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STRADE DELLA ROMA PAPALE

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Si trattava di rendere più facile l’accesso al Vaticano per i pellegrini che giungevano a Roma attraverso la via Flaminia.
Egli favorì l’insediamento urbano di questa zona con alleggerimenti fiscali per coloro che, ottenuto in enfiteusi un lotto di terreno, si impegnassero ad edificarlo entro un ristretto numero di anni o con prescrizioni amministrative che favorivano l’accorpamento di più case in una.
In questo contesto si ipotizza che, nel 1519, il primo che edificò il lotto di terreno, che sarà interessato dal palazzo Capponi, fu il fiorentino chierico della Camera Apostolica incaricato di coadiuvare i “maestri di strada” nell’esecuzione dei lavori di via Ripetta, monsignor de’ Gaddis che ottenne dal priore del Convento di Sant’Agostino un lotto di terreno “con l’obligo di fabricarvi in tre anni”.
L’identificazione del lotto de’ Gaddis, con quello che apparterrà poi ai Capponi, non è certa ma il documento di concessione d’enfiteusi al de’ Gaddis è stato ritrovato nell’incartamento di acquisto del lotto Capponi,  molto probabilmente, trascritto dall’acquirente marchese Alessandro Gregorio Capponi.
Se così non fosse, il primo nucleo abitativo del lotto Capponi sarebbe allora costituito da una “casa” del Convento di Sant’Agostino (che dovrebbe essere quella de’ Gaddis) ottenuta, in enfiteusi, da Francesco Serroberti, tra il 1527 e il 1544, di cui è parola nel testamento dello stesso del 1554.
La casa in questione era formata da due corpi di fabbrica: uno costituito da un palazzetto sito in angolo tra la nuova via Ripetta e vicolo delle Scalette (oggi via Angelo Brunetti) ed il secondo da una casa minore confinante dal lato di via Ripetta. C’era poi una torre, dal lato del vicolo delle Scalette, addossata al fianco del palazzetto che terminava con una sistemazione a cupola (vedi pianta Maggi – 1625).
I fratelli comproprietari Francesco e Geronimo Serroberti, speziali di origine perugina, fecero risistemare la loro proprietà tra il 1544 e il 1559, rendendo il palazzetto una “domus magna” o “casa dei Serroberti”, mentre la casa adiacente fu data in affitto. Dopo la morte di ambedue i fratelli, gli eredi che non abitarono mai in quella proprietà, cercarono in tutti i modi di liberarsi dal vincolo di fedecommesso (vincolo che non permetteva la vendita dell’immobile da parte degli eredi) che era stato imposto da Francesco e Geronimo nei loro testamenti e vi riuscirono solo nel 1615 per intervento papale.
Fu così che Amerigo Capponi (1556-1619), nominato Vice Castellano di Castel Sant’Angelo nel 1591, poté acquistare la proprietà degli eredi dei Serroberti il 30 marzo del 1615.
Egli effettuò quindi una serie di ulteriori acquisizioni enfiteutiche al fine di ampliare lo spazio per la costruzione del suo nuovo palazzo: nel 1616, acquisì l’enfiteusi di due case della “Signora Lucia de Grottis”, sul fronte del vicolo delle Scalette (oggi via Angelo Brunetti); nel 1617, acquisì un’ultima casa confinante nello stesso vicolo (le tre case appartenevano al Convento di Sant’Agostino). Nello stesso anno ebbe in enfiteusi, anche una casa, di proprietà della Confraternita del S.S. Crocifisso in San Marcello, confinante sul fronte di via Ripetta.
In questo modo i Capponi si ritrovarono proprietari di uno lotto sul quale insistevano delle costruzioni confinanti, lungo il vicolo della Scaletta e lungo via Ripetta, delimitanti una zona tenuta a giardino ed ad orto.
Amerigo Capponi fece accorpare la “domus magna” e la casetta dei Serroberti unendole in un solo edificio, a fianco del quale rimase la torre la cui cupola fu rinnovata, mentre le altre case restarono a delimitare lo spazio del giardino. I lavori cominciarono subito dopo l’acquisto e non dovettero durare più di un anno per la parte strutturale (1615-18), come risulta dalle ricevute dei lavori eseguiti, ancora presenti in archivio. Alla morte di Amerigo, il palazzo fu affittato all’Ambasciata di Malta.
Nel 1631, il figlio di Amerigo Capponi, Gino Angelo (musicista rinomato – 1607-1688), cercò di vendere i beni dei Capponi di via Ripetta senza riuscirvi, dato che il palazzo risultava ancora affittato, poco dopo, a Giovanni Filippo Pallavicini e, più tardi, nel 1637, all’abate Giovanni Domenico Orsi ed al Duca Sforza.
Gino Angelo morì nel gennaio del 1688. I suoi beni vennero ereditati da suo figlio Francesco Ferdinando (1640-1710), priore dei Caporioni nel 1671 e Conservatore della Camera Capitolina nel 1673, il quale sposò, nel 1681, Ottavia (1650-1730), di Francesco Giustiniani di Pesaro, la quale era dama nella corte della regina Cristina di Svezia (1626-1689). La regina che aveva tenuto a battesimo il figlio di Francesco Ferdinando e di Ottavia, Alessandro Gregorio (1683-1746), ebbe sempre nei confronti della coppia una particolare benevolenza, tanto da nominare Francesco Ferdinando “Gentiluomo di camera” nel 1683. La coppia abitò, presso la regina, nel palazzo Riario (dal 1736 Corsini) alla Lungara per poi, alla morte della sovrana (1689), rientrare nel palazzo di famiglia a Ripetta.
