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Via dei Corridori (R. XIV – Borgo) (da largo del Colonnato a Borgo Sant’Angelo)
Prende il nome dal “Corridore di Borgo” che unisce Castel S. Angelo al Vaticano e attraverso il quale si salvò Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1534), nel 1527, quando “In illo nostro Urbis excidio, mali fuere Germani, peiores Itali, Hispani vero pessimi”. Il corridoio fu restaurato da Pio IV (Giovanni Angelo Medici - 1559-1565).
È detto “Corridore di Borgo”, od anche “Passetto”, quel lungo varco merlato che riunisce il palazzo Vaticano a Castel S. Angelo [1], lungo 420 m..
È basato e costruito, in gran parte, sulle mura della città Leonina (Leone IV - 847-855) [2], in coincidenza con quel tratto che difendeva la parte settentrionale del Borgo.
Nicolò III (Giovanni Gaetano Orsini - 1277-1280), che fu il primo papa che fece del Vaticano la propria residenza [3], non ritenendolo molto sicuro, in caso di assalto da parte di milizie ostili, fece studiare un suo progetto per unire il palazzo papale al castello. I lavori, iniziati nel 1278, furono sospesi per la morte del Pontefice (1280).
I lavori ripresero, solo in parte, con Urbano VI (Bartlomeo Prignano - 1378-1389), nel 1379, con la demolizione parziale delle mura leonine, ma furono poi ripresi con urgenza dall’antipapa Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa - 1410-1415), per ristabilire il passaggio, nello stato di emergenza in cui egli si trovava. Il re Ladislao (1390-1414), da Napoli [4], che non aveva deposto le sue mire su Roma, spinse Gregorio XII (Angelo Correr - 1406-1415) ad affidare ad Antonio da Todi (architetto militare dell’epoca), il 15 giugno 1411, la ricostruzione delle mura Leonine e del corridore.
Per ingrandire il palazzo Vaticano e spostare alquanto l’innesto del Passetto, fu sacrificato qualche torrione e demolito un tratto delle mura. I lavori furono condotti celermente, in particolare il ripristino del passaggio coperto a castel S. Angelo e i resti delle arcate, che erano state fino ad allora adibite a luogo di reclusione per donne adultere o di cattiva vita, furono così rimesse in efficienza
Se l’antipapa Giovanni XXIII (nome ripreso da Angelo Roncalli divenuto Papa) non ebbe, per sua fortuna, occasione di servirsi del “Passetto”, Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) invece vi dovette ricorrere nel 1494, quando le truppe di Carlo VIII (1483-1498) invasero Roma.
Il suo successore Pio III (Francesco Nanni Todeschini Piccolomini - 1503), per salvare Cesare Borgia dalla vendetta degli Orsini, il giorno 23 settembre 1503, lo fece fuggire in Castel S. Angelo attraverso il corridore, accompagnato da sei cardinali e seguito da 2 paggi e da 4 servi. Da Castel Sant’Angelo lo ritrasse, dopo pochi giorni, il nuovo papa Giulio II (Giuliano Della Rovere - 1503-1513), per rinchiuderlo nella rocca di Ostia, da dove poté fuggire grazie all’aiuto del cardinale Carvajal.
Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1534) usufruì due volte del corridore. La prima, il 20 settembre 1526, sfuggì ai Colonnesi [5] e al viceré di Napoli, Ugo de Moncada, che, entrati da porta Asinaria, avevano posto l’assedio alla città Leonina.
