Via di Monte Tarpeo (R. X – Campitelli) (da piazza della Consolazione al Tabularium)
Nel 1582 Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) rifece questa strada che da Piazza della Consolazione portava al Tabularium, fondato dal console Q. Lutazio Catulo nel 78 a.C., In questo edificio compare, per la prima volta, l’arco etrusco in ritmica serie, racchiuso dall’ordine e dalla trabeazione, tratti dalle forme architettoniche greche.
Servì da archivio delle leggi e dei trattati dello Stato Romano (tabulae) e fu costruito sul luogo di fabbriche più antiche, tra le quali era forse “l’Atrium Publicum” destinato allo stesso scopo [1].
Il Pontefice volle ricordare con una lapide il lavoro fatto e l’iscrizione dice: “Hic ad Tarpeiam sedem et Capitolia ducit pervia nunc, olim silvestribus horrida dumis. Gregorius XIII P. M. viam Tarpejiam aperuit” [2].
Il nome viene dalla vergine Tarpeia e la via, restaurata, era stata certo costruita in raccordo col “clivus capitolinus” perché, della platea del tempio di Giove, è stato scoperto uno spigolo (ora è stato completamente scoperto ciò che restava) ancora visibile su questa strada (indicato da una lapide).
Infatti, l’unica via carrozzabile d’accesso al colle era, anticamente, il Clivo Capitolino che, partendo dalla “Via Sacra”, conduceva dalla casa del “rex sacrificulus” situata sulla Velia, fino sull’Arce passando davanti alla Regia.
Fu più tardi che, per permettere il passaggio diretto delle pompe trionfali verso il tempio di Giove Ottimo Massimo sul “Capitolium” [3], laVia Sacra si fuse col “clivus Capitolinus” che, a strette spirali, saliva sulla cima, occupata dal detto tempio (la sacra piazza attorno al tempio era detta: “Area Capitolina”).
Gli altri due accessi erano le “Scalae Gemoniae” [4] o “Gradus Monetae” che dal Comizio andavano verso il tempio di “Giunone Moneta” [5] (Arx) e l’altra (forse l’antica strada fatta percorrere ai Sabini da Tarpeia) detta “Centum gradus”, o scala di 100 gradini, che saliva dal “Vicus Iugarius” in prossimità della “Tarpeia rupes”.
Proviene dalla Rupe Tarpea, secondo la tradizione annalistica, l’origine dell’antico nome del “Capitolium”, chiamato in anticamente “mons Tarpeius”.
Diventò “Capitolium”, secondo Quinto Fabio Pittore (seconda metà del III sec. a.Ch.) ed altri autori, per la scoperta di un teschio umano [6] avvenuta nell’eseguire le fondamenta del tempio di Giove Ottimo Massimo, sotto Tarquinio il Superbo (534-509 a.Ch.) (Livio I,55), anche se, l'esistenza del “Capitolium vetus” sul Quirinale fa piuttosto pensare ad un’origine Sabina e a “caput” per la sua preminenza topografica, militare e politica.
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[1] ) Fra gli edifici civili di uso pubblico che sorgevano nell’area Capitolina e nella zona circostante, erano esistiti: la “Casa Romuli”; la “Curia Calabra"; l’ “Atrium Publicum” (per la conservazione degli originali dei pubblici trattati); l’ “Aedes Tensarum”, o “Thensarium” (per la custodia dei carri per il trasporto degli Dei); il “Tribunal Vespasiani, Titi et Domitiani” etc., vi era anche la ricca “Bibliotheca maiorum cura studioque composita", che bruciò sotto Commodo, a causa di un fulmine (191).
[2] ) La lapide è sul fronte di una casa di detta strada.
[3] ) Anche nel secolo X era "fulgens" il Campidoglio e, per istruzione di Ottone III, fu compilato un formulario latino attinto in parte alle "Origines" di Isidoro, e che in parte concorda col libro cerimoniale di Costantino Porfirogenito. Vi sono registrate le diverse maniere di trionfo. "A nessuna dignità, a nessuna podestà, a nessun'anima vivente nel mondo romano, neppure all'eccelso monocratico, è lecito salire in Campidoglio di Saturno, a capo del mondo, se non vestito di abiti bianchi. Per ascendere al Campidoglio deve prima vestire, nello spogliatoio (muratorium) di Giulio Cesare, la porpora bianca, circondato da musici di ogni maniera, andare all'aureo Campidoglio, mentre a lui si acclama in lingua ebraica, in greco e in latino. Là tutti devono inchinarsi avanti a lui tre volte, prostrandosi fino al suolo, e, per la salute del monocrate, alzare preci a Dio, che lo ha posto a capo del mondo romano". Sono poi spiegate, nel formulario, la foggia delle vesti imperiali e vi si descrivono le sue dieci corone: di ellera, di olivo, di pioppo, di quercia, di alloro; la mitra di Giano e dei re troiani, il FRIGIUM troiano di Paride, la corona ferrea, simboleggiante il fatto che Pompeo, Giulio, Traiano avevano domato il mondo con la spada; v'era la corona di penne di pavone e quella d'oro seminata di gemme, che Diocleziano aveva imitata dal re di Persia, e su cui si leggeva scritto intorno: "Roma caput mundi regit orbis frena rotundi".
[4] ) Anche « Gradus Gemonii » riconnessi a “gemo” cioè con i lamenti dei condannati a morte che venivano giustiziati presso le scale stesse, dove i loro corpi rimanevano esposti al pubblico ludibrio. Un frammento dei Fasti Ostiensi ricorda, nel 31 d.Ch., la punizione dei congiurati di Seiano, i quali “in Gem(oniis) iacuerunt”. (Tacito VI-XIX)
[5] ) Il tempio dedicato a Giunone Moneta fu quello promesso da Lucio Furio Camillo, figlio del conquistatore di Vejo, nell’anno 410-344, durante la guerra contro gli Aurunci. Questo tempio fu poi consacrato l’anno dopo sul Monte Capitolino, ove esistevano le case di Manlio. Consacrazione avvenuta alle Calende di giugno, durante le quali, a detta di Tito Livio (58-17 a.C.), avvenne una miracolosa pioggia di sassi “e parve che la notte oscurasse il giorno”; sicché, essendo la città piena di spavento, venne creato un dittatore per intimare le ferie latine. Né questo fu il primo tempio consacrato a Giunone Moneta, giacché, dice Cicerone (de Divinatione I, 45) che, prima dell’invasione dei Galli (301 a.C.) contemporaneamente alla misteriosa voce che la presagiva, “tremò fortemente la terra e dal sacrario di Giunone, nella rocca, uscì una voce che imponeva di offrire in espiazione una porchetta gravida”. Si può perciò pensare che quella di Lucio Furio Camillo non fosse altro che una ricostruzione dell’antichissima ara ove la tradizione poneva la regia dei Sabini, anche perché le case di Manlio sulla rocca “dove, dice Livio, è ora la zecca della Dea Moneta” furono abbattute dopo la condanna di Manlio Capitolino alla Rupe Tarpea, nel 384 a.C.
[6] ) Capitolium - Narrasi che nello scavare la terra per le fondamenta del tempio di Giove, si trovasse la testa di un uomo che sembrava recisa appunto allora. Dice Arnobio (V sec.), che era il capo di un "Tolo" (nome del capostipite dei Volsci) dei Volsci ucciso dagli schiavi, che gli Auguri Etruschi vaticinarono che, nel luogo ove si sarebbe trovata quella testa, ivi sarebbe il "Caput Mundi”
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