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Questi edificarono intorno alla torre un edificio ad un piano probabilmente in appoggio alla loro funzione di controllo del traffico commerciale sul Tevere. Nel 1444, Orsina Orsini Monforte, moglie di Carlo Monforte conte di Termoli (+1459), vendette a Pacifica Salvati, bizzocca [1], mantellata di S. Agostino, l’edificio, che fu poi venduto, nel 1450, a fra Girolamo Romano. Alla sua morte, nel 1480, l’edificio passò ad Agostino Maffei (1431-1496). Nel 1507, si crede che Pietro Griffo (1469-1516), vescovo di Forlì, adattasse l’edificio a residenza ecclesiastica, ed è certo che questo venne in possesso dell´Ordine Agostiniano che aveva il convento limitrofo, prima del 1514. Infatti, risulta che l’Ordine aveva concesso l’edificio in enfiteusi a Giovanni De Attidi, alla di lui moglie Francesca ed ai figli Pietro e Giovanni Felice. Alla morte di Giovanni e di suo figlio Giovanni Felice, nel 1514, gli eredi vendettero l’enfiteusi a Valerio Dolci e a suo nipote Alessandro. I Dolci demolirono l’edificio per ricostruirne un altro piú ampio e adatto alle loro esigenze (1514-1516). Nel 1539, il palazzo fu affittato ad Andrea De Vico. Nel 1558, Vincenzo Dolci, non avendo eredi, nomina sua erede sua sorella Modesta, moglie di Gaspare Scapucci e madre di Francesco Scapucci (+1608). Nel 1578, quest’ultimo rinnova ed amplia il palazzo, servendosi dell’opera di Domenico Fontana (1543-1607) e di Pompeo Maderno, suo nipote e fratello di Carlo Maderno. Nel 1600-1601, seguono altri lavori, tra cui il rifacimento del portone su via dell’Orso per opera di Giovanpietro Riccetti. In seguito all’acquisto di una casa limitrofa (1603), di proprietà del convento di Santa Maria del Popolo, dal 1603 al 1606, i lavori portarono il palazzo Scapucci alla dimensione attuale, meno le sopraelevazioni che avverranno nel 1671. Nel 1608, muore Francesco Scapucci e, nel 1633, muore suo figlio, Gaspare Scapucci, senza figli. Ereditano Virginia Muti, madre di Francesco e Maddalena Scapucci, sua sorella nubile. Alla morte di quest’ultima, eredita la nipote Beatrice Aquilani, figlia di Marta Muti, sorella di Virginia. Nel 1663, alla morte di Beatrice Aquilani, perché senza figli, il palazzo passa nella proprietà dell’Arciconfraternita del Gonfalone, per effetto di quanto previsto nel testamento di Maddalena Scapucci. Nel 1664, il palazzo viene affittato a monsignor Carlo Dondini e, nel 1672, dopo un anno di lavori di miglioramento e di innalzamento di un piano, il palazzo viene affittato a Francesco Fani. Nel 1698, l’affitto passa al marchese Agostino Pallavicini. La proprietà dell’Arciconfraternita del Gonfalone continua, tra continui lavori di adattamento e miglioramento, fino al 1900 quando le subentra la Congregazione della Carità. Quando, nel 1957, le Belle Arti impongono un vincolo conservativo sul palazzo, questo risulta di proprietà degli Istituti Riuniti di Assistenza e Beneficienza della Città di Roma, che aveva ereditato (1938) i beni della Congregazione di Carità.
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[1] Uomini e donne che vivevano in povertà, organizzati in associazioni con o senza voto di povertà e castità, sotto la guida dei Francescani, seguiti poi dagli Agostiniani e dai Domenicani nel XIII e XIV secolo.
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