Salita di Villa Cecchini (R. XIV – Borgo) (accesso da Borgo Santo Spirito)
In Borgo Santo Spirito, l’ingresso della salita di Villa Cecchini, è chiuso da un cancello da quando, essa strada, fa parte della casa generalizia dei Gesuiti e gode perciò dell’extraterritorialità.
È a difesa di questa strada che, durante la guerra 1940-1945, una sentinella della guardia palatina pontificia montava la guardia presso la garitta che è tuttora dietro il cancello suddetto.
Quando invece la strada era pubblica, portava alla villa del cardinale Cecchini [1] e da essa prendeva il suo nome. Effettivamente si chiamò prima, via di Villa Cecchina e Barberina, perché serviva di accesso anche alla villa dei Barberini, posta non lontano da quella del cardinale Cecchini, nel sito ch’è oggi di proprietà del Collegio Urbano di Propaganda Fide, dopo aver appartenuto ai Gabrielli ed essere servita di residenza al manicomio provinciale.
Si crede che, in antico, qui salissero gli Horti Domitiani “in cui si veggono ancora alcuni residui di pavimenti di musaico, ed altri avanzi di un'antica villa, che per un'iscrizione ivi trovata si crede appartenesse al celebre poeta Celio, del tempo di Augusto”. Nel Medio Evo, tante leggende facevano, dei ruderi, il Palatiolum Neronis" [2].
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[1] Domenico Cecchini (1589-1656), dopo essersi laureato in legge a quindici anni, all’Università di Perugia, venne in Roma, dove, Patrizio Romano, esercitò poi l’avvocatura. Protetto dal cardinale Ludovisi, nipote di Gregorio XV (Alessandro Ludovisi - 1621-1623) entrò nella carriera ecclesiastica e il 14 novembre 1644 fu da Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili - 1644-1655) creato cardinale. Con i proventi della sua carica di Datario, si fece costruire la modesta palazzina, forse da Martino Longhi il giovane (+ 1656), dove visse e morì nel 1656, dopo aver sopportato dolori e amarezze, causate da donna Olimpia Pamphili Maidalchini, con la quale era venuto in contrasto per le ingerenze che essa avrebbe voluto esercitare nella Dataria Apostolica. Morì pochi mesi dopo di donna Olimpia, ed ebbe così la soddisfazione di vederla precipitare dall’alto della sua fortuna, appena Innocenzo X (7 aprile 1655) cessò di vivere.
[2] ) Vi si accampò Enrico IV, sotto Gregorio VII (Ildebrando di Soana - 1073-1085) nel 1084.
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