Pantheon v’erano ancora tracce pagane. Dov'è l'altare di San Giuseppe[11] esisteva un sacello in cui veniva raccolta la spazzatura, e “murata alla parete era un'antichissima e grandissima testa di Cibele e quattro urnette cinerarie, una delle quali aveva il coperchio con figura giacente, collocate verosimilmente nelle quattro nicchie laterali. Vedevansi anche dei pesci di marmo, certo simboli del dio Nettuno, inseriti nel muro”. E iscrizioni pagane, aree servite per sacrifici eccetera.
Nel 1520 vi fu sepolta Maria Bibbiena, la fidanzata giovinetta di Raffaello che “conoscendo di non essere amata da lui che la doveva condurre in moglie, anzi pure vedendosi da lui posposta ad una donnicciuola vile della plebe, si può credere che tanta amarezza ne prendesse, che nella fine non potendola più sostenere, l'anno della salute cristiana 1520, consumata dal dolore, mancava nella vita” (Arti e Lettere di Francesco e Benvenuto Gasparoni, 1865).
Il Sanzio morto il venerdì santo 6 aprile 1520, accompagnato dal suo quadro della “trasfigurazione” durante il funerale, le fu poi sepolto vicino[12], sotto la lapide dettata dal cardinale Pietro Bembo:
“Ille hic Raphael, timuit quo sospite vinci Rerum magna Parens, et moriente mori”.
(questo è quel Raffaello da cui-vivo- esser vinta temé natura, e morto- estinta)
Pio IV (1559-65) riparò le antiche porte di bronzo ed i cancelli, che, come le colonne di metallo che stanno in S. Giovanni in Laterano, provengono dal tempio di Nemesis[13].
Una conca di porfido stava nella piazza avanti la porta della chiesa; era stata trovata, insieme ad un leone di basalto, durante gli scavi fatti eseguire da Eugenio IV (1431-47), e servì poi da tomba per Clemente XII (1730-40) a S. Giovanni.
Un'altra pure con un leone, trovata al tempo di Clemente VII (1523-34) si ruppe sotto il pontificato di Sisto V (1585-90).
Quella di porfido, davanti alla porta della chiesa: “ è stata collocata da Alessandro VII (1655-67) nel portico, nella nicchia a mano dritta sotto le campane, dove anticamente fu la statua di Augusto e dopo vi era un'altare di Sant'Antonio, e dopo fu trasportato in chiesa” (Nuova Antologia, Francesco Protonari, 1882).
Altri restauri fece Paolo III e lo stesso Alessandro VII che, dopo aver fatto demolire le case che la chiesa aveva ai lati, sbassò il livello stradale e aggiunse al portico due colonne mancanti, servendosi di quelle che erano appartenute alle terme Neroniane-Alessandrine, "al portico di esse, chiuso fra due avancorpi, l'uno dei quali raggiungeva la metà del palazzo di contro Sant'Agostino, l'altro la metà di Piazza delle Coppelle”.
Nella chiesa vi ebbe ed ha sede[13bis] la compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta de’ Virtuosi composta di pittori, scultori ed architetti, “huomini eccellentissimi in architettura, scultura e pittura, quanto in ogni altro exercitio, degno di alti ingegni”. Fu detta dei Virtuosi del Pantheon ed ebbe la sua prima adunanza il 1º gennaio 1543. Altra conseguenza della sepoltura, avvenuta, di Raffaello, fu che tutti gli artisti che morivano in Roma volevano avere un loro busto un'epigrafe intorno alla tomba dell’Urbinate. Proponendosi questa ormai consuetudinaria usanza a Leone XII (1823-9) fece togliere tutti i busti e li mandò a formare l'attuale Protomoteca Capitolina.[14]
Gregorio XIII (1572-85) volle sistemare la piazza del Pantheon rimasta sempre dirupata, nonostante le rovine fattevi sgomberare da Eugenio IV. Più ristretta dell'attuale perché “Una parte della Piazza nell'età di mezzo era detta “Tra li due Macelli”, e dove oggi è l'albergo del senato, “nel 1332, era la Torre degli Sterfingi”, aveva nella parte più alta dello spiazzo la ”Pescaria” ed il detto Pontefice, per abbellirla, vi fece mettere una fontana disegnata da Gioacchino della Porta e che consisteva in una vasca di marmo mischio africano, scala di travertino, due draghi che gettavano acqua[15], un’aquila e delle maschere[16]. La fontana rimase così per più di due secoli, finché Clemente XI (1700-21) vi fece sovrapporre uno degli obelischi[17] dell'Iseo Campense, già collocato nella vicina piazzetta di S. Macuto[18], ed appunto per questo chiamato dal popolo la “guglia Mammautte”, curando che al posto dei draghi gettanti acqua fossero messi dei delfini.