Onofrio Panvinio racconta così l’accaduto: “Hora confidando Clemente nella nuova lega (Cognac 22 maggio 1521), licenziò non senza gran macchia d’avarizia l’essercito, ch’egli haveva fatto, ancorché gli amici, e i familiari suoi tutti gridassero ch’egli nol doveva fare. Veggendo all’hora i Colonnesi denudato il Papa d’ogni presidio, hanno seco don Ugo di Moncada, e rifatto, anzi accresciuto a un tratto l’essercito, se ne vennero per la porta di S. Giovanni in Roma. E passandone per Ponte Sisto se n’entrano con le schiere in ordinanza per la porta di S. Spirito in Borgo. Di che spaventato Clemente, ne altro rifugio veggiendovi, se ne fuggì in Castello, cercando, e chiamando in vano il soccorso... Non essendo adunque chi in tanto pericolo del Papa per l’odio, che li portavano, prendesse l’armi, i Colonnesi, avendo per capi Marcello Colonna, fratello del cardinale Pompeo [6], Gieronimo Conte di Sarno suo genero, don Ugo di Moncada, Vespasiano et Ascanio Colonna, se ne entrarono impetuosamente in Borgo. E saccheggiato il palazzo del Papa con quanto vi era di sacro, o profano, ancora nella chiesa di S. Pietro empiamente le mani stesero. Et in questo si era Pompeo in casa sua fermo. Ora Clemente che si vide astretto a quel modo, mancando da mangiar in Castello, e non avendo egli speranza di essere da parte alcuna soccorso, chiamò con molti prieghi a parlamento seco Don Ugo, il quale vi andò, ancorché il cardinale Pompeo vi ostasse. In questo abboccamento dopo molte parole fu finalmente conclusa a questo modo la pace...”.
Molto più tragica fu la sua seconda fuga attraverso il Corridore: Il 25 novembre 1526 la torma dei lanzichenecchi (Lands kenechts), agli ordini di Giorgio Freundsberg, avanzava su Roma, favorita dal duca d’Urbino Francesco Maria della Rovere, che non aveva osato opporsi agli ordini di Carlo V. Giovanni de’ Medici (1498-1526), il figlio di Giovanni, di Pierfrancesco, e di Caterina Sforza, inutilmente contrastò agl’invasori il passo del Po a Governolo, con le sue bande nere [7]. Colpito ad una coscia da un colpo di falconetto, nonostante l’amputazione effettuatagli, non si poté salvare e morì lasciando quel figlio Cosimo (1519-1574) che fu poi duca di Firenze ed il primo granduca di Toscana. La sera del 4 maggio 1527, l’esercito dei lanzichenecchi (in maggioranza luterani, ingrossato dalle milizie di Carlo di Borbone, detto il Connestabile) aveva le sue avanguardie sulle alture di Monte Mario. Roma, con 30.000 uomini atti alle armi, di ogni condizione e ceto sociale, poteva contare effettivamente solo sui 189 militi della guardia Svizzera, cui si aggiungevano i mercenari di Renzo Ceri, come nuclei militari ben equipaggiati. Dice il Panvinio: “Essendo stato preso agevolmente Borgo a 14 maggio (il 6 invece) del 1527 con la morte d’alcuni pochi, che havevano voluto fare di difesa, entrò, per ponte Sisto, nella città, tutto il resto dell’esercito, ch’era di forze 40.000 huomini, fra Tedeschi Luterani, Italiani co’ tanto impeto, e così animato a far sangue, che da che si ricorda al mondo, non fu mai tanta fierezza e crudeltà usata né contra barbari, né con avidità di vendicarsi contra odiosissimi e perpetui nemici.”. Gli Svizzeri [8], comandati dal Roust [9], dopo che gli Spagnoli erano penetrati attraverso il cimitero dei Teutoni, difendendo il terreno palmo a palmo, si ridussero attorno all’obelisco che allora emergeva dal suolo presso l’odierna sagrestia.
Rimasti in pochi, sempre combattendo, retrocessero fino agli ingressi della Basilica Vaticana, ma incalzati dagli Spagnoli vi penetrarono finché gli ultimi vennero immolati presso l’altare maggiore. Per le vie di Roma [10] intanto si erano sparse le truppe vincitrici.
Aggiunge il Panvinio: “Quanti nel primo impeto o armati, o disarmati che fussero, ritrovarono loro incontra, furono tutti tagliati a pezzi. Il Papa isbigottito del repentino assalto di così fatto esercito, e non veggendo via da rimediare, né alla rovina della città, che vedeva, né alla propria, sapendo che altro farsi, si ritirò tosto in Castello”.
