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Si pensa che, prima del VII secolo a.Ch., il luogo sia divenuto un luogo sacro per la presenza di una fonte perenne (che personifica il contatto dell’Ade con il mondo dei viventi) che sgorga tutt’oggi dal pavimento del Tulliano. Del luogo sacro sono stati ritrovati alcuni reperti in una fossa creata in epoca imperiale (22 d.Ch.), scoperta nel pavimento del Tulliano durante gli stessi scavi. Si tratta di un deposito di materiale trasportato in questa fossa da un pozzo votivo, di ignota posizione, contenente materiale di epoca arcaica e repubblicana. Il tradimento di Tarpea, figlia di Spurio Tarpeio comandante della rocca capitolina, [tramandato da Livio (I, XI)], potrebbe essere ambientato presso questa fonte dato che, senza dare il nome della fonte, il testo di Livio (I, XI) dice che Tarpea, vergine vestale, lasciò entrare i Sabini nella rocca capitolina mentre usciva dalle mura per attingere acqua per i sacrifici (huius filiam virginem auro corrumpit Tatius, ut armatos in arcem accipiat; aquam forte ratum sacris extra moenia petitum ierat). Durante il regno di Anco Marzio (640-616 a.Ch.) e di Tarquinio Prisco (616-579 a.Ch.) si crede che le cime dei colli romani fossero protette da una cinta muraria (tranne per l’Aventino ed il Quirinale, difese da un probabile fossato) che Servio Tullio (578 a.Ch. al 539 a.Ch.) riunì con la sua cinta muraria (le mura serviane), potenziando il sistema difensivo della Roma dei Re. In questo periodo, il luogo detto “Tulliano” fu trasformato in carcere all’interno delle mura serviane e prese anche il nome di “Carcere Mamertino” o da Anco Marzio (640-616) che ne potrebbe essere stato l’iniziatore o da un ipotetico tempio di Marte che si sarebbe trovato nelle vicinanze. Tra il II e il III secolo a.Ch., al tempo della repubblica, fu creata una seconda grotta (detta “Carcer”), di forma trapezoidale (rivestita e tamponata con blocchi di tufo), scavando al di sopra della prima , detta “Tullianum”, sempre con uso di carcere, dove venivano trattenuti coloro che dovevano essere giudicati (il carcere era anche collegato con più ambienti ricavati nel sistema difensivo del colle Capitolino, di cui il carcere faceva parte), mentre in quella inferiore (l’accesso al Tulliano avveniva tramite un foro praticato nel pavimento della seconda grotta) erano gettati i condannati a morte, le cui condanne capitali venivano spesso eseguite sul posto per strangolamento. Vi erano detenuti i “nemici del popolo romano” come Giugurta (160-104 a.Ch.) e Vercingetorige (82-46 a.Ch.). Nel 22 d.Ch., nella prima epoca imperiale, venne eretto un muro di facciata, in blocchi di travertino, verso il Foro Romano, dai consoli “C. Vibius Rufinus e M. Cocceius Nerva, consules suffecti” (il secondo, nonno dell’imperatore Nerva). Il muro di facciata fu fondato sul livello del calpestio del carcere Tulliano lungo una corda che lo ridusse da circolare a tre quarti di cerchio. Dall’esterno quindi, il muro restò interrato per tutta l’altezza del Tulliano, fungendo da muro di facciata in corrispondenza del “Carcer”. In quel tempo anche il carcere Tulliano fu di nuovo rivestito di blocchi di peperino che ne ridussero l’altezza e le dimensioni primitive. La tradizione cattolica narra che nel Tulliano siano stati detenuti San Pietro (I sec. a.Ch.-c.67 d.Ch.) e San Paolo (?-c.67 d.Ch.). Si tratta di un racconto poco credibile, dato che non si basa su nessuna documentazione, tanto più che, se si può pensare che l’apostolo Pietro vi sia forse stato rinchiuso, sappiamo che San Paolo, cittadino romano, fu lasciato a piede libero, anche se sotto sorveglianza, in attesa di giudizio. Il racconto narra che San Pietro avrebbe convertito i suoi guardiani (Processo e Martiniano) e per battezzarli si sarebbe servito di una fonte che si dice sgorgata miracolosamente, mentre noi abbiamo visto che la fonte esisteva nel luogo già da più di sette secoli e che aveva dato origine ad un luogo sacro prima della nascita di Roma. Per la convinzione che i due apostoli erano stati rinchiusi nel Tulliano, già nel VII secolo, il carcere fu trasformato in santuario di San Pietro in Carcere da papa Silvestro I (314-335) (parallelamente con il passaggio delle funzioni giudiziarie al Foro Olitorio, nel VII secolo, anche le carceri vi furono spostate – vedi chiesa di San Nicola in Carcere – via di Porta Leone – Ripa). Si fa riferimento, per la prima volta, alla chiesa nel “Liber Pontificalis”, nella storia di papa Gregorio III (731-741) e nel contemporaneo “Libris Indulgentiarum” (itinerari di luoghi santi per i pellegrini in viaggio a Roma) nei quali si parla genericamente di “prigione degli apostoli”. Solo nel XIV secolo, la chiesa è citata con il suo nome di “San Pietro e Paolo in Carcere Mamertino”. Le tracce di affreschi, ritrovati nel “Tullianum”, databili nell’VIII secolo, costituiscono la miglior prova per la datazione della fondazione del luogo sacro. Nel 1539, la Confraternita dei Falegnami ottenne di tenere le sue adunanze in San Pietro in Carcere ma, nel 1546, per ragioni di spazio, ottenne il permesso di edificare una chiesa (forse in legno), sovrastante il Carcere Mamertino, che prese il nome di “San Giuseppe sopra San Pietro in Carcere” (per la storia di questa chiesa, vedi Via di San Pietro in Carcere – Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami – Campitelli). Il “Carcer” e il “Tulliano” sono oggi un museo.
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