Nella piazza ebbero anche luogo, nel XVII secolo, esecuzioni capitali, come nel 1638 vi furono eseguiti due norcini che avevano l'esercizio sulla Piazza e che insaporivano le salsicce con la carne dei clienti.
Mentre uno dei due mostrava la merce al cliente, l'altro lo mazzolava e scannava e quindi toltigli capo, interiora, ossa e vestiti, regolarmente bruciati, col resto fabbricavano quelle salsicce che, a detta del cronista, erano salite in molta rinomanza e quindi ricercatissime specialmente da cuochi di prelati. I due assassini furono “mazzolati”, scannati e squartati” lì sulla Piazza, ma “morirono contriti dei loro peccati, benché fecero dello strepito prima d’accomodarsi alla morte”.
Altra esecuzione nell'ottobre del 1659 sopra un giovane ladro, “et un hebreo fu legato sotto le forche con cordicella al collo, che ne era uno dei complici, acciò ne vedesse lo spettacolo; perché ha sostenuto intrepidamente la corda con la repetita per li molti indizi che ne aveva la Curia Criminale, è seguita la condanna di esso per sette anni di galera”.
Anche nel 1679 vi fu giustiziato certo “Gennaro alla Rotonda”
Quasi tutte le case della Piazza appartenevano a privati, una delle eccezioni, il fabbricato di due piani con due finestre ciascuno, e su un terzo piano aggiunto una loggia, fabbricato affittato da Giorgio Turchi all'albergo del Montone, dove scese nel 1513 Lodovico Ariosto[19]:
“Indi col seno e con la falda piena Di speme, ma di pioggia molle e brutto, La notte andai sin al Montone a cena.”.
Nell'assestamento avvenuto nel XVIII secolo e per il quale emigrarono in via della Palombella, i diversi venditori più o meno ambulanti[20], l'albergo rimase e verso la fine del secolo, vi alloggiò Giuseppe Balsamo il Cagliostro[21].
Ma all'albergo del Sole (aveva cambiato il nome che del resto porta ancor oggi) il Cagliostro rimase poco perché finì nelle mani del bargello per aver bastonato uno dei garzoni dell'albergo.
Nel 1870 furono subito iniziati i lavori di scavo del Pantheon ma presto sospesi, provocarono questa quartina al sindaco Venturi, da parte di Pasquino:
”il sindaco Venturi si fa onore, Che alla Rotonda sospeso ha lo scavo. E il popolo roman gli dice: “ bravo”, Ma sospendere doveva anche l'autore...”.
Per iniziativa del Ministro dell'Istruzione Pubblica Guido Baccelli, il 7 luglio 1881 furono ripresi i lavori ed a via della Palombella si demolirono le casupole che vi erano. Vennero in luce gli avanzi del “Laconico” e del palazzo delle Terme e scomparve anche il palazzo Crescenzi edificato su quello medievale di Anastasio IV (1752-3).
Nel 1882 si demolì la sagrestia e si ottenne così il completo isolamento del tempio.[22]
[1] ) Nome di 12 sacerdoti, istituiti da Romolo, che tra loro si chiamavano fratelli, il cui ufficio era di sacrificare a Cerere e a Bacco per l'ubertà delle messi e della vite.
[2] ) Dalle « Mirabilia Urbis Romae » (IX sec.).
[3] ) G. Lugli – La technica edilizia romana – 1957.
[4] ) Al di sopra dell'iscrizione di Agrippa, nella fascia che sovrasta il fregio, si legge la seconda iscrizione a caratteri più piccoli, appostavi da Settimio Severo (193-211) e Caracalla (211-7) i quali: “Pantheum vetustate corruptum restituerunt”. Altri imperatori dedicarono le loro cure al sacro edificio.