Infatti il Pontefice (Clemente VII), che aveva atteso in Vaticano l’esito del combattimento, saputo che il nemico era entrato in Borgo, si affrettò per il Corridore verso Castel S. Angelo. Lo seguivano tredici cardinali, alcuni prelati, gentiluomini ed anche dame. Fra i prelati era lo storico Paolo Giovio (1483-1552) che racconta di avere egli stesso assistito il Pontefice nel tragitto, alzandogli la lunga veste perché camminasse più spedito e ricoprendolo col proprio mantello perché non si scorgesse dalla strada la sua bianca sottana. Nel percorso, attraverso le feritoie, Clemente VII si poté render conto qual fosse il destino crudele dei suoi sudditi, osservando le diverse scene di terrore e gli incendi [11] che divampavano in Borgo, udendo le grida e i lamenti del popolo romano. A rendere più drammatica l’entrata del Pontefice in Castello, accadde che il ponte levatoio, che congiungeva il “passetto” con gli “spalti” del castello, fosse alzato prima che alcuni del seguito del papa fossero passati, per il ché quelli che erano presso il ponte, spinti da quelli che venivano appresso, cadevano, come racconta il direttore dei lavori nella fortezza Raffaello da Montelupo (1503-1570), nel fossato e vi morivano per tanta caduta. Il cardinale Ermellino ed alcuni altri, secondo quanto scrive lo storico Jacopo Buonaparte (XVI sec.), furono tirati su malconci dal fossato entro corbelli assicurati a funi.
L’esercito invasore pose l’assedio al Castello; nei Prati bivaccavano i lanzi del Borbone [12] e Benvenuto Cellini racconta nella sua biografia che non ristava dal disturbarli con falconetti e colubrine “facendo molti inaspettati mali alle trincee” e ferendo d’archibuso Filippo di Chalons principe di Orange, che aveva assunto il comando dell’esercito dopo l’uccisione del Connestabile [13], avvenuta durante l’assalto nei pressi della Porta di S. Spirito [14].
Defilati dalle due cappelline espiatorie erette da Nicolò V [15] (1447-55) alla testata di ponte S. Angelo, gli assedianti imperversavano anche dalla riva sinistra del Tevere. Solo l’8 dicembre, Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1534), fuggendo da Castello, riuscì a ricoverarsi prima ad Orvieto e poi a Viterbo, da dove ritornò a Roma, solo il 6 ottobre 1528, per arrivare poi, nel giugno del 1529, alla pace di Barcellona.
il Papa incoronò, in seguito (il 24 febbraio 1530), a Bologna Carlo V, che con le sue truppe lo aiutò a ristabilire a Firenze il governo dei Medici. Il “corridore” non fu, da allora, più usato in momenti drammatici.
Pio IV (Giovanni Angelo Medici - 1559-1565) nell’allargamento della cinta Leonina, fece eseguire i grandi archi aperti nel muro del “Passetto” per facilitarne l’attraversamento agli abitanti del Borgo. Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572), per i restauri fatti al Corridore nel 1567-1568, spese 1043 scudi ed il Pontefice Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) lo percorreva frequentemente per recarsi a controllare il tesoro da lui costituito, in Castel Sant’Angelo, nella sala sotto l’Angelo.
Fin dal tempo di Paolo III (Alessandro Farnese - 1534-1550), questa camera fu adibita dai Papi ad Archivio della Chiesa ed a conservare anche i più preziosi paramenti papali che, insieme ai documenti, si custodivano dentro gli scaffali collocati tutt’intorno, e che tuttora sussistono.
Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) fece costruire tre delle fortissime casse di quercia, che esistono ancora nella camera, incaricando Domenico Fontana di fabbricarne una enorme [16].
