Via di San Pietro in Carcere (R. X – Campitelli) (da piazza del Campidoglio a via dei Fori Imperiali)
La via ha preso il nome dall’omonimo oratorio eretto nel carcere Mamertino.
Nel 1539, al piano superiore, vi fu edificata una cappella di legno e nel 1598 furono iniziati i lavori per l’erezione di una chiesa che, interrotti, furono completati nel 1663, quando il tempio fu consacrato l’11 novembre.
La costruzione, a cura della Università dei Falegnami, le restò affidata, e sono i Falegnami che ancora oggi custodiscono ed ufficiano l’oratorio divenuto sotterraneo per l’innalzamento del suolo circostante.
Da un’immagine del Crocefisso, scolpita in legno, è chiamato col nome del “SS. Crocifisso di Campo Vaccino” mentre la chiesa superiore è dedicata a S. Giuseppe e detta perciò “S. Giuseppe de’ Falegnami”.
Al margine del Foro, in corrispondenza delle “scalae Gemoniae” che conducevano all’Arx e sotto la suddetta Chiesa, vi è il carcere Tulliano (da tullus= polla d’acqua [1]) detto con nome tardo “Carcere Mamertino” (dal prossimo foro di Marte).
Il muro di grossi blocchi ben squadrati e bugnati di tufo e una fascia di travertino con l’iscrizione dei due consoli che l’eressero: Caio Vibio Ruffino e M. Cocceio Nerva forse sotto Tiberio (14-37). La prigione consta di due celle sovrapposte; nella superiore, che ha la forma di trapezio, si custodivano i prigionieri e la finestra, ch’è a destra dietro il pilastro di rinforzo, si apriva su altre stanze contigue, per gli alloggi del corpo di guardia, delle quali non resta più nulla.
La cella inferiore, per 2/3 rotonda e per il resto formata da una parete rettilinea che serve di fondazione al fronte della chiesa sovrastante, fu costruita con grossi blocchi disposti in cerchio che si restringono verso l’alto in modo che la cella doveva terminare in forma di cupola. L’edificio (l’antico “Tullianum”) si crede sia il più antico di Roma, anteriore all’invenzione della volta.
Alcuni credono che si tratti di una cisterna, simile a quella di Tuscolo e di altre città etrusche; altri pensano che sia una tomba, del tipo delle più antiche tombe della Grecia e dell’Etruria.
Prima di avere la presente volta in piano, questa cella inferiore fu coperta con soffitto di legno, di cui si vedono gli incastri nelle pareti, rinchiusi poi con sassi e calce. Certo, quando la vecchia costruzione fu riunita alla prigione, la volta venne soppressa.
Nel “Carcer Tullianus”, vi era la prigione di Stato dell’antica Roma, dove furono rinchiusi Giugurta (104 a.Ch.) e Vercingetorige (46 a.Ch.); per ordine di Cicerone vi furono strozzati [2] i compagni di Catilina (63 a.Ch.) e, secondo una tradizione, vi furono carcerati anche S. Pietro e S. Paolo. Di qui l’oratorio creato forse verso la fine del IV secolo, o al principio del V, giacché fino al 368 il Mamertinus servì ancora da carcere.
Una porta di ferro nella parte rettilinea del “Tullianus” dà accesso ad uno stretto cunicolo, intersecato da un braccio traverso che va a finire nella Cloaca Massima (attribuita ai Tarquinii) e che serviva per dare sfogo alle acque per mezzo di un canale, sotto il pavimento, coperto con lastre di peperino e nello stesso tempo per portare via i cadaveri dei prigionieri uccisi.
In questa stanza inferiore vi si entrava solamente per mezzo di un foro rotondo ricavato nella volta che è a piatta banda di tufo. Si vede una sorgente che S. Pietro vi avrebbe fatta scaturire per battezzare i suoi carcerieri Processo e Martiniano.
Come custodia temporanea dei prigionieri meno colpevoli, esisteva lì presso un altro luogo più mite detto “lautumiae” ricavato probabilmente entro antiche cave ai piedi del colle Capitolino.
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[1] ) Si crede che l’acqua fosse più abbondante prima della separazione del Quirinale dal Campidoglio, effettuata da Traiano (98-117).
[2] ) Fu Cicerone console, che li volle soppressi, contro il parere di Cesare. Uscendo dal Mamertino, il console informò il popolo dell’avvenuta esecuzione, con una sola parola “Vixerunt”. Fra gli eseguiti v’era quel M. Leca, nella cui casa nel “vicus Falcariorum” si era recato, per congiurare, Catilina, nella notte tra il 6 ed il 7 novembre del 63 a.C.
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