[5] ) Anche Urbano VIII nel 1625 fece togliere le travi di bronzo dall'atrio e ne destinò una parte al baldacchino del Bernini ed una parte ne fuse per 60 cannoni per Castel Sant'Angelo. Nel 1624 "si batteva gran quantità di denaro in Castello ed il papa Urbano VIII aveva voluto sapere il costo di tutta quanta l'argenteria, che qualsivoglia persona di Roma possedesse da 100 scudi in su. Veniva disfatto "il portico della Rotonda, il quale era meravigliosamente coperto di bronzo con architravi di metallo bellissimo sopra le colonne et di una manifattura che, avendolo disfatto si trovò che quel metallo era gran parte mescolato d'oro et argento…". Quod non fecerunt etc. 23 agosto 1625 - Il Papa, oltre aver ultimamente fatti fondere 2 cannoni che sono stati posti in Castel Sant'Angelo, ha pensiero di fonderne degli altri, ma per esservi carestia di materia, il Popolo Romano per compiacere la Sua Santità, martedì tenne consiglio segreto in Campidoglio e risolse di dare a Sua Beatitudine li travi di bronzo che ancora rimangono nell'antica fabbrica della rotonda, e anche le porte di bronzo della Chiesa di Sant’Adriano a Campo Vaccino, e iersera questi signori Conservatori andarono a fare l'offerta alla Santità Sua, che l’aggradì volentieri, potendo ora fondere più di 60 pezzi di artiglieria (Codice Urbinate).
[6] ) É la costruzione fatta, in detto anno, dall'arciprete Gandolfo della Suburra.
[7] ) La leggenda che dal medioevo accompagna il sudario dice che Tiberio (14-37) malato di lebbra, chiamò un giorno i senatori protestando di voler impetrare solo dal cielo la sua guarigione; e poiché aveva sentito che a Gerusalemme esisteva un mago divino chiamato Gesù, ordinò che egli fosse condotto a Roma. Il patrizio Volusiano, subito partito, non poté, a causa delle stagioni tempestose, giungere a Gerusalemme che un anno dopo ed apprese, con terrore, da Pilato, che Gesù era stato crocifisso. Riuscì però ad avere un'immagine del Cristo perché una pia donna, Veronica (vera icon), avendo asciugato con la sua pezzuola il sudore che inondava il volto del Redentore, questi per gratitudine del pietoso atto, aveva impresso sul lino l'effigie del suo volto. Volusiano condusse a Roma Veronica con l'immagine e Pilato carico di catene. Tiberio condannò questi all'esilio perpetuo nella città di Armeria (Amelia) e si prostrò pregando davanti al sudario. Subito guarito, dette a Veronica ricchezze e circondò la reliquia d'oro e di gemme e la conservò nel suo palazzo. Morto, dopo nove mesi, Tiberio, Veronica recuperò il sudario ed alla sua morte ne lasciava erede il vescovo Clemente (88-97). I successori di questo custodirono con gran cura quella santa reliquia, finché Bonifacio IV (608-15) la depose nel Pantheon (oggi ancora si vede lì una cassa con una iscrizione che dice: "In ista capsa fuit portatum sudarium passionis Domini nostri Iesu Christi a Hierosolymnis Tiberio Augusto".) e finalmente Giovanni VII la trasportò nella sua cappella di S. Pietro, dove fu conservata in un tabernacolo di marmo. il velo della Veronica, che fu poi collocato a Santo Spirito in Sassia “in una cameretta foderata tutta da marmore et de ferro et serrata a sei chiavi”. Tornò definitivamente nella basilica Vaticana il 1º gennaio 1410 (le sei chiavi furono custodite da sei famiglie romane). Un'altra leggenda mostrava in San Pietro l'altare su cui, celebrando Gregorio I, aveva liberato l'anima di Traiano (Purg. X.74; Parad. XX.44).
[8] ) Dice il Moroni: « recatomi nel detto tempio ho trovato sopra la mensa dell'altare, nell’incavo del muro, una grande urna con il cristallo avanti colla cassa in pezzi, sulla quale urna era scritto: “Arca in qua sacrum sudarium olim a diva Veronica delatum Romae ex Palestina, hac in basilica anni centum enituit”. Meta di innumeri pellegrini che si recavano a Roma: “ per veder le sembianze di colui che ancor lassù nel cielo veder spera” (Petrarca).
[9] ) Sull’antipapa Clemente III fu scritto, che: “Quod adhuc in domo B.Petri...desolationis abominationes stare videmus, positis etiam propugnacolis et aliis bellorum instrumentis in altitudine sanctuarii supra corpus beati Petri”.
[10] ) Nel secolo XIV vicino alla chiesa vera l'ospedale “S.Mariae Rotundae” nome che fu applicato anche al tempio stesso.
[11] ) Vi è stato sepolto Corelli Arcangelo violinista e compositore romagnolo (1653-1733). Nel 1876 Riccardo Wagner sostò pensoso avanti al monumento, sormontato da un busto dello scultore Angelo de Rossi, e sulla bianca lapide pose la propria firma. Anche Flaminio Vacca è qui sepolto, dice la sua lapide: “D.O.M. – Flaminio Vaccae – Sculptori Romano – qui in operibus quae fecit – Nusquam sibi satisfecit” (1538-1600).
[12] ) Nel 1833 fu rinvenuto, interrato sotto la bottega di un fornaio che aveva bottega al Pantheon, il corpo di Raffaello sommerso nella melma delle continue inondazioni. Le discussioni e contrasti sollevati dalla scoperta fecero scrivere a Belli:
“É una scena, per Dio, proprio una scena Ma tutte ar tempo mio s'ha da vedelle! Pé quattro ossace senza carne e pelle S’ha da piglià la gente tanta pena E tutti fanno stà cantasilena: É lui, nun è; so quelle o nun so quelle É Raffaelle, nun è Raffaelle E tutto er giorno la Ritonna, è, piena.. Certo, non dubità sso’ casi seri Come ca Roma sciamancasse ‘n’ossa da ramazzà a 20 o 30 scimiteri! Trovi uno scheletro in de la terra smossa? Ebbé senza de fà tanti misteri! Aributtelo dentro in de la fossa”.
I lavori di sterro furono cominciati il 9 settembre 1833, sotto la direzione degli architetti Ferretti e Camporesi, alla presenza del notaio Apolloni per il rogito relativo. "Ad 1 m e centimetri 20 di profondità, ai piedi della Madonna del Sasso, furono trovati scheletri ed ossa varie; continuate le ricerche, dietro l'edicola della Madonna, nella cantina di un pizzicagnolo-fornaio (orzarolo), in corrispondenza all'altare della Vergine fu rinvenuto un archetto con tracce di rivestimento marmoreo, che dava accesso ad un cunicolo dove, dice il notaio, "si è ritrovato un deposito di cadavere; che inoltratasi la demolizione e fattosi un lavoro, circa le 17.30, (mezzogiorno circa) si è presentata la superficie di una cassa di legno subollito di Pino, parte della quale si è veduta immedesimata nel cemento della muratura". Intervenute le autorità "si è proseguito il taglio della cassa che meglio osservata si è conosciuto essere d'abete, dentro la quale esistevano le ossa di un cadavere con la testa a cornu Evangelii (Le due estremità dell’Altare si chiamano, dal latino, cornua (spigolo): rispettivamente cornu Epistulae e cornu Evangelii) della stessa edicola. Pria di procedere ad ulteriori indagini, fu unanimamente pregato il signor barone Vincenzo Camuccini, il ritrarre in disegno le spoglie dell'immortale Raffaello come ora si trovano e tale effetto fu annunciato a tutti i signori congregati di avere la compiacenza di uscire dallo steccato, salvo sua eccellenza reverendissima Monsignor Governatore di Roma, Monsignor Ugo Dini Vicario, ed i rispettivi deputati del reverendissimo Capitolo e i presidenti dell'Accademia (di San Luca e dei Virtuosi del Pantheon). Accintosi il signor Barone Camuccini al lavoro con l'assistenza del signor cavaliere Fabris suddetto, ha ritratto in disegno la località e la posizione delle ossa come appariscono tutt’ora" (Il disegno è conservato all'Accademia di San Luca). Nello stesso cunicolo, sotto la Madonna del Lorenzetto (o Madonna del Sasso), dopo un solenne funerale, furono poi inumati i resti del “divino pittore"
[13] ) A Ramnunte in Attica, vi si custodiva la statua della dea, opera di Fidia, scolpita nel marmo che i persiani invasori (490 a.C.) vi avevano portato per farsene un trofeo, quando ancora credevano di vincere a Maratona.