Questi forzieri contennero i 5 milioni di scudi d’oro [17] che, ad un milione l’anno, il Pontefice aveva accantonato, col giuramento di non toccarli se non in caso di estremo bisogno, ed imponendo tale giuramento anche ai successori [18]. Questo tesoro restò infatti quasi intatto fino alla fine del XVII sec. quando dovette servire interamente per pagare l’indennità di guerra, sanzionata nel trattato di Tolentino del 19 febbraio 1797, fra Napoleone generale e Pio VI (Giovanni Angelo Braschi - 1775-1799). Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644), nell’anno 1630, fece coprire la parte superiore del corridore con un tetto, formando così un loggiato che lo sovrastava e rialzandone il piano.
Il tetto è ora scomparso come scomparve il pavimento sul quale transitò Clemente VII ed il suo seguito.
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[1] ) “Su questo Castello si suol fare un bellissimo fuoco artificiale comunemente detto "la Girandola", il quale succede nelle due sere di Pasqua di Resurrezione, in onore dell'Incoronazione del Regnante Sommo Pontefice Pio VII; come ancora ai 28 e il 29 giugno, festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo. Non può darsi situazione più vantaggiosa, e bella per godere comodamente da quasi ogni luogo della città, il maraviglioso spettacolo. Consiste questo fuoco in una quantità immensa di razzi, fontane, girelli di ogni sorta e batterie; oltre che vi sono due sortite, ognuna delle quali è composta di 4500 razzi almeno, e partono tutti insieme e si spandono circolarmente in forma di parasole; spettacolo veramente raro nel suo genere, e che fa la meraviglia di tutti i forestieri”.
[2] ) Resta delle antiche mura Leonine quel tratto attaccato al torrione di Nicolò V, dietro un’ansa del portico berniniano. Riparandosi sotto il colonnato ed alzando gli occhi, guardando a sinistra di Porta Angelica, si può vedere un pezzo d’intonaco bucherellato dai proiettili degli archibugi che nel 1527 spararono contro Clemente VII, che fuggiva con il suo seguito in Castel S. Angelo, coperto dal mantellone dello storico Paolo Giovio. Oltre agli ospizi, gli oratori, le chiese, che contornavano la Basilica nel sec XI, esistevano nella città Leonina casupole e campi che dalla Portica si stendevano fino al muro settentrionale (corridoio di Borgo) e dalla zona dei Sassoni verso e sul colle “Palatiolum” fino alla porta in “Terrione” (Porta Cavalleggeri) e di là dalla “Pertusa” al monte dietro il Vaticano, vi erano zone lasciate a bosco e prato fino al "bellum videri" sul punto nord e quindi alla Porta Palatii.
[3] ) Castel Sant’Angelo apparteneva, allora, alla famiglia Orsini.
[4] ) Napoli, città greca (VI o VII sec. a.C.) per lingua e costumi, conobbe il dominio di Roma (326 a.C.), di Odoacre (432 d.C.), dei Goti. Espugnata da Belisario (530), riconquistata da Totila (542), nel 553 ritornava ai Bizantini. Vide poi la dinastia dei Normanni (1139), degli Svevi (1194), degli Angioini (1266), degli Aragonesi (1441), degli Spagnoli (1503). Dal 1734 fino al 1860 fu, salvo brevi tratti, della Repubblica Partenopea e del Regno (1806-15) Francese, capitale di una monarchia Borbonica che decadde con l’entrata dei Mille, a Napoli, il 7 settembre 1860 (Vittorio Emanuele II il 7 novembre 1860).
[5] ) In quell’occasione la popolazione romana “stette quel giorno ociosamente a vedere…” (P. Giovio – Venezia 1557).
[6] ) Anche il cardinale Pompeo Colonna, verso la fine del 1527, scappò a Napoli, dove nel luglio 1529 diventò viceré e fu il primo cardinale che occupasse questa carica. Morì a 53 anni il 28 giugno 1532.
[7] ) Chiamate così dal 1521, quando fece loro assumere il lutto per la morte di Leone X.