Tra il 1688 e il 1689, furono eseguiti dei lavori di ristrutturazione di una delle case di proprietà affiancate al palazzo, in previsione della dimora dell’ancora giovane Alessandro Gregorio.
Nel proseguo, Alessandro Gregorio, che fu Conservatore della Camera Capitolina nel 1711, elesse come sua stabile dimora il palazzo a Ripetta e si applicò nella ricerca di libri e di opere d’arte, con lo scopo di fare del palazzo una biblioteca ed un museo d’arte.
L’impegno che profuse nella ricerca di libri rari e di reperti archeologici gli fruttò, nel 1733, la nomina di Presidente antiquario dei Musei Capitolini che Clemente XII (Corsini - ) aveva caldeggiato e di cui Alessandro Gregorio era consigliere personale dal 1730.
Questa sua attività artistico-letteraria comportò vari lavori di adattamento e di rappresentanza che furono eseguiti nel palazzo tra il 1731 e il 1734, anno in cui un incendio, che aveva interessato tutto il quartiere fino al Tevere, aveva fortemente danneggiato il palazzo e la biblioteca. Ne seguirono lavori di ripristino ed anche l’acquisto di una serie di secchi di legno come misura antincendio “ante litteram”.
Alessandro Gregorio lasciò ogni suo bene alla sorella, Maria Anna Capponi in Cardelli, per testamento (ad eccezione delle collezioni d’arte che ebbero come beneficiari il Vaticano per la biblioteca e il museo Kircheriano per i reperti antichi).
Ma il ramo fiorentino dei Capponi si oppose al testamento protestando il diritto di successione per discendenza maschile ai primogeniti della casata. Ne seguì una lunga contesa giudiziaria che si concluse solo nel 1752 con un accordo privato che destinò il palazzo ai fratelli Camillo e Ferdinando Capponi del ramo fiorentino eredi del signor conte Ferrante Capponi che aveva contestato il testamento ma che nel frattempo era deceduto.
Dalla morte di Alessandro Gregorio, si suppone che il palazzo fosse dato esclusivamente in affitto, poiché non vi abitò più nessuno della casata Capponi. Infatti si ha traccia di un contratto di affitto, del 1747, in favore di Odoardo Lopez Rosa, appaltatore della Zecca pontificia fino al 1749.
Nel 1818 il conte cavalier Ferrante, discendente di Ferdinando Capponi, vendette il palazzo con tutte le sue pertinenze ad un componente della nobile famiglia romana dei Crespi, il sig. Tommaso che, a sua volta, nel 1821, vendette la proprietà in via Ripetta al barone Carlo Koebel di fu Valentino di Magonza che si adoperò ad ampliare la proprietà acquistando su via del Vantaggio un appartamento che, unito al piano nobile, ne aumentò la capacità di tre stanze.
Nel 1836 il barone Koebel vendette il complesso a Giacomo, Francesco e Luigi Mencacci, figli di Lorenzo Mencacci (+1835) che aveva cumulato meriti di fedeltà ed attaccamento alla causa di Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti – 1800-1823), nel periodo di occupazione francese, durante il suo forzato esilio (1809-1814) da Roma.
Nel 1834, giunse a Roma lo spodestato re del Portogallo Michele I di Braganza (1802-1866) e il papa Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari – 1831-1846) ne confidò il soggiorno romano alla famiglia Mencacci che, dal 1836 al 1848 lo ospitò nel divenuto loro palazzo di via Ripetta.
Nel 1856, la famiglia Mencacci vendette la proprietà al marchese Francesco Campanari, famiglia originaria di Veroli (Frosinone), la quale aveva ottenuto l’iscrizione alla nobiltà romana nel 1672.
Il marchese fece eseguire lavori di ripristino e fece aggiungere una nuova scala di rappresentanza al palazzo.
Nel 1877, il palazzo, con tutti i suoi annessi, fu acquistato dal Collegio degli Scrittori della Compagnia di Gesù, e fu sede dal 1887, dell’Amministrazione e dell’Ufficio centrale della rivista “La Civiltà Cattolica” che, nel 1870, aveva spostato la sua sede a Firenze per paura di un’eventuale censura da parte del nuovo Stato Italiano.
I Gesuiti mantennero questa loro proprietà fino al 1951, quando decisero di venderla all’Istituto Nazionale Assistenza Infortuni sul Lavoro (INAIL).
L’INAIL provvide l’allargamento della proprietà con l’acquisto di ulteriori due case (1934) confinanti: su via Ripetta (nn. 238-241) e su via del Vantaggio (nn. 17-19), che furono demolite e ricostruite tra il 1936 e il 1941, mentre le cinque case su via Angelo Brunetti furono riunite in una, ad uso dei propri uffici e sopraelevate di un piano.
Rilevata la carenza delle fondazioni del Palazzo, l’INAIL dovette procedere a lavori di sottofondazione e di rimpiazzo dei solai in legno, molto costosi, sotto i vincoli imposti dalla Sovraintendenza delle Belle Arti, che curò lo strappo e la ricollocazione degli affreschi delle volte e degli antichi cassettoni in legno. I lavori si conclusero nel 1954.
Nell’anno 2000, con l’insediamento nel palazzo dell’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici, fu anche restaurato il portale d’ingresso e furono poste all’esterno, in due nicchie laterali, le due statue dello scultore Francesco Caporale (1598-1680) risalenti all’epoca di Amerigo Capponi.

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