[13bis] Ora la sede operativa è ospitata nel Palazzo della Cancelleria, nella piazza omonima.
[14] ) Protomoteca Capitolina -Dice Ceccarius, che nel 1776 ai busti degli artisti ivi sepolti (Pantheon) si aggiunsero busti onorari, in numero tale, da snaturare il carattere del tempio dedicato al culto. Perciò Pio VII determinò che essi fossero trasferiti nelle sale a pianterreno del palazzo dei Conservatori, dove dopo il 1870 si celebravano i matrimoni. Ma fu Leone XII che completò e dette il nome alla Protomoteca che fu poi ancora incrementata, per quanto Gregorio XVI avesse disposto che nessuno potesse essere onorato in tal guisa, se non trascorsi 40 anni dalla morte. La Protomoteca fu rimossa dai suddetti locali poco dopo il 1870, e fu riordinata nel 1878 nei piani superiori del palazzo per ritornare al piano terreno nel 1904. 15 anni dopo i busti passarono nell’allora esistente palazzo Caffarelli e nel 1929 al pianterreno del Palazzo dei Musei. Vi rimasero poco tempo per essere immagazzinati in vari luoghi. Finalmente nel 1849 la raccolta fu riordinata in un gruppo di sale moderne tra il Palazzo dei Conservatori e quello Senatorio, dove in buona vista figura pure il monumento, commesso nel 1829 da Leone XII a Giuseppe De Fabbris.
[15] ) L’acqua di risulta fu ceduta in perpetuo, nel 1586, ai Crescenzi che potessero disporre a lor volontà del ricarico d'acqua, purché si obbligassero alla manutenzione in perpetuo del vaso grande e fosse poi scolato e defluito fino al Tevere”.
[16] ) Alessandro VII con un suo breve del 27 aprile 1663 confermò indulti e privilegi e diritti sulla Piazza alla chiesa e capitolo di S. Maria ad Martires. (Archivio di Stato - bandi volume 25).
[17] ) Dedicato a Seti I e Ramesse II (XIV-XIII sec.a.C.), e che aveva adornato il tempio del Sole ad Eliopoli. Il popolo credeva contenesse le ceneri di Giulio Cesare nel globo del suo "piramidion”.
[18]) Fin dai tempi di Paolo V (1605-26).
[19] ) Suoi viaggi a Roma vedi rivista Roma 1943 n.9-12.
[20] ) Molti gli editti per regolare il mercato. Ad esempio uno del 27 marzo 1657, rinnovava per l'ennesima volta la proibizione ai droghieri, calzolai, pollaroli ad altri commercianti di ingombrare il suolo pubblico avanti la chiesa della Rotonda e la fontana pubblica, per esporre le loro mercanzie. (Biblioteca vaticana bandi anno 1657)
[21] ) Si sposò poco dopo Lorenza Feliciani (20 aprile 1768) figlia di un fonditore Romano, abitanti al vicolo delle Cripte. La ragazza portò 150 scudi di dote ma il Balsamo, dopo poco, implicato in un oscuro affare, fuggì da Roma, dove non ritornò che dopo vent'anni. "2 gennaio 1790 – Nella sera venendo di Lunedì, per ordine de' Superiori fu arrestato da un picchetto di granatieri del regimento dei rossi e condotto con una carrozza a Castel S. Angelo, l’uomo già cognito e particolare signor Giuseppe Cagliostro e parimenti fu arrestata la sua consorte e condotta nel monastero di S. Apollonia....”.
[22] ) Vi sono stati sepolti i Re d'Italia Vittorio Emanuele II (1849-1878) ed Umberto I (1878-1907). Nei lavori per la tumulazione della salma di quest'ultimo, venne in luce, nel luglio del 1904, nella prima cappella a destra una pittura del XV secolo attribuita ad Antonazzo Romano (Antonazzo di Benedetto Aquilio - 1460-1508), cui era stata commessa dalla famiglia de’ Belluomini che aveva la propria tomba nella stessa cappella.
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