[8] ) La guardia svizzera fu istituita da Giulio II (1503-1513) e il 21 gennaio 1506, nell’anno in cui veniva posta la prima pietra della nuova Basilica di S. Pietro, le prime 150 Guardie fecero il loro ingresso in Roma da Porta del Popolo, percorrendo: Ripetta, Scrofa, Campo de’ Fiori, Ponte e a Piazza S. Pietro, accolte e benedette dalla loggia dell’antica Basilica da Giulio II. Il loro comandante capitano Von Silenen, che le condusse a Roma, era del Cantone d’Uri.
[9] ) Il capitano Gaspare Roust di Zurigo, portato a casa sua gravemente ferito, fu poi finito a pugnalate, nel letto, da un gruppo d’invasori. La moglie ebbe mozza la mano destra per sviargli un colpo.
[10] ) Una notizia statistica ci dice, che di 85.000 abitanti all’epoca di Leone X (Giovanni de´ Medici - 1511-1521), l’Urbe si era ridotta, dopo il sacco, a solo 33.000. Alla fine del 1600 erano già 109.729 (Gnoli).
[11] ) Secondo il contemporaneo Bontempi “si contavano ben 13.500 case distrutte dalle soldatesche imperiali”. Un dispaccio di Francesco Gonzaga, del 7 ottobre 1528, dice: “È Roma a termine, che delle 5 parti le 4 delle habitazioni sono dishabitate”.
[12] ) Borbone - Carlo duca di Borbone (1489-1527), secondogenito del duca di Montpensier.
[13] ) Il cadavere del Borbone, chiuso in una cassa di piombo, nel febbraio del 1528, fu deposto in un sepolcro a Gaeta. L’Epitaffio: "Aucto imperio. Gallo victo superata Italia. Pontifice obsesso. Roma capta: Carolus Borbonius in victoria caesus, hic iacet".
[14] ) Anche di questa morte il Cellini fa capire di esserne l’autore, da buon ballista.
[15]) Nicolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-1455) fece erigere, sulla testa di ponte, due cappelline dedicate a Santa Maria Maddalena e l’altra e i SS. Innocenti (di pianta circolare) come monumenti rimembrativi ed espiatori della catastrofe avvenuta l’anno giubilare 1450 “al ponte suddetto, sul quale, essendo gremito di popolo che accorreva la basilica di San Pietro, rimasero schiacciate e soffocate o caddero nel fiume oltre 200 persone, per uno scompiglio avvenuto, avendo paventato la mula che cavalcava il cardinale di S. Marco”. Era presso queste due edicole che stava il recinto in cui si faceva la giustizia e quando Clemente VII (Giulio de´ Medici - 1523-1534) le fece abbattere, per esservisi riparati durante l’assedio di Castello i lanzichenecchi, nel 1527, furono sostituite dallo stesso Papa, con le statue di S. Pietro (Lorenzetto 1494-1541) e di S. Paolo (Paolo Romano +1470). È sotto la spada dell’apostolo che si esponevano i corpi dei giustiziati. Quando però la sentenza di condanna disponeva che alcune membra o quarti del corpo del condannato venissero spediti per essere esposti nel luogo del delitto, spesso non rimanevano più che i visceri, che venivano poi seppelliti con la dovuta solennità e con speciali indulgenze a coloro che prendevano parte alle cerimonie.
[16] ) La quarta piccola a sinistra, ha sui quattro battenti delle serrature lo stemma di Giulio II.
[17] ) Pasquino :
“Abbiamo visto un fraticello Riformar Roma ed arricchir Castello”.
[18] ) Alessandro VII (Fabio Chigi - 1655-1667) vi versò 180.000 scudi in 3 volte : 4 agosto 1662, 23 novembre 1651, 2 aprile 1666. A ricordo una moneta del valore di 4 scudi d’oro (collezione Vittorio Emanuele III) reca sul dritto lo stemma Chigi con chiavi e tiara, ed al rovescio un cassone ferrato dal coperchio sollevato e nell’interno sacchetti di monete, e scritto intorno: “Haec autem quae parasti cuius erunt”.
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