Con la demolizione delle altre case, il palazzo istoriato fu ampliato ad opera dell´architetto Onorio Longhi e terminato sotto la direzione di Ferdinando Fuga, nel 1743. Ogni traccia di affresco andò perduta. Alla morte del Ferrini, il palazzo fu ceduto alle suore Agostiniane di Calvi, che lo vendettero, alla fine del ´700, a Giuseppe Cini, che vi aggiunse la scritta del proprio nome sul portone e l´Altana. Il conte da giovane fu falegname, poi negoziante di botti di vino e di legname, quindi, divenuto industriale, fu conte di Castel Cellese e di Piansano. Nelle “Effemeridi di Roma (1828-1860)” è detto che la figlia di Giovanni Cini fu rinchiusa in un convento per i suoi cattivi costumi, moglie di un campanaro di Santa Maria Maggiore, che la sposò “per obligo di coscienza”... Nel 1836-38, il palazzo è frequentato da Stendhal che si invaghisce di donna Giulia Prosperi Bussi, moglie del conte Filippo Cini. Dal 1984, il palazzo ospita la “Galleria di Palazzo Cini”, dove è visibile la collezione di Vittorio Cini (1885-1